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 2009  febbraio 19 Giovedì calendario

BIENNALE 2009. ECCO CHI STATO SCELTO E PERCH. I CURATORI PRESENTANO LE LORO STAR

Nel 2007 erano due artisti. Quest’anno saranno venti. Ma lo spazio espositivo è più che raddoppiato, circa duemila metri quadri. Altra novità importante, la costruzione di un ponte che ci collegherà alla strada principale verso i Giardini, evitando al pubblico l’obbligo di circumnavigare l’intero Arsenale per vedere la rappresentanza italiana. A proposito, il nostro Padiglione torna a chiamarsi Italia: quell’aggettivo ”italiano” suonava davvero come una rinuncia in anticipo, del tutto improprio per il Paese ospitante, che alla sua Biennale non può certo accontentarsi di una presenza esigua, di basso profilo.

Ci lavoriamo dallo scorso 30 settembre, Beatrice Buscaroli e io. Dal giorno in cui il ministro Sandro Bondi con una semplice telefonata, senza strategie, incontri, cene, pressioni, salotti ecc…, ci annuncia la sua intenzione di nominarci curatori a Venezia. Impossibile non vederci dietro un segno del destino: praticamente omonimi, stessa generazione, curriculum alternativo agli iperspecializzati (la Bea da storico dell’arte, io un po’ di cinema e tanta musica), entrambi collaboratori fissi a due quotidiani politicamente schierati, Buscaroli su Il Giornale, io per questa testata. Già, Libero mi ha portato fortuna, visto che alcuni miei articoli stimolarono la curiosità di Bondi. Quale occasione migliore per ringraziare il direttore Vittorio Feltri e gli amici della redazione cultura. Dulcis in fundo, un grazie di cuore lo rivolgo a Giampiero Mughini, che mi ha dato la ”dritta” per avvicinarmi a Libero: fratellanza juventina nel mondo.

’Collaudi”: così si chiamerà la nostra mostra per il Padiglione Italia. Il titolo è un’invenzione di Beatrice, ispiratasi al genio di Filippo Tommaso Marinetti nell’anno del centenario futurista. Proprio a ”Effetì” e al suo movimento è dedicato il progetto: padre orgogliosamente italiano di tutte le avanguardie, Marinetti ci ha insegnato che la modernità non può avere un’unica strada o un solo linguaggio. Piuttosto, è questione di predisposizione d’animo che tocca tutti gli stili e gli strumenti. Un mix tra conservazione e innovazione, pittura e performance, scultura e video, installazione o arte sacra, cinema e disegno. Come i Futuristi, non vogliamo innalzare steccati, ma tentare di essere pluralisti.

Altro elemento teoricamente fondante: riteniamo superata l’ideologia del simulacro. Non ci interessa invitare l’artista per ciò che eventualmente rappresenta, ma testimoniarne il pensiero attraverso l’opera. Le opere, infatti, ci saranno, evidenti, presenti, senza bisogno di andarle a cercare chissà dove. E poi diciamo basta alla provocazione tout court, necessaria alla cronaca, meno all’arte, all’effetto choc, all’apologia del negativo, ai fenomeni da baraccone e agli atteggiamenti troppo elitari. L’arte, come la poesia, va condivisa con più pubblico possibile. Francamente, ci interessano molto di più il divertimento e la meraviglia di persone semplici, del finto plauso dei presunti addetti ai lavori.

A Venezia saranno ben rappresentate le generazioni recenti e, rispetto al passato, ci sarà una buona selezione di pittura, figurativa e non, con declinazioni diverse e sfumature ampie.

