Angela Azzaro, Liberazione 19/2/2009, 19 febbraio 2009
«IL MIO AMICO GIORNALE PER UNA DESTRA LAICA»
Flavia Perina è l’unica donna che dirige un giornale di destra. Ma alla guida de Il Secolo d’Italia ci è arrivata prima della collega Concita De Gregorio all’ Unità . La destra più avanti della sinistra? Sicuramente la linea editoriale che Perina porta avanti, dividendo l’impegno con quello di deputata prima di An poi del Pdl, è caratterizzata da una spregiudicatezza che non risparmia critiche neanche ai leader della coalizione e del suo partito. La Russa, giorni fa sul Corsera , passava al contrattacco: « Il Secolo d’Italia è praticamente invisibile».
Sono storie che nei giornali di partito si ripetono spesso, a qualsiasi schieramento si faccia riferimento. Ma certo bisogna riconoscere che su molte questioni oggi sotto i riflettori, migranti ma anche laicità e diritti individuali, Il Secolo non ha avuto paura di rompere con il senso comune e - ci spiega Flavia Perina - «di essere avanguardia». Davanti alla crisi della rappresentanza e della forme tradizionali della politica - crisi resa ancora più acuta dal sistema maggioritario - è importante chiedersi se i giornali di partito abbiano ancora un senso o se la crisi travolga anche loro. Ne abbiamo parlato con Perina al telefono, non prima che la direttrice cinquantunenne finisca di chiudere una pagina. «Faccio pure le didascalie».
Per passione o per forza?
Veniamo da due anni di cassa integrazione. La redazione è composta da dodici persone, compresa me. La scelta, per far vivere il giornale, è stata quella di tagliare tutto, dal personale alla foliazione. Ma siamo riusciti a pareggiare il bilancio.
Il finanziamento ai giornali di partito, che il ministro Tremonti voleva azzerare, è stato reintrodotto nel pacchetto Mille proroghe. Lei è stata tra le deputate che più si è impegnata per raggiungere questo obiettivo. E’ un traguardo che si può dare per sicuro?
Aspettiamo il passaggio alla Camera, ma lo diamo per scontato. Non si tratta di una soluzione permanente. Abbiamo però evitato il peggio. Nella Francia di Sarkozy, tra le misure anticrisi è previsto il raddoppio del finanziamento ai giornali e un’iniziativa per diffondere la lettura tra i giovani. Di fatto non si è ancora trovata un’alternativa all’informazione per garantire il pluralismo democratico.
La norma prevista da Tremonti non attaccava però tutti i giornali, ma solo quelli di partito.
E’ importante sottolineare come ci sia una forte trasversalità che riguarda alcune aree del Pd e del Pdl. La contestazione dei giornali di partito inizia con il governo Prodi e continua nel governo di centrodestra. L’attacco in genere viene da persone che arrivano alla politica da altri percorsi non partitici e sono convinti che i giornali di idee non siano utili.
Ma servono ancora quotidiani come "Il Secolo" o "Liberazione"?
Non avrebbe alcun senso un giornale di partito inteso come bollettino, foglio d’ordine. Come la Pravda o l’ Agenzia Stefani . I giornali di partito hanno senso se sono avanguardia culturale, se cioè danno rappresentanza al dibattito che si muove in alcune aree culturali. Il dibattito, politico e culturale, corrente è rappresentato dai grandi organi di informazione. I giornali di idee devono fare altro.
Se l’ottica è quella dell’avanguardia ha senso porsi il problema delle vendite?
Il problema delle vendite è reale. In Italia, a differenza che in altri paesi europei, si fanno ottimi piccoli giornali. Ma non è mai stata affrontata l’annosa questione della distribuzione. Ma c’è anche un altro problema: l’investimento dei partiti. Non capisco perché se si investe a fondo perduto per manifesti e affissioni, non si faccia altrettanto per il giornale di riferimento. I quotidiani di partito vengono sistematicamente attaccati come se dovessero rendere per forza.
Però è un leit-motiv, a destra e a sinistra: non si vende abbastanza...
Bisogna capire che cosa si intenda per «abbastanza». I giornali di idee sono di per sé elitari, non gli si possono chiedere grandi numeri.
La scelta di essere avanguardia non rischia di far perdere il rapporto con la base del partito?
Faccio un discorso brutale di logica editoriale. A destra l’area berlusconiana in senso stretto compra Il giornale , quelli più vicini alla Lega comprano Libero . Dal punto di vista del mercato è giusto trovarsi un altro spazio.
Veniamo alla linea editoriale. Domenica scorsa avete dedicato il primo piano al tema dei diritti e della laicità. Siete impazziti?
