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 2009  febbraio 17 Martedì calendario

I MASTINI DEL COPYRIGHT PORTANO IN TRIBUNALE I "PIRATI"

La loro strategia difensiva è di quelle che un avvocato non consiglierebbe mai. A nessuno. Loro invece hanno deciso di «buttarla in politica». Il soggetto? Sono quattro trentacinquenni, poco più, che si trovano a sfidare in un’aula di tribunale l’«Ifpi». Una sigla poco conosciuta ma che pure «nasconde» una delle più potenti associazioni nel mondo: raggruppa la Emi, la Warner, la Sony. Raggruppa le major, i potenti della musica. I detentori del copyright. L’Ifpi ci ha riprovato, insomma. E ha deciso di portare in tribunale «Pirate Bay», il sito più visitato al mondo, il luogo - virtuale - dove passa chiunque voglia cercare musica o immagini da scaricare dalla rete. Le major ci hanno già provato tante altre volte, durante questi anni, e sempre senza risultato. Ora tornano alla carica: e da ieri è cominciato il processo, a Stoccolma, contro Gottfrid Svartholm Warg, Fredrik Neij, Carl Lundstrom ma soprattutto contro Peter Sunde, la vera anima del «Pirate Bay». I discografici accusano i quattro di aver violato il copyright in milioni di occasioni e chiedono un «risarcimento» miliardario.
Come è già avvenuto in tanti altri paesi. Perché un po’ tutte le nazioni europee hanno provato - su pressione delle lobby della musica - a mettere i bastoni fra le ruote al sito. Anche in Italia, come si ricorderà, un solerte giudice di Bergamo, quest’estate, prima ancora di avviare il processo, decise di oscurare per gli utenti italiani le pagine dei «pirati». E ci furono altrettanto solerti funzionari della Guardia di Finanza che - attraverso un complicato meccanismo di «reindirizzo automatico» - crearono le condizioni per schedare tutti gli utenti che si rivolgevano alla baia. Senza sapere se questi navigatori violassero il copyright, perché al sito si può andare per cercare qualsiasi cosa. Anche materiale legale. Eppure tutti furono schedati. Cosa vietata dalla nostra legislazione. La cosa poi finì in una bolla di sapone, fu trovato un vizio di forma nel provvedimento e tutto fu accantonato. Ma anche questo precedente serve a capire qual è l’attesa, il clima che circonda il processo. Con gli occhi del mondo puntati su Stoccolma, la capitale del paese che ospita i server, i computer della «baia».
Telecamere accese, allora. Ma ad accenderle, stavolta, sono stati soprattutto i quattro «pirati» telematici. Fuori dal Palazzo di Giustizia hanno allestito un camper, dove le notizie sul processo sono aggiornate minuto per minuto, dove vengono messi in rete immagini, video e commenti. I quattro - Peter Sunde soprattutto, come si diceva - ne vuole fare un caso.
Certo, dalla loro hanno - dovrebbero avere - la legge. Ed è facile capire perchè. Il loro sito, in realtà, non fa nulla di illegale: mette solo a disposizione degli utenti un indice. Un elenco dei file «torrent». In pillole (e senza alcuna pretesa d’essere esaurienti): prima, fino a qualche anno fa, i file si scaricavano da un computer all’altro. Ci si metteva in contatto e, attraverso la rete, ci si passava un brano o un film. Bram Cohen, un programmatore di San Francisco, sette anni fa si inventò un nuovo protocollo: da allora, i file non devono più fisicamente «risiedere» su un singolo computer. Il file viene spezzettato in decine di parti: una è su un pc, un altro pezzo altrove e così via. In questo modo, il brano - se si parla di musica - si scaricherà molto più velocemente. E soprattutto non accadrà, come avveniva prima, che se uno dei pc viene disattivato, diventa impossibile proseguire l’operazione. Ora i «bit.torrent» se un computer si spegne vanno a cercarsene un altro, che contiene lo stesso pezzo di file. E alla fine, i «torrent» rimontano il tutto, pronto per essere ascoltato.
Ecco, «Pirate Bay» in realtà è solo un elenco. E’ solo un indice di dove, sparsi su tutta la rete, sono rintraccabili le varie parti di una canzone, di un film o di qualsiasi altra cosa. E’ esattamente come l’elenco dei libri disponibili in una biblioteca. Cosa poi contengano quei file, se vi sia materiale protetto da copyright o da brevetti, è un problema che non riguarda la «Baia».
Questo sul piano legale. Ma, come detto, Peter Sunde vuol fare di più. Vuole fare del processo contro di lui un processo a chi, in un mondo che sempre più tende a scambiarsi saperi, vuole continuare a fare soldi coi diritti d’autore. Vecchi di cento anni. E sul suo sito, BrokeP - come si fa chiamare Sunde in rete - dice che ormai il processo è diventata una tappa della battaglia per un «altro» modello di circolazione della cultura. Libero, dove le conoscenze di uno vadano ad arricchire le conoscenze degli altri. Dove un’opera artistica sia riutilizzabile, senza dover pagare tangenti alle major. «Noi difendiamo la scelta politica per cui la tecnologia deve essere libera e non controllata da entità che non sanno apprezzare la tecnologia». E’ pronto a dare battaglia, insomma. E magari, come avvenne al termine di un altro inutile processo alla «Baia» in Danimarca, è pronto a ritirar fuori sul suo blog quella foto, con su un gattino, piccolo, che azzannava un lupo. E con la scritta: «Fascists 0, Internet 1». In questo caso sarebbe due a zero.