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 2009  febbraio 23 Lunedì calendario

In inverno per primi sul Makalu. L’impresa è stata portata a termine lunedì scorso dall’alpinista bergamasco Simone Moro, 41 anni, e dal kazako Denis Urubko, che hanno conquistato la quinta montagna del globo, solo un centinaio di metri più bassa del K2

In inverno per primi sul Makalu. L’impresa è stata portata a termine lunedì scorso dall’alpinista bergamasco Simone Moro, 41 anni, e dal kazako Denis Urubko, che hanno conquistato la quinta montagna del globo, solo un centinaio di metri più bassa del K2. Un’avventura sportiva che mette Moro, quanto a record, sulle tracce di Reinhold Messner. «C’era un freddo indescrivibile. Abbiamo dormito in sacchi a pelo da soli -9˚ C per essere leggeri, ma c’erano almeno -40˚ C. Terribile! Siamo partiti con un ritmo di 30 passi al minuto, legati in conserva ed abbiamo raggiunto la cima con un ritmo di 20 passi dopo gli 8200 m, sempre in conserva. Lassù è stata una lotta col vento. Tra i 90 ed i 100 chilometri all’ora». Tradiscono ancora l’emozione di quei momenti le parole che Moro ha confidato per telefono a Vinicio Stefenello. In meno di tre settimane i due hanno raggiunto una vetta che finora aveva respinto tutti i tentativi invernali. «Con Denis – continua Simone nell’intervista diffusa da Planet Mountain – devo ammetterlo mi trovo sempre benissimo. Forza, motivazione, tattica, spirito di sacrificio, ambizione, rabbia, ecc. sono pressoché uguali. Mi azzardo in un paragone: se nelle copp ie Mes sner- Kammerland er, Loretan-Troillet, Kukuczka-Wielicki e pochi altri ho sempre visto il team perfetto, probabilmente il mio è con Denis». La straordinaria impresa segna una pagina importante nella storia dell’alpinismo. Conclude infatti la seconda stagione della conquista himalayana, quella delle ascensioni invernali, che già segnarono una svolta sulla catena alpina e oggi costituiscono quanto di più impegnativo si possa compiere sui giganti della terra. Lo scalatore italiano, che già si era assicurato nel gennaio del 2005 la prima salita invernale dello Shisha Pangma in compagnia di Piotr Morawsk, ora ha fatto il bis. Anche per questa impresa Moro ha scelto la formula della spedizione leggera, rinunciando sia agli sherpa, sia all’ossigeno. «Assomiglia decisamente più ad uno stile alpino che ad una salita himalayana – fa notare Simone ”. Se infatti consideriamo che siamo andati due sole volte al campo 2, tutto il resto è stato fatto una volta sola compreso il campo 3 e la vetta. Siamo sempre stati velocissimi: 3 ore per salire al campo 2, 28 minuti per scendere dal campo 1 al campo base, e meno di un’ora e mezza per scendere dal campo 2». Dopo il veloce rientro dagli 8473 metri della cima fino al campo base, i due alpinisti sono tornati a Kathmandu in elicottero per curare alcuni congelamenti che Simone aveva avvertito alle dita dei piedi. «Ho cominciato ad accusare formicolii – ha raccontato a Montagna.tv, il sito di Agostino da Polenza – poi gonfiore e parziale perdita di sensibilità alle dita del piede destro e ad alcune del sinistro. Nulla di grave, ma ho preferito contattare alcuni amici specialisti russi, in particolare il dottor Evgeny Vingradsky. Mi hanno detto di iniziare la terapia di iniezioni con eparina, che avevo con me, e di non fare l’eroe con il lungo trekking di ritorno». Esaurite le invernali sugli ottomila himalayani, l’attenzione del mondo alpinistico internazionale si sposta ora sulle cinque grandi prime che restano da realizzare sugli ottomila del Karakorum. Anche la coppia Moro-Urubko fa qualche programma: «Denis dice il Nanga Parbat, io però un conticino aperto con il Broad Peak l’avrei. Certo che prima o poi verrà anche il turno del K2... Ora che sono tornato in Italia mi rendo conto che la cosa più difficile è far capire alla gente la portata di quello che abbiamo fatto al Makalu. Erano trent’anni che il meglio dell’alpinismo internazionale cercava di fare quello che a noi è riuscito».