La destra italiana, anche quella di Almirante, è stata molto più laica di come la si dipinge. Quando ci fu il referendum sul divorzio, il presidente del Movimento sociale italiano, Pino Romualdi, votò a favore e lo disse pubblicamente.
Oggi nel Pdl prevalgono posizioni confessionali.
Nel governo ci sono varie anime e non spetta a noi rappresentarle tutte. Ma chi descrive An come una realtà confessionale sbaglia.
Le vostre posizioni e quelle di Fini, che avete sostenuto con forza, non sono isolate nel partito? Dalle dichiarazioni di alcuni dirigenti e ministri sembrerebbe di sì.
Sulla fecondazione assistita, Fini ha espresso posizioni effettivamente minoritarie. Su Eluana Englaro è stato diverso. La posizione del giornale è stata in sintonia con il sentire del partito: di rispettoso dubbio davanti alla tragedia di un padre e della sua famiglia.
Quale legge sul testamento biologico spera venga votata?
Penso che su queste questioni la legge non debba proprio entrare. Se una legge si deve fare, ne basterebbe una che rafforzi il ruolo dei comitati etici.
Lei sa bene che non sarà così.
Certo, so bene che la mia è una posizione minoritaria. A destra come a sinistra, sono in tanti a voler minuziosamente regolamentare le fasi finali della vita. Io non sono d’accordo. E lo dico da cattolica.
Altra questione su cui siete entrati in rotta di collisione con il Pdl: i migranti.
Abbiamo contestato l’uso della categoria della «cattiveria» fatta dal ministro Maroni. E’ una categoria che non va bene, perché evoca un estremismo che gli italiani hanno lasciato alle spalle. La questione degli immigrati è complessa e va affrontata non con la cattiveria ma con la legalità. Pensiamo agli stupri...
Infatti, parliamo di questo. Della campagna politica e mediatica che viene condotta usando i dati sulla violenza contro le donne per attaccare i migranti.
A me ha stupito leggere che il 40 per cento delle violenze sessuali viene compiuto da stranieri. E’ un problema reale. Arrivano in Italia uomini che probabilmente non hanno verso le donne lo stesso rispetto che hanno gli italiani.
I dati Istat, del ministero dell’Interno, ma anche quelli di Amnesty international, dicono altro: il luogo più pericoloso per le donne è la famiglia. E sono mariti, compagni, fidanzati a compiere la violenza. Gli italiani non sono proprio un modello di rispetto.
La statistica di cui parlo dice anche che il sessanta per cento degli stupri è fatto da italiani. Resta quel quaranta per cento riferito a una popolazione di immigrati di circa tre milioni. Il problema esiste e va affrontato.
Con un decreto d’urgenza che rafforza lo Stato di polizia?
Sono per una forte cultura garantista. Ma davanti agli stupri commessi dagli italiani, che pure conoscono le conseguenze penali del loro gesto, serve una drammatizzazione.
Non crede che creare delle crepe nel sistema giuridico, per esempio negando gli arresti domiciliari a chi violenta, faccia passare l’idea che le donne non sono soggetto di diritto ma soggetto da tutelare, quindi soggetto debole?
Sono sofisticherie intellettuali. Io ho due figlie, di 14 e 17 anni, voglio che possano uscire a qualsiasi ora. Un paese in cui le donne hanno paura ad uscire alle 11 di notte, non è un paese civile.
Ma la paura è costruita ad hoc da media e politici.
No, è una paura reale che va contrastata. La sicurezza delle donne è passata in secondo piano. Negli anni Settanta, dopo il delitto del Circeo, se ne è parlato tanto perché si è data alla violenza sessuale una valenza politica, ideologica. Il problema era il maschilismo fascista. Capito che non era così, si è smesso di parlarne.
Dal delitto di Giovanna Reggiani, non si fa altro. Ma per strumentalizzarlo.
C’è un problema di strumentalizzazione, ma la questione va affrontata.
Ritorniamo al suo giornale e al suo futuro. Pensa che la battaglia di laicità che state portando avanti possa avere spazio nella coalizione?
Il successo di Berlusconi è inizialmente legato al fatto che rappresentava un movimento laico, non ideologico, non confessionale. Spero che il Pdl recuperi quello spirito.
A Marzo An si scioglie definitivamente nel Pdl. A quel punto "Il Secolo d’Italia" avrà ancora senso?
Ne avrà ancora di più. Il Pdl sarà un grande partito in cui si incontreranno tante culture, sarà importante rappresentarle tutte. Il pluralismo è un valore della destra che va difeso.