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 2009  febbraio 23 Lunedì calendario

TRIPOLI

Nel suo ruolo di neo-presidente (o «re dei re») dell’Unione del suo continente ha proposto di creare gli «Stati Uniti d’Africa». Dopo aver chiuso i contenziosi con l’Occidente (da Lockerbie ai danni dell’occupazione italiana) e aver rinunciato alle armi di distruzione di massa, ha lanciato un piano per creare un solo Stato in Israele e Palestina («Isratina »). E ora, come «fratello leader » della Libia ha presentato al suo popolo un progetto altrettanto ambizioso. «L’amministrazione del Paese ha fallito, l’economia di Stato pure. L’unica soluzione è che tutti noi libici prendiamo direttamente controllo delle entrate petrolifere e decidiamo che fare con questo denaro», ha dichiarato qualche giorno fa Muammar Gheddafi. Al potere da quasi 40 anni, il colonnello sa bene che nella Grande Jamahiriya c’è scontento per la corruzione dell’élite e per il crescente (o forse solo più evidente) divario tra classi sociali, nonostante la povertà sia qui relativa. La fine dell’embargo e l’apertura al mondo stanno cambiando radicalmente il Paese, terzo produttore africano di petrolio, nono al mondo per riserve. E insieme all’idea di «distribuire la ricchezza» ha lanciato, per ora in forma più sfumata, quelle di abolire gran parte dei ministeri e di introdurre magari la prima Costituzione dal 1969.
Ma è soprattutto il primo punto, oggi, all’ordine del giorno: da mercoledì scorso a ieri ne hanno discusso ovunque in migliaia nei 468 Congressi popolari di base, considerati gli «organi legislativi ed esecutivi più importanti», d’ispirazione in parte socialista in parte tribale, aperti a tutti e sovrastati dal Congresso generale (una sorta di Parlamento). Un documento con otto ipotesi di ripartizione delle entrate (stimate quest’anno in 15,5 miliardi di euro) è stato distribuito, proponendo versamenti mensili sostanziosi a ognuno dei 6 milioni di abitanti o solo ai meno abbienti, con varie proposte intermedie. E sollevando però più dubbi che entusiasmi. «Se riceviamo la nostra parte di ricchezza ma dobbiamo pagarci previdenza sociale, scuole e sanità, se salgono i prezzi di cibo e benzina ora sussidiati, che vantaggio abbiamo? Che lo Stato dia sussidi a poveri e disoccupati piuttosto, migliori i servizi pubblici», ha dichiarato al congresso di Zawya il padre di famiglia Bashir Zeid. Stesso discorso a Misurata, tra i dipendenti del porto: «Qualcuno ha pagato per anni una pensione, ha lavorato molto per raggiungere un buon tenore di vita. E adesso cambia tutto? Io dico no», ha detto uno di loro, ignorando forse che una delle frasi care al Fratello leader recita: «Per costruire, la Libia deve prima distruggere». Perplessità anche sulle cifre (alcune proposte prevedono di distribuire un importo doppio rispetto alle entrate, per altro controverse) e sulla gestione del piano. «Vogliamo informazioni precise prima di decidere», è la richiesta comune. Come comune è la convinzione che «i libici non sono ancora pronti» a creare società private nei settori gestiti ora dallo Stato, nonostante le privatizzazioni siano già partite.
«Il leader ha consegnato il potere al popolo nel 1977, con i Congressi. Ora tocca alla ricchezza, diritto di tutti», ci dice Miftah Kaeba, capo del Congresso generale ed ex compagno di banco di Gheddafi (la loro scuola di Misurata è oggi un museo con tanto di pagella, non buona, del leader). E sarà proprio l’organismo guidato da Kaeba a decidere, sentita la base, su come, quando e se distribuire la famosa ricchezza. Il 2 marzo il Congresso generale dovrebbe pronunciarsi poi sulla fine dei ministeri (salvo Esteri, Finanze, Difesa, Giustizia e Sicurezza). E sul progetto di Costituzione voluto soprattutto dal figlio del leader Saif Al Islam, che da settimane è però in Europa e di cui non si sente molto parlare. Ma il condizionale è d’obbligo. Nessuno, nemmeno i diplomatici stranieri, osa prevedere gli sviluppi futuri. Qualcuno pensa che la svolta sarà presentata in settembre, anniversario della rivoluzione. O che non succederà niente. Ma Gheddafi, su questo, è stato chiaro: «Non accetto che un libico sia ricco e uno povero – ha detto ai segretari dei Congressi di base ”. Se anche voi approverete la diseguaglianza io non lo farò».
Cecilia Zecchinelli