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 2009  febbraio 17 Martedì calendario

COME IL CANADA BATTE LA CRISI

I
l leggendario direttore di The New Republic, Michael Kinsley, una volta indisse un concorso per il titolo più noioso dell’anno e decise di attribuire la vittoria a «Una lodevole iniziativa canadese». Ventidue anni più tardi, la rivista fu salvata dalla sua crisi finanziaria grazie a un editore canadese, una bella lezione di umiltà per noi americani. Oggi ci sono motivi ben più tangibili per rendere omaggio alle virtù canadesi. Indovinate quale Paese, l’unico nel mondo industrializzato, non ha subito un solo fallimento bancario, né preteso salvataggi o interventi governativi nel settore finanziario e ipotecario? Ebbene sì, questo Paese è il Canada. Nel 2008, il World Economic Forum ha decretato che il sistema bancario canadese è il più solido al mondo. Gli Stati Uniti sono scivolati invece al 40˚posto, la Gran Bretagna al 44˚.
Il Canada non si limita a sopravvivere alla crisi finanziaria, ma sta facendo molto di più e si ripropone di trarne immensi vantaggi. Le banche canadesi sono ben capitalizzate e pronte a cogliere tutte quelle occasioni ormai fuori portata per le banche americane ed europee. La Toronto Dominion Bank, per esempio, un anno fa era la quindicesima banca in America del Nord per ordine di grandezza. Oggi è la quinta. Ma non è cresciuta a dismisura, sono state le concorrenti a ridimensionarsi.
Come spiegare il genio dei canadesi? semplice buon senso. Nell’arco degli ultimi 15 anni, mentre Stati Uniti ed Europa allentavano i controlli sulla loro industria finanziaria, il Canada ha rifiutato di seguire la stessa strada, considerando anzi la vecchia normativa come un necessario ammortizzatore. Le banche canadesi, in media, sono esposte al
leverage in un rapporto di 18:1 – mentre quelle americane si aggirano sul 26:1 e le europee toccano uno spaventoso 61:1. In parte ciò riflette la cultura imprenditoriale canadese, molto più cauta davanti al rischio, ma è altresì il risultato della corretta applicazione delle vecchie regole bancarie.
Il Canada è stato inoltre protetto dai peggiori aspetti della crisi perché i prezzi del suo mercato immobiliare non hanno conosciuto le oscillazioni estreme del mercato statunitense. I prezzi immobiliari sono scesi del 25% negli Stati Uniti, ma solo della metà in Canada. Perché? Innanzitutto, il fisco canadese non prevede massicci incentivi all’iperconsumo, come negli Usa: nel nostro vicino a nord, gli interessi sui mutui non sono deducibili. Secondo, i prestiti ipotecari negli Usa sono «senza regresso », il che significa che se non riesci a ripagare il mutuo, il problema è della banca. In Canada, il problema è tuo. Noi tutti conosciamo a memoria le belle parole dei politici americani sulla necessità di questi programmi costosi – la sola deducibilità degli interessi costa al governo federale qualcosa come 100 miliardi di dollari all’anno – perché consentono al cittadino medio di coronare il sogno americano di diventare proprietario della sua casa. Il 68% degli americani è proprietario di abitazione. E in Canada? La cifra tocca il 68,4%. Nell’ultimo decennio, il Canada ha fatto mostra di grande responsabilità. Per 12 anni consecutivi ha chiuso i bilanci in attivo e oggi ha risorse da spendere per alimentare la ripresa da una posizione di forza. Il governo ha ristrutturato il sistema pensionistico nazionale su solide basi fiscali, a differenza della Sicurezza sociale americana, già insolvente. Il sistema sanitario canadese è di gran lunga meno costoso di quello americano (pari al 9,7% del Pil, mentre quello americano tocca il 15,2%), eppure i suoi risultati sono migliori sotto tutti i principali indici. L’aspettativa media di vita è di 81 anni in Canada, contro i 78 anni in America; l’aspettativa di «una vita sana» è di 72 anni, contro i nostri 69. L’industria automobilistica americana ha trasferito un gran numero di posti di lavoro in Canada per sfruttare i minori contributi per la salute, tanto che dal 2004 è l’Ontario, e non più il Michigan, la regione del Nord America dove si producono più macchine. E potrei andare avanti di questo passo.
Attualmente, negli Stati Uniti la normativa sull’immigrazione è rimasta ferma al passato. Emettiamo un numero assai limitato di visti per lavoro e permessi di soggiorno, respingendo dai nostri confini migliaia di menti capaci che vorrebbero stabilirsi e lavorare qui da noi. Il Canada, invece, non pone limiti al numero di immigrati qualificati cui è consentito l’ingresso nel Paese. Costoro possono fare domanda direttamente per ottenere un visto come lavoratore qualificato, che consente loro di trasformarsi in «residenti permanenti » nel Paese, nella piena legalità. Non occorre dimostrare di avere già un lavoro né lettera di assunzione. I visti vengono concessi in base al livello di istruzione, esperienza lavorativa, età e conoscenza delle lingue. Se l’immigrante raggiunge un punteggio di 67 su un totale di 100 (un dottorato di ricerca vale 25 punti, per esempio), ottiene immediatamente la residenza legale e permanente in Canada.
Le aziende aguzzano la vista. Nel 2007 la Microsoft, spazientita per le lungaggini nell’assumere laureati negli Stati Uniti, ha deciso di aprire un centro di ricerca a Vancouver. Nel suo annuncio, l’azienda prometteva di prendere alle sue dipendenze «i lavoratori qualificati che non riescono a ottenere i visti di ingresso negli Stati Uniti». E così i più bravi ingegneri informatici cinesi e indiani, che vengono dapprima formati nelle università americane e poi espulsi dal Paese, approdano in Canada, dove la stragrande maggioranza di loro si stabilirà per lavorare, innovare e pagare le tasse per tutta la vita.
Se il presidente Obama ci tiene a formare un governo in gamba, ha molto da imparare – come del resto tutti noi – dal nostro tranquillo vicino a nord, anche se talvolta può apparire noioso. Nel frattempo, nelle riunioni del mondo finanziario, il Canada propone nuove regole per gli istituti bancari, in linea con il suo approccio. Ecco, questa mi pare davvero una lodevole iniziativa canadese.
© Newsweek 2009
traduzione di Rