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 2009  febbraio 27 Venerdì calendario

UMBERTO ECO PER L’ESPRESSO DI VENERDì 27 FEBBRAIO

IL FUTURISMO NON STATA UNA CATASTROFE -
Nel centenario del Manifesto Futurista molte mostre si sono aperte per ricordare e rivalutare il movimento, e sono note le polemiche sul modo in cui la mostra di Parigi avrebbe considerato i futuristi come epigoni del cubismo mentre le varie esposizioni italiane cercano di sottolineare la loro originalità e diversità. Tra tutte le mostre mi sembra spicchi per vari motivi quella organizzata a Palazzo Reale a Milano. Non ricordo quale giornale, nel recensirla, si è lamentato che vi mancassero i grandi incunaboli del movimento, come a dire il "Dinamismo di un foot-baller" di Boccioni o i "Funerali dell’anarchico Galli" di Carrà, ma la cosa non dovrebbe disturbare, e non perché quelle sono opere che si sono viste esposte molte volte, ma perché la mostra fa vedere qualche cosa di meglio e di più. Invece di certe opere maggiori fa vedere che cosa c’era prima del futurismo e accanto a esso, specie nella Milano in cui si è sviluppato prima di approdare in Francia. La mostra si diffonde anche sul dopo-futurismo, sino ad alcuni nostri importanti contemporanei, ma, se è ovvio che una tradizione artistica crei sempre delle influenze, è meno ovvio quello che accadeva prima del fatidico 1909.
In fondo noi siamo stati abituati a pensare che prima ci fossero i realisti alla Michetti che piacevano a D’Annunzio, i ritrattisti per signore alla Boldini, i simbolisti o i divisionisti decadenti alla Previati, tutti che piacevano ai buoni borghesi che frequentavano musei e gallerie; e poi di colpo ci sarebbe stato uno scossone inatteso, uno di quei rivolgimenti rapidi che mutano la storia, come le rivoluzioni, o la natura, come i cataclismi, e sono apparse le avanguardie storiche, tra cui in Italia il futurismo.
Molti conoscono la teoria matematica delle "catastrofi" teorizzata da Thom: una catastrofe, in tal senso, è come una brusca "piega" per cui prima non c’era niente e dopo c’è tutto, o viceversa. In tal senso sono catastrofi il sonno o la morte (monsieur de la Palisse un momento prima di morire era ancora vivo) ma anche, secondo alcune interpretazioni, vari eventi storici come per esempio le sommosse, o moti come una rivolta nelle carceri (e sarebbe catastrofe anche una guarigione miracolosa). Ora la mostra milanese ci fa toccare con mano che il futurismo non è stato una catastrofe. Basta guardare le opere esposte per accorgersi come (per non dire delle forme in liquefazione di uno scultore di fine Ottocento come Medardo Rosso) nei primi anni del Novecento, e prima che appaiano i grandi capolavori del futurismo, proprio mentre Carrà, Balla o Boccioni dipingono ancora i loro quadri figurativi (in cui la critica ha da tempo riconosciuto i germi del futurismo a venire) l’annuncio del dinamismo futurista si annida là dove di solito non lo si attende o non lo si andava a cercare.
Nel 1904 Pellizza da Volpedo fa un "Automobile al passo del Penice" dove l’automobile quasi non si vede ma si vede una strada che scorre per veloci striature di pennello, nel 1907 Previati dipinge un "Carro del sole" che al suo estenuato simbolismo unisce una rappresentazione tangibile del movimento veloce e convulso dell’astro. E sono solo alcuni esempi, ma è come se gli ultimi simbolisti come Alberto Martini annunciassero i futuristi e i futuri futuristi tenessero ancora d’occhio divisionisti e simbolisti. Per non dire di un Angelo Romani che tra 1904 e 1907 elabora ritratti e forme indefinibili chiamate "Urlo" e "Libidine" che non riesco a definire se non simbo-futu-espressio-astrattiste, molto più azzardate dei dipinti futuristi a venire, - e si capisce allora perché il Romani aderirà al manifesto futurista per poi dissociarsene, come se oscuramente cercasse altre cose.
La mostra milanese suggerisce molte riflessioni al di là della vicenda dei movimenti artistici. che siamo stati abituati, dalla storia detta "evenemenziale", a vedere tutti i grandi eventi storici appunto come catastrofi: quattro sanculotti danno l’assalto alla Bastiglia e scoppia la rivoluzione francese, qualche migliaio di scalzacani (ma pare che la foto sia stata artefatta) danno l’assalto al Palazzo d’Inverno e scoppia la rivoluzione russa, sparano a un arciduca e gli alleati si accorgono di non potere convivere con gli Imperi Centrali, ammazzano Matteotti e il fascismo decide di trasformarsi in dittatura...
Invece sappiamo che i fatti che sono serviti di pretesto o, per così dire, di segnalibro per poter fissare l’inizio di qualcosa, avevano un’importanza minore, e che i grandi eventi di cui sono diventati simbolo stavano maturando per lento gioco di influenze, crescite e disfacimenti.
La storia è lutulenta e viscosa. Cosa da tenere sempre a mente, perché le catastrofi di domani stanno sempre maturando già oggi, sornionamente.