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 2009  febbraio 23 Lunedì calendario

INTERVISTA A DELL’ULTRI

Attenzione alle marchette (fb)

Non poteva che finire così. Berlusconi con Veltroni ha tentato sinceramente d’aprire un dialogo ma loro hanno solo saputo sparargli continuamente contro. La verità è che hanno ancora una mentalità bolscevica». Partita chiusa. A chiedergli cosa pensa della crisi in cui è sprofondato il Pd, il senatore Marcello Dell’Utri, sembra compiaciuto come un gatto che si è mangiato un topolino. Nel salotto, al primo piano della sua villa di Torno, sul lago di Como, troneggia una fotografia incorniciata in argento: gli inseparabili amici, Silvio e Marcello, ridono trionfanti tra le coppe vinte dal loro Milan. «Silvio è un vero fenomeno!», attacca Dell’Utri. «In Sardegna ha mostrato il suo gran coraggio. Era l’unico convinto di potercela fare; ha rischiato e ha vinto». Senatore Dell’Utri ma si vince così? Berlusconi non ha concesso neanche l’onore delle armi allo sconfitto, Fedele Confalonieri è sembrato preoccupato dal vuoto che si può creare, in un momento così difficile, senza una vera opposizione. «Sono dalla parte di Berlusconi», ribatte Dell’Utri. «Confalonieri è stato quello che ha più spinto a cercare il dialogo, ha sempre avuto simpatia per Veltroni. Quanto al vuoto in politica non esiste, è solo un momento di passaggio, qualcuno lo colmerà. D’Alema? Basta, mi ha deluso. L’ho sempre ritenuto una persona intelligente. E, però, sembra che arrivi, arrivi D’Alema. Ma lui non arriva mai».
A tavola servono risotto, pesce e torta di mele. «Dovresti inventare tu un nuovo partito per la sinistra!», scherza l’architetto Miranda Ratti in Dell’Utri, l’elegante e assai riservata - come tutte le first lady dell’impero berlusconiano - moglie del senatore che mezzo secolo fa era l’allenatore del Torrescalla calcio, il primo team sponsorizzato da Berlusconi; 25 anni fa era il potente amministratore delegato di Fininvest che garantiva con Publitalia al gruppo una raccolta pubblicitaria d’oro e nel 1993, fondò con Berlusconi dal nulla Forza Italia.
Quindici anni dopo, nell’Italia 2 del trionfo berlusconiano e della sinistra allo sbando, nella sua bella villa Marcello Dell’Utri ha ben altro a cuore che l’incerta ascesa di Dario Franceschini. «Lago ferito. Sull’albero di Dell’Utri cresce una casa», ha denunciato in prima pagina «La Provincia», il quotidiano di Como, in un reportage su vari scempi - mega parcheggi, megacondomini - che rischiano di deturpare le rive di un lago in gran spolvero dopo lo sbarco di George Clooney e di un manipolo di miliardari russi e sceicchi arabi. Sbattuto in prima pagina come il più volgare dei palazzinari? «Un’assurdità! Ricorrerò fino al Consiglio di Stato», dichiara Dell’Utri aprendo il cancello bianco del suo amato buen retiro dove, lui siciliano, ha da anni anche la residenza anagrafica. «Ormai sono un laghee. Anche d’estate preferisco la pace del lago al mare. A Palermo? Vado solo per il processo», spiega il più misterioso personaggio del potere berlusconiano, «sono un portatore sano di cancro giudiziario», si difende Dell’Utri, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma oggi a indignarlo è l’accusa di aver costruito nel suo parco degradante su lago una sorta di «ecomostro» che violerebbe la bellezza del posto e la pace di un vicino cimitero di campagna; così, insieme alla moglie Miranda, ha inizio il sopralluogo. Divani in vimini, terrazze soleggiate, campetto di calcio. «Ho scoperto il lago di Como», narra Dell’Utri, «quando da studente venivo al Castello di Utrio a seguire i corsi dell’Opus Dei. La nostra prima casa sul lago era a Sala Comacina; l’ho rivenduta facendo un ottimo affare a un signore tedesco. E’ stato così che siamo arrivati in questa villa, era dei Pedroni, la famiglia della moglie dell’architetto Marco Zanuso». L’orto, il pollaio, le camelie e le ortensie di un giardino ottocentesco assai ben curato («No, noi non abbiamo vulcani!», ride la signora Dell’Utri). Vicino alle due