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 2009  febbraio 23 Lunedì calendario

GUIDO RAMPOLDI PER LA REPUBBLICA

La bomba esplosa ieri in un caffè del Cairo prossimo al mercato più frequentato dai turisti, Khan el-Khalili, sembra ricordarci che la guerra di Gaza non è definitivamente finita con il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia. L´attentato ha ancora contorni confusi e converrà attendere di saperne di più, senza dimenticare quel che accadde a proposito delle stragi di turisti nel Sinai, che attribuite dalla polizia ad Al Qaeda, si rivelarono la vendetta di tribù beduine contro il governo.
Ma premesso quest´obbligo alla cautela, è difficile sottrarsi al sospetto che questa riapparizione del terrorismo al Cairo sia connessa con quanto avvenuto nella Striscia, e con la parte complicata imposta dalle circostanze al regime di Mubarak, costretto a districarsi tra Hamas e Israele, mediatore e possibile vittima di una partita da cui ha molto da perdere.
Converrà ricordare che vista dal Cairo l´offensiva israeliana aveva obiettivi molteplici, tra elettorali e tattici, ma innanzitutto uno scopo strategico: scaricare Gaza e i suoi abitanti all´Egitto. Non era tanto la seconda guerra di Ehud Olmert, quanto l´ultima di Ariel Sharon. Era stato infatti Sharon a varare nel 2006 quel Disengagement Plan, o Piano di disimpegno, che portò l´esercito israeliano a sgomberare con la forza tutti gli insediamenti colonici nella Striscia. Ma Israele si proponeva di liberarsi non soltanto del peso di quei villaggi, troppo costosi da difendere e ormai d´impaccio, ma anche delle responsabilità legali verso i palestinesi che derivavano ad Israele dal suo ruolo di potenza occupante (come afferma il Piano al capitolo 1, paragrafo 6, dove si legge: «The completion of the plan will serve to dispel the claims regarding Israel´s responsibility for the Palestinians in the Gaza Strip»). Allo stesso tempo il governo israeliano non voleva che Gaza diventasse Stato palestinese. O perlomeno non lo voleva dopo la vittoria di Hamas nella Striscia, giacché a quel punto avrebbe avuto un alleato di Teheran quasi in casa. L´unica soluzione che assecondasse i desideri israeliani era il ritorno di Gaza all´Egitto. Ma l´Egitto, che fino al 1967 il Cairo aveva esercitato sulla Striscia un mandato fiduciario, non aveva alcuna intenzione di prendersi un milione e mezzo di palestinesi, per giunta affacciati sul Sinai. Sarebbe stato come spingere un popolo senza terra verso una terra senza popolo, con tutto quel che ne poteva derivare. Per esempio, che la diaspora palestinese tentasse di ritagliarsi una patria nel Sinai, come già aveva fatto in Giordania e in Libano.
Secondo diplomatici egiziani, a più riprese gli israeliani tentarono di convincere Mubarak che Gaza all´Egitto sarebbe stato un buon affare. Invano. Il Cairo non ne voleva sapere. E perché non si creassero equivoci, teneva chiuso il confine con la Striscia. La polizia chiudeva gli occhi, questo sì, sul via vai sotterraneo di merci che raggiungevano i palestinesi attraverso i tunnel di Rafah. Ma formalmente la frontiera era sigillata, proprio come lo era, anche nei fatti, la frontiera israeliana. Vittime di quel braccio di ferro, i palestinesi restavano totalmente isolati. E Hamas minacciava di vendicarsi ricominciando a sparare razzi sulle città israeliane.
Tutto è precipitato poco prima che si insediasse Obama. Diviso e forse incapace di sottrarsi agli ordini di Teheran, Hamas non ha rinnovato la tregua, sapendo perfettamente cosa ne sarebbe seguito. E Israele ha lanciato l´offensiva che preparava da mesi.
Che questo fosse o no da subito il principale obiettivo, l´aviazione ha raso al suolo tutti i palazzi che rappresentavano la statualità palestinese e bombardando depositi alimentari o mulini, ha costruito le premesse perché i palestinesi dipendessero dagli aiuti egiziani. Ma tutto questo, così come la morte di 1300 persone, è stato inutile. L´Egitto non ha ceduto e Mubarak ha messo in chiaro che non si sarebbe fatto imbrogliare dagli israeliani. Hamas conserva i suoi arsenali e non ha perso la presa su Gaza. Israele è più isolata, e le ultime elezioni non hanno certo contribuito alla sua immagine.
Ma la partita non è finita. Così come hanno voluto la guerra, paradossalmente Hamas e Israele vogliono anche che il conflitto si concluda, almeno sul momento, con la stessa soluzione tecnica: che l´Egitto apra il confine. Mubarak si rifiuta e la sua diplomazia continua a lavorare, per ora inutilmente, ad un compromesso che costringa Israele a riconoscere la propria responsabilità su Gaza, e Hamas a riconoscere un qualche ruolo istituzionale al presidente Abu Mazen, legittima Autorità palestinese. Ma questo ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, espone Mubarak all´ira di tutto l´estremismo islamico. Lo si considera un complice di Israele, un traditore della causa araba e un nemico dei palestinesi, per aver tenuto chiuso il confine prima e durante l´offensiva israeliana. In Egitto i suoi accusatori più tenaci sono quelle frange dei Fratelli musulmani forse sfuggiti di mano al vertice dell´organizzazione fondamentalista, un consesso di vecchioni molto più inclini al compromesso della base giovanile.
E´ quest´area fuori controllo, oppure il terrorismo palestinese, che potrebbero aver prodotto l´attentato di ieri. Che ci ricorda come lo statu quo di Gaza non sia sostenibile a lungo. Occorre trovare una soluzione, e trovarla in fretta.