varie, 19 febbraio 2009
MAICON
(Maicon Douglas Sisenando) Novo Hamburgo (Brasile) 26 luglio 1981. Calciatore. Difensore. Lanciato dal Cruzeiro (campione del Brasile nel 2003), poi al Monaco, dal 2006 all’Inter, ha vinto la Champions League 2010, gli scudetti 2007, 2008, 2009, 2010, la coppa Italia 2010 ecc. Con la nazionale ha vinto la Copa América 2004 e 2007 e la Confederations Cup 2005 e 2009 • «[...] definito già in patria, ai tempi del Cruzeiro (2001-2004), l’erede di Cafu [...] è un brasiliano gaucho, ovvero dello stato meridionale del Rio Grande do Sul. Nato [...] a Novo Hamburgo, cittadina a nord della capitale regionale Porto Alegre, ma cresciuto sulla costa, a Criciuma, all’età di 15 anni Douglas’che proviene da una famiglia benestante (suo padre ha giocato in difesa nell’Internacional di Porto Alegre)’ha partecipato senza successo a uno stage del Gremio, la squadra nelle cui giovanili stava emergendo un certo Ronaldinho. Per lui il grande calcio è arrivato qualche anno dopo col trasferimento al Cruzeiro di Belo Horizonte, il club nel quale si rivelò Ronaldo.Con quella maglia Maicon ha vinto il campionato brasiliano del 2003 e i campionati dello stato di Minas Gerais del 2003 e del 2004. Acquistato dal Monaco per 3.5 milioni di euro [...] è molto piaciuto in fase di proiezione offensiva [...] meno in quella difensiva [...]» (Paolo Condò, ”La Gazzetta dello Sport” 13/1/2006) • «[...] Sono figlio d’arte. Mio padre ha giocato in B, terzino destro naturalmente [...] Devo molto a mio padre, mi ha formato il carattere con un atteggiamento duro: se non vado bene, si scatena con lavate di capo che lasciano il segno. Se vado bene, tace perché ho solo fatto il mio dovere. Alla lunga la tattica funziona [...] Un dirigente del Gremio, Joares, amico di mio padre, mi prese nelle giovanili: centrocampista. Avevo quindici anni. Ma dopo pochi mesi, fui mandato via: ”Non hai il fisico, ragazzino”. Capite la delusione? [...] nel 1997 ad allenare la formazione Berretti arriva un vecchio compagno di squadra di papà. Nel frattempo mi ero alzato di parecchi centimetri, lui mi ha chiamato ed è cominciata la scalata. Da terzino destro [...] Andiamo a giocare un torneo giovanile, perdiamo proprio contro i padroni di casa ma i dirigenti dopo la partita mi chiedono in prestito per il successivo torneo in programma a SanPaolo. Io vado a giocare con loro e non mi mollano più. Sono rimasto lì per sei stagioni, togliendomi grandi soddisfazion [...]» (Nicola Cecere, ”La Gazzetta dello Sport” 6/2/2007) • «Sisenando tira forte si può sentire il rumore della rete che si gonfia [...] Sisenando parte forte, a volte sembra di sentire il rumore dell’aria che sposta, tanto è devastante quando calpesta l’erba della sua fascia. [...] è una specie di Braccio di Ferro, ma al contrario: forte come Popeye, e su questo non ci sono dubbi, però le verdure le mangia dopo aver fatto uno sforzo, non prima: ”A casa mia moglie Simone mi prepara la sopa, una zuppa di verdure. Non mi gonfia i muscoli, non mi fa correre di più: semplicemente mi fa bene e la mangio sempre dopo le partite. Sempre”. Sisenando Maicon non sa perché si chiama così: ”Boh, non ne ho idea”. Però sa che il suo vero nome è questo: ”Non Douglas: Sisenando. E comunque la storia che mi chiamo Douglas perché mio padre voleva darmi il nome di un attore è una gran cavolata [...] Mi chiamo come mio padre, che è Manuel Sisenando [...] Mio padre ha scoperto chi erano davvero suo padre e suo fratello [...] anni fa: con il Cruzeiro andai a Joinville e i suoi parenti, che vivevano lì, lessero che sarebbe andato in campo un giocatore nero chiamato Sisenando Maicon. Non poteva che essere sangue del loro sangue, ci hanno rintracciato e mio padre ha riabbracciato la sua vera famiglia dopo 40 anni [...]» (Andrea Elefante, ”La Gazzetta dello Sport” 26/9/2008) • «’Quanto è forte Maicon”, gridano sempre allo stadio i suoi adoranti tifosi, e la frase più che un’affermazione è una domanda: quanto margine di crescita ha ancora questo straordinario giocatore, cresciuto nel Cruzeiro, arrivato all’Inter quasi sconosciuto