darsene la doccia per la piscina è stata ricavata da una pietra, ritrovata sul posto, d’epoca fascista; la dolce curvatura del lago nasconde alla vista la magnifica villa Pliniana. «Anche il presidente», continua Dell’Utri, «è innamorato del lago di Como. Ha cercato di comprare ma hanno provato a spillargli un sacco di soldi e lui non è il tipo da farsi abbindolare». Ed eccoci sul luogo del delitto. Oltre i bambù tra una gigantesca sequoia, un pino secolare e una magnolia appare la contestata casa sugli alberi dei coniugi Dell’Utri. «Non è una casa ma un belvedere», puntualizza la signora-architetto. E’ stata lei, steineriana convinta, madre di 4 figli, entusiasta nonna della piccola Dafne, a chiamare dall’Inghilterra degli specialisti per costruire la struttura in quercia - design ecologico, molto in - sollevata con palafitte da terra e ancorata alla sequoia, con scalette e passerelle che inglobano senza ferirli gli antichi rami. La battaglia di Torno. «Ho sempre sognato di essere il barone rampante di Calvino», dice Marcello Dell’Utri, noto bibliofilo, salendo per la scala a chiocciola tra le fronde. «Vorrei starmene quassù e, su una sdraio, rileggere le pagine che Giovanni Verga ha dedicato a questo meraviglioso lago». Riscendiamo a terra, senatore. Il romantico sogno del potente Dell’Utri si è però infranto: il comune di Torno (dopo le dimissioni della giunta, lista civica con un pizzico di leghisti, in attesa delle elezioni di giugno, ora c’è un commissario) ha bloccato i lavori e, così i Dell’Utri forti di un parere favorevole della Soprintendenza di Milano («compatibilità favorevole sotto l’aspetto paesistico») hanno fatto ricorso al Tar della Lombardia. Altri avvocati, altri guai, Dell’Utri si è pentito? «Per niente. Con tutti gli scempi che si stanno facendo se la prendono sempre con me. Volevo regalare a Torno la mia collezione di 6 mila volumi sul Lario; avrei aperto al pubblico una biblioteca nella casa dei custodi. Ma bisognava fare un piccolo ampliamento e mi hanno detto di no. Succede solo perché mi chiamo Dell’Utri». Tornati in villa, Marcello Dell’Utri riappare con una cartella gonfia di fotocopie. «Usciranno presto in Francia, saranno un gran successo». Insiste Dell’Utri, è proprio sicuro di aver ritrovato 5 diari manoscritti, tra il ”35 e il ”39, da Benito Mussolini. Accende un sigaro; pesca nella cartelletta, recita a voce alta frasi che sarebbero state scritte da Mussolini. Dixit sul giornalismo. Lo interrompo: e Mentana? Risponde: «E’ sempre stato insofferente delle gerarchie. Ma ha dato un contributo importante al gruppo, ha sempre dialogato con intelligenza con Publitalia». E ancora dixit sull’importanza di dare spazio ai giovani, legge e chiosa: «Berlusconi ne è più che convinto. Angiolino Alfano, per esempio, è un vero talento», e sui rischi dell’imborghesimento della classe dirigente. «Fini? A furia di voler correre ha corso fin troppo. Per Casini a me dispiace; alla vigilia della sentenza di Palermo fece una dichiarazione in mia solidarietà. Sono cose che non dimentico. E’ la Lega - vedrete - che farà un botto di voti; non c’è bisogno di sondaggi per capirlo». Alt, senatore, questo vuol dire inseguirla sul suo campo? Cosa pensa delle ronde? «Non possiamo tornare alla legge del taglione; come il carcere per le intercettazioni sono tutte reazioni esagerate a esagerazioni. Vogliono il federalismo fiscale: non so quanto sia giusto ma, altrimenti, ci bloccano sulla giustizia. Berlusconi? E’ lì in mezzo a mediare». Ecco la vera partita, ed è appena iniziata. Ma ora Marcello Dell’Utri ha solo voglia di godersi il calcio in tv. Berlusconi al Quirinale? «Per carità porta male», e giù a far le corna. Anche sul cimitero di campagna («E’ lì la mia tomba, basta con la storia del mausoleo di Arcore!») è ormai sera. Senatore Dell’Utri come ha vissuto il caso Englaro? «Ho sempre pensato che doveva essere il padre a decidere. Anche la Chiesa a volte sbaglia; solo pochi giorni fa, il 17 febbraio, è stato l’anniversario della condanna a morte di Giordano Bruno».