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 2009  febbraio 10 Martedì calendario

A 80 ANNI DALLA FIRMA DEL CONCORDATO


Caro Augias, da più parti s’è rilevato l’attacco del Premier al Capo dello Stato. A me sembra altrettanto grave l’attacco rivolto dalla Chiesa per la mancata firma del decreto Englaro, una censura sulle prerogative presidenziali esercitate con correttezza, dato che quel decreto incideva su una sentenza passata in giudicato. La Chiesa ha anche tifato per le iniziative del Premier, sovrapponendosi all’autonomia e laicità delle istituzioni. L’art. 7 della Costituzione precisa che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Sono quindi "società perfette", nessuna delle due si legittima verso l’altra come promotrice di salvezza in nome di una morale superiore alle altre, perché ritenuta "ispirata". Temo che la critica esercitata sui meccanismi costituzionali sconfini nel vilipendio, visto che i protocolli in atto sulla povera ragazza sono stati definiti "omicidio". La Chiesa si ostina ad imporre un compito che si è autoattribuito: angelo custode della vita delle persone e dello Stato.
Giacomo GrippA

Domani saranno ottant’anni dalla firma del Concordato poi recepito, grazie all’articolo 7, nella Costituzione. Venne approvato con il voto del Pci (contrari i socialisti), per evitare "ulteriori lacerazioni" al paese. L’art. 7 pone la chiesa cattolica in una posizione privilegiata rispetto alle altre confessioni, soprattutto trascina i Patti Lateranensi (1929) nel sistema costituzionale. Sul tema il professor Michele Ainis (Diritto Pubblico, Roma Tre) ha appena pubblicato (Garzanti) il saggio "Chiesa padrona" dove si legge: «Le istituzioni ecclesiastiche restano istituzioni di uno Stato straniero, la questione ci riguarda quando il diritto canonico contamina il diritto dello Stato italiano? e ci riguarda maggiormente quando da quel pulpito piovono scomuniche e indirizzi per condizionare la vita pubblica italiana». Lasciando da parte i dolorosi casi presenti, basta ricordare che nel marzo 2007 l’attuale papa tedesco esortò all’obiezione di coscienza in difesa della vita non solo farmacisti e medici ma anche i giudici che, a norma di Costituzione, sono "soggetti solo alla legge". Scrive Ainis: «Se potessero rifiutarsi di rendere giustizia facendo appello ai propri umori e amori personali, verrebbe scardinato lo Stato in sé, l’ordine civile». Il papa in realtà gioca sulla doppiezza del suo ruolo; può parlare alle coscienze, in quanto capo di una religione; ma può anche rivolgersi ai potenti in quanto capo di uno Stato sovrano. Sarebbe come se ai magistrati italiani si fossero rivolti il presidente francese Sarkozy o quello americano Obama. Certo ci sarebbe stata una protesta diplomatica per palese interferenza. Nel caso di Ratzinger non c’è stata per due motivi: l’oggettiva ambiguità (potrei dire il pasticcio) combinato con l’articolo 7, la tempra non proprio leonina dei politici italiani che dovrebbero tutti arrossire di fronte alla lezione di correttezza repubblicana data dal presidente Napolitano.