nel 2006 dopo due stagioni al Monaco per appena 5 milioni e diventato [...] il terzino destro più forte del mondo, valore stimato 40 milioni? Già, perché Sisenando Maicon Douglas [...] cittadina brasiliana fondata da emigranti veneti, a ogni partita sposta più in là l’orizzonte dei suoi limiti. [...] Esemplare autentico di calciatore moderno, un Bronzo di Riace con i piedi di velluto e i polmoni del Bolt duecentista, nel kit di Maicon c’è tutto: muscoli e tecnica [...], corsa e potenza [...], vocazione genetica all’attacco anche grazie a un’incredibile capacità di giocare senza palla (vedi il gol alla Reggina) ma anche disciplina acquisita nel difendere, antico suo punto debole. ”In Brasile attaccavo e basta”, ricorda spesso Maicon. Grazie al lavoro di Mancini prima e di Mourinho poi, ha corretto il difetto e ha addirittura spostato per sempre Javier Zanetti dalla fascia destra. Solo un colosso poteva sradicare un monumento (facendogli peraltro il favore di allungargli la carriera, perché in mediana si corre di meno...) e sarà anche per questa impresa che Moratti di [...] lo ha candidato al Pallone d’oro. Brasiliano vero nelle manifestazioni di gioia, nelle smorfie durante il gioco, negli scherzi in spogliatoio e in certe digressioni extracalcistiche [...]» (Alessandro Pasini, ”Corriere della Sera” 22/12/2008) • «Maicon è il gomito in fuori: corre così, col petto dritto, i polsi tesi e i gomiti piegati. Sembra un’ala, quel braccio: l’angolo tiene la vela spiegata per spingere di più. Corre, corre, corre. Veloce e continuo, perché così si fa avanti e indietro, prima di battersi il petto, prima di urlare ”sono il più forte”. Maicon ha la faccia di uno che sa di essere sopra la media: glielo si legge in faccia e anche ogni volta che apre la bocca. Non è modesto, non è dimesso. Non ha bisogno di schermirsi perché è diverso: l’unico nel ruolo e nel genere, un colosso agile, un armadio pesante e mobile, un difensore, un centrocampista, un attaccante. Moderno, di più: contemporaneo. Quello che manca in ogni altra squadra ce l’ha l’Inter ed è Maicon che ha alcuni tocchi da calcetto e il fisico da football americano. L’immagine è sempre quella di Siena: il tocco di esterno a scavalcare il portiere e poi la corsa verso la curva, seguito da Mourinho. Nudo, perché è un gladiatore. Maschio, perché un gol così all’ultimo minuto o quasi dice che hai le palle. Poi il pugno sul pettorale, l’allenatore scosso come un cestino di vimini sotto il suo braccio. ”Sono forte, sono forte, sono forte”. Il mantra non gli serve a darsi coraggio, ma a toglierlo agli altri: Maicon per se ha già fatto abbastanza e non ha bisogno di convincersi ancora. Neanche gli avversari, però. Bisogna trovarselo davanti una volta: Ibrahimovic spaventa per la classe, lui per la forza, perché chiunque gli si metta di fronte sa che sarà superato in velocità e se resisterà diventerà una mosca attaccata alla linea laterale, schiacciato da questa pressa che mulina metri con il pallone e senza. un Facchetti di oggi, con più potenza e forse meno gol, è diverso eppure simile: l’idea di andare, di partire, di seguire, di indicare con uno scatto l’idea di un lancio, di una giocata, di uno schema. Mettigliela sulla corsa e poi lascialo giocare. La paura che fa sta nel sapere che ha anche i piedi, che accarezza la palla come ha fatto contro il Milan nel cross del gol di Adriano, come ha fatto altre volte. Allora ammesso che uno riesca a contenerlo fisicamente, poi dev’essere in grado di contrastarlo anche tecnicamente. Non è il primo terzino che sa fare tutto, solo che è l’unico che sa farlo con questa continuità. Non ha inventato un ruolo, l’ha adattato alle sue caratteristiche: peso per altezza, per agilità, per tecnica, per tattica. [...] Nel suo ruolo non c’è un solo calciatore nel pianeta che possa pensare di essere meglio di lui. E forse non reggono anche altri rivali di altri ruoli. Dici ”ma è un terzino”. E’ questo il bello: il calcio di oggi è fatto di questi mostri, di quello che una volta era il due, stava perennemente sulla fascia destra a controllare l’ala sinistra