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 2009  febbraio 21 Sabato calendario

VIA DELLA CRISI


La paura è un bianco muro di carta appeso col nastro adesivo. Così muore un negozio: la vetrina improvvisamente opaca e muta, nessuno pulisce più le ditate, la polvere fa i fiocchi sulla moquette. "Chiusi per cessata attività!", qualcuno ha voluto suggellare con uno stizzito punto esclamativo l´epitaffio dell´ex negozio Etam, intimo di marca, al civico 24. Il berrettificio Fasolato, a giudicare dall´insegna, sembra chiuso da anni. Invece l´abbigliamento per bambini Papermoon al 110 strilla ancora la sua ultima vitalità: "Svendita -70% per cessazione", ma un foglietto informa perentorio: "chiuso". Al 14, dove c´erano le scarpe sportive Foot Locker (uno dei due negozi in città), sbirciando dietro il sudario candido vedi pareti con spettri scuri di scaffalature scomparse e prese che vomitano fili elettrici.
In Italia nel 2008 ogni sette minuti e mezzo un negozio ha cessato l´attività. Le serrate ormai superano le inaugurazioni: solo due terzi delle botteghe che spariscono vengono rimpiazzate da nuove iniziative commerciali. Specchio della crisi è una via di Padova dove spiccano le vetrine vuote Qui, per tirare avanti, si sono inventati lo sconto sullo sconto
 sempre più forte la tentazione d´inseguire con offerte speciali il cliente fuggitivo
La titolare di una pelletteria. "Io sarei andata in pensione. Ma mia figlia non vuole"
Il concessionario di Rolex incassa 60 euro al giorno E ne spende trenta per l´assicurazione
A fare affari sono i commercianti che hanno puntato sui nuovi bisogni di risparmi
Quale sarà il prossimo? Non è una domanda menagrama, è statistica. In Italia, nel 2008, ha chiuso un negozio ogni sette minuti e mezzo. Più di settantamila attività cessate. Rimpiazzate solo per due terzi da nuove aperture. Il saldo generale quindi è decisamente negativo: in un anno è sparito il 2,7 per cento della bottega Italia. Appena quattro anni prima, nel 2004, il nostro patrimonio commerciale cresceva, invece di calare. Ma quello appena passato è stato l´anno del crollo dei consumi, la cui onda sismica comincia solo ora a farsi sentire. Il 2009 della crisi annunciata non lascia tranquillo neppure chi ha resistito ad altre congiunture e perfino alle guerre. Come tanti tra i negozi di via Roma e via Umberto I, due nomi per una stessa strada divisa a metà dal ponte delle Torricelle: l´aristocrazia dello shopping padovano. Le insegne esibiscono blasoni d´anzianità: 1925, 1934. L´elettricista ha perfino rinunciato all´insegna, tanto «sono 70 anni che siamo qui».
Ottocento metri di dolce curva porticata semipedonale ti portano per mano dai comodi parcheggi dietro Prato della Valle fino allo storico caffè Pedrocchi. Un «centro commerciale naturale»: ne va orgoglioso Sergio Boggian, il town manager a cui la Confesercenti ha affidato il progetto di rilancio della via. «Le grandi griffe hanno preferito via San Fermo, ma il cuore antico della città degli acquisti batte ancora qui», tra chiese e palazzi medievali di un sentiero ciottolato di porfido che ricalca le tracce di una via romana. Un campione perfetto: il paese delle vetrine riassunto in una strada sola. Frugando nel suo microcosmo cerchiamo i segni e il senso di una crisi che potrebbe cambiare la geografia dell´Italia bottegaia.
«Non avrei potuto aprire altro che qui», garantisce Liviano Badon dell´Arte del regalo, ninnoli e murrine. «Quando cercai un locale in affitto, era disponibile solo questo. Se dovessi aprire ora, avrei più scelta». Ha ragione: su 144 esercizi (di cui 15 bar-ristorazione e solo cinque negozietti asiatici, anche questo è un indice), si contano nove vetrine deserte. Non c´è da stupirsi, siamo nella media. Su 9.932 piccoli esercizi padovani, 870 hanno chiuso nell´ultimo anno, 514 hanno aperto. Totale: meno 356. « la prima volta che il saldo è negativo in città», ammette Maurizio Francescon, direttore di Confesercenti. Non resteranno vuote a lungo quelle vetrine, è vero. Dietro i paraventi bianchi, almeno in cinque casi, si sente già rumore di trapani e di martelli in azione. I canoni d´affitto dicono che questa strada ha ancora un´attrattiva forte. Ma i tempi di sostituzione s´allungano. Nei locali dell´antiquario che occupavano ben cinque occhi di portico, e che ha chiuso da tempo per andare a fare i mercatini, ci sono ancora tappezzerie damascate che hanno vissuto tempi migliori. Al 93 di via Umberto tre saracinesche non aprono da chissà quando. Al 90 una vetrina stretta lascia indovinare un forno arredato, prezzi delle focacce ancora appesi sul bancone, ma interamente sgombro. Un´immobiliare annuncia (da quanto tempo?) la vendita di un locale nuovo di zecca dietro un portone sontuoso. E il negozietto cinese al 39, quello che vende i reggiseni a 2 euro e le felpe a 6, tiene appeso invano da tre mesi il cartello "vendesi attività".
La pelletteria Lahra poteva essere la decima vetrina a eclissarsi sotto la carta bianca. «Io sarei già andata in pensione, è mia figlia che vuol continuare». demoralizzata, la titolare. Splendidi soprabiti fatti a mano riposano sulle grucce col cartellino "sconto 50%". «Per giorni interi non entra un cliente. Ieri ho venduto quei guantini a 15 euro». Si direbbe che i primi a svanire siano stati i clienti ricchi. Ma non è un paradosso. A Padova la crisi nera, quella della cassa integrazione e dei licenziamenti, non è ancora sbarcata in pieno. Dunque, gli stipendi per le spese correnti nelle case arrivano ancora. Ma chi aveva un po´ di soldi da parte se li è visti taglieggiare dal crollo delle borse. Quindi saltano per primi i consumi "importanti", voluttuari o meno, che il ceto medio pagava con i risparmi. «I ricchi restano ricchi, ma i medi sono scomparsi», confermano da Burgo, gioiellieri dal 1963, fornitori di pietre preziose a tutta la provincia. «In un giorno come questo, tre o quattro anni fa, qui c´era la fila degli artigiani». Il signor Montini, orologiaio da quattro generazioni, ammette un calo deciso del venduto. il concessionario Rolex. «Sabato ho incassato 60 euro. Ma ogni volta che tiro su la serranda sono 30 euro solo di assicurazione». Effetto secondario: chi ha ancora soldi in tasca approfitta della crisi per aumentare il proprio potere contrattuale. «Sono i clienti facoltosi che adesso fanno il prezzo. O me lo dai a tot o vado da un altro». A simili pressioni la signora Elena, corniciaia di alto artigianato, resiste: «Devi difendere il tuo lavoro. Lo sconto va bene, ma se ci facciamo imporre il listino dai clienti siamo finiti».