Dall’iperrealismo manierista di Nicola Verlato - un ragazzo veronese che sei anni fa senza un soldo in tasca se ne è volato a New York, soffrendo e lottando, e ora viene ben considerato da diversi critici americani - ai bellissimi paesaggi di Daniele Galliano, uno che la pittura la riempie d’anima, forzandone il ritmo, lavorando tra discontinuità e fratture, figlio di quella stessa Torino da cui provengo io, che mai si è piegata supinamente allo strapotere dell’Arte Povera.
Legame col Futurismo

Se Luca Pignatelli rappresenta l’anello di congiunzione tra la pittura d’immagine e l’introduzione di materiali anomali, linea culturale che parte addirittura da Burri, Manfredi Beninati, il quale vive stabilmente a Los Angeles, incarna il nuovo romanticismo del XXI secolo, caldo e visionario. Ben rappresentata l’astrazione nelle composizioni sintetiche pop di Davide Nido e nell’attento lavorìo analitico di Roberto Floreani, anche scrittore, critico, uomo di teatro, intellettuale a tutto tondo, che crede nella pittura in quanto forma di relazione. Da osservatori generazionali differenti sia Marco Cingolani sia Valerio Berruti - trentaduenne, il più giovane della partita - mettono in risalto il tema del sacro e della spiritualità, poiché ”cattolico” è il cuore dell’arte: Cingolani su grandi quadri che rielaborano le storie della Bibbia alla stregua di cronache contemporanee, Berruti addirittura avendo scelto di abitare in una chiesa in un piccolo paese nella provincia di Cuneo.

Ci è sembrato a questo punto opportuno andare alla ricerca di matrici importanti per consolidare la nostra poetica. Il legame Futurismo-Nuovo Futurismo corre nelle installazioni luminose di Marco Lodola, una strada cominciata in era postmoderna negli anni ”80, mentre Sandro Chia si segnalava come uno dei grandi protagonisti internazionali della Transavanguardia.

Entrambi i modi rappresentarono una forte rottura al cosiddetto darwinismo evoluzionista applicato all’arte. Furono quelli non solo i tempi della nostra giovinezza, ma soprattutto gli istanti in cui si poteva finalmente ammirare un dipinto in un museo contemporaneo o contemplare la possibilità di un’arte più leggera, positiva, contaminata, attuale.

Né possiamo dimenticare il poderoso cammino di Gian Marco Montesano, capace di coniugare la grande Storia del ”900 con le piccole storie quotidiane: la guerra e la famiglia, i dittatori e l’avanspettacolo, le distruzioni e l’assurdo teatro dell’esistenza.

Il Padiglione Italia sarà ricco di altri linguaggi, in barba a chi ci definisce conservatori amanti della pittura. Però con una differenza rispetto alle estetiche altrui: il prodotto dovrà essere eccellente, tecnologico e insieme artigianale, nel pieno rispetto della ”qualità Italia”, unica chance di nostra competitività nell’era del globalismo tarocco, che si parli d’arte o d’altro.

Ad esempio i video del duo milanese MASBEDO sono intensi e coinvolgenti perché raccontano storie emozionanti, mentre le videoinstallazioni multimediali di Elisa Sighicelli e di Silvio Wolf risulteranno certo più fredde, mentali, ma comunque seducenti e intriganti. Tra scultura e installazione la qualità è fatta salva: l’atesino Aron Demetz è certo tra i più nobili interpreti della tradizione lignea locale, senza mai cadere nella trappola del cliché figurativo. Pirotecnico, oltre i limiti del possibile, l’uso che Bertozzi & Casoni fanno della ceramica, continua invenzione arcimboldesca e iperbolica. Una magnifica ossessione quella di Nicola Bolla che delimita il mondo tempestandolo di cristalli Swarovsky, metafora della Vanitas che affligge l’uomo dalla nascita alla morte.
Performer e fotografi

Per Sissi, invece, la scultura è corpo, anzi estensione del proprio corpo nello spazio, che abbraccia le cose, se ne impossessa, le rivendica a sé. Un particolare uso della fotografia, ibrida e contaminata, niente a che vedere con le crudezze del reportage, passa nei lavori di Giacomo Costa e Matteo Basilé. Il primo parte dalle architetture per poi stravolgerle, il secondo da inquietanti (di inquietante bellezza) presenze umane che attraversano il paesaggio contemporaneo.

Inutile dire che questa Biennale ci appassiona e ci coinvolge. Beatrice Buscaroli e io ne siamo totalmente immersi, non vivendola come sfida a imporre la nostra visione critica, ma piuttosto con l’obiettivo di riportare l’arte e la cultura italiana al centro. Con orgoglio, proprio come ci hanno insegnato Marinetti & C.