agile, scattante, tecnica, oggi trasforma quello stereotipo in una statua di bronzo che fa 105 metri in 13 secondi. Qualcuno l’ha chiamato Bolt, come il recordman dei cento metri alle Olimpiadi di Pechino. Maicon è identico nella corsa spavalda e diverso nell’approccio allo sport. Qui non ci sono le chiacchiere della Giamaica: il sole, il mais, l’alimentazione strana, gli allenamenti a piedi nudi. Qui c’è una catena di montaggio personale che gli ha permesso di costruirsi campione. Si allena anche nel cervello, da solo, quando gli altri hanno finito. Conta i passi giusti della falcata, calcola i tempi di reazione. Si studia, si capisce, si migliora. Si guarda. Allora appena arriva a casa dopo la partita Maicon si rivede: ”A volte ritorno dalle trasferte alle tre di notte e mi riguardo subito per capire dove posso migliorare”. [...] Non è simpatico, non fa nulla per sembrare accomodante, non ama le domande, non si presenta in tv, non si lascia avvicinare dopo gli allenamenti. A volte, quando sgomma con il suo Suv nel parcheggio di Appiano Gentile, la sua faccia spunta appena dai vetri oscurati. Si vede una smorfia, un ghigno, un piccolo sorriso beffardo. Si ferma appena un attimo per qualche autografo, poi va. Non cerca l’approvazione dei tifosi. Gli basta quel coro che arriva ogni domenica: ”Quanto è forte Maicon, quanto è forte Maicon, quanto è forte Maicon”. La curva dell’Inter lo canta sullo stesso motivetto sul quale i milanisti hanno intonato l’inno che ha fatto restare Kakà a Milano: ”Non si vende Kakà”. L’analogia non regge perché Sisenando non sarà mai Ricardo. Però vai a sapere chi conta di più: Maicon è stato in grado di sfrattare dalla fascia destra un monumento interista come Javier Zanetti. Se non basta questo a dargli il patentino di indispensabile, basterà il fatto che il Brasile non può più fare a meno di lui. [...] Mourinho non lo sostituisce mai. [...] Maicon gioca sempre. Gioca anche quando sbaglia, tipo nell’ultima notte alcolica di Adriano [...] Arrivarono all’allenamento del giorno dopo insieme, in ritardo e nelle stesse condizioni. Adriano fuori, Maicon dentro. In campo la domenica dopo, perché dopo mezza seduta era già tornato se stesso. Intoccabile anche quando sbaglia, non perché è raccomandato, perché si riprende. Quando tutti chiedevano a Mourinho di far esordire Santon, José rispondeva così: ”Non posso farci niente se ha davanti il terzino destro più forte di sempre”. Perché Mourinho non può rinunciare a Maicon, neanche un minuto. ”Lui non è il migliore del mondo, ma nessuno è come lui”. [...] Francesco Guidolin [...] l’ha trasformato nel calciatore che è oggi: ”In Brasile attaccavo e basta, lui mi ha fatto lavorare su questo, gli devo dire grazie. Sono migliorato molto nella fase difensiva [...]”. Montecarlo è stata la prima tappa europea. Arrivava dal Cruzeiro, la squadra che l’aveva allevato quando il Gremio decise che era troppo piccolino per poter reggere il calcio. L’Inter l’ha preso dal principato per cinque milioni quando ancora nessuno sapeva bene chi fosse. [...] Vive felice a Milano con la moglie, la figlia Marcella e il figlio Felipe che è uguale a lui [...] Quando giocava ancora nel Cruzeiro avevano calcolato che in una partita fa almeno quaranta volte il giro completo del campo: trecentocinquanta metri per quaranta fa 14mila metri. Sono 14 chilometri e sembrano tanti. Diciamo la metà, anzi un terzo: quattro chilometri e mezzo ogni partita. A testa alta, col gomito in fuori e il petto dritto. Poi i dribbling, i crossi, gli assist. La presenza fissa, autoritaria, dominante dice agli avversari che dalla fascia destra dell’Inter non si può passare. Lo zoom arriva sempre su un tocco d’esterno oppure su quelle smorfie che fa ogni tanto durante la partita: digrigna i denti, gonfia le guance, sgrana gli occhi, urla, bisbiglia, sbuffa. un’abitudine e forse anche l’unica cosa che lo rende personaggio anche senza un pallone. una faccia diversa ogni volta e sempre unica. Non si riconosce neanche lui: ”Mi riguardo e mi dico: ma chi è quello?”» (Beppe Di Corrado, ”Il Foglio” 19/2/2009).