Ma la tentazione di inseguire il cliente fuggitivo è forte. Da Fondacaro abbigliamento, Francesco, giovane titolare, un calabrese battagliero e allegro, ti fa notare la sua invenzione, lo sconto-sullo-sconto: 50%+30%. «Se devo cedere tutto in blocco allo stockista per due euro al pezzo, preferisco farmi un cliente in più». La commessa chiama cassa: «Due magliette da 20 euro!». «Vede? Questo si vende oggi». Cristina della lingerie di via Umberto 9 ha scelto una strategia diversa: «Metto in vetrina il body da 200 euro e non i top in saldo da 40. Vendo meno pezzi ma il guadagno è lo stesso». Appartiene al fronte dei convinti che «i soldi la gente li ha ancora, ma ha paura di spenderli»: questa almeno è l´opinione di Alessia di Ad-Exclusive, accogliente botteghina d´abbigliamento su due piani. «Sa da cosa lo capisco? Comprano gli stessi articoli di prima, solo che ne comprano di meno. Non scendono nella qualità del prodotto, capisce? Frenano, ci vanno piano, è prudenza più che panico». E tirano sul prezzo. «Sì. In otto anni, mai m´era capitato di sentirmi chiedere di arrotondare di due euro il cartellino del saldo, e le giuro: non ho mai fatto saldi così bassi». Tutta la strada del resto grida sconti, promozioni, 50, 60, 70. Un coro di sirene colorate e poliglotte, "fun price", "all out". C´è anche un "ulteriori ribassi" che traduci: ma cosa volete ancora per entrare a comprare? Il nostro sangue?
Eppure non sono tutti così pessimisti. La crisi non è uguale per tutti. Alle due e mezzo del pomeriggio nel negozio Vodafone in cima a via Roma ci sono nove clienti in paziente coda. La telefonia, si sa, è l´unico settore col segno più. Lara di Swarovski pessimista potrebbe esserlo, ha chiuso uno dei suoi due negozi in franchising, ma a sorpresa il Natale del bijou di cristallo è andato benone. Perspicace, Lara sa anche spiegare il perché: «Noi intercettiamo i clienti che abbandonano le gioiellerie». l´effetto-cascata che, quando una crisi è all´inizio, premia chi sta sul gradino di sotto nella scala di prezzo. Il gestore di Sapo´, che taglia saponcini da grandi pani come formaggi colorati, è perfino ottimista: «Nessuna crisi, si vende bene». Ma forse dovrebbe confrontarsi con Marta, la sua collega di Gardenia, cento metri avanti, profumeria classica di catena, prodotti di marca a prezzi di marca: «Non è stato il Natale che speravo, le clienti che compravano tutta la gamma fino al trattamento viso completo adesso si limitano all´essenziale, profumo e crema». Squadra il cronista e non si trattiene: «Fate venire troppa ansia alla gente». « paura, paura...», concorda Silvano Vignato, gastronomia firmata dal 1925. Fa i conti: «Meno 15 per cento l´anno scorso». Dietro il vetro del bancone succulenti manicaretti, «ma la gente compra uova, pane», generi essenziali, come stesse per scoppiare una guerra. «C´è troppa paura in giro».
Bisogna sperare che non sia crisi vera. Ma molte illusioni stanno cadendo. A Padova, dice un sondaggio Confesercenti, per 42 commercianti al dettaglio su cento l´anno appena iniziato si presenta incerto, per un altro 20 per cento andrà male o malissimo. E non si invocano troppe scuse: solo il 16 per cento dà la colpa alla concorrenza dei grandi centri commerciali. Del resto: prima si capisce, prima si reagisce. Il presidente Confcommercio Nicola Rossi propone «più formazione per avere più capacità di reagire». Di strategie, in realtà, ogni negoziante ha già la sua. Il Pantofolaio Giuseppe Rigato ha rilevato un antico negozio di scarpe vicino al Prato, e ne ha fatto il regno della calzatura domestica: se vuoi una babbuccia così e cosà a Padova devi andare da lui, «e ora alzo il livello di qualità, perché se la crisi arriva davvero non posso mettermi in concorrenza coi cinesi». tra quelli che non inseguono la slavina: corrono nell´altra direzione, anche se è in salita. Come il signor Breda della pasticceria omonima, quarant´anni di esperienza: «Questa crisi sarà dura, ma forse farà pulizia. Io intendo fare paste molto più buone allo stesso prezzo, o magari anche dieci centesimi in più». In più? Le pare il caso? «Sarà dura, perderò clienti. Ma se sopravvivo alla crisi, voglio uscirne in cima alla scala, non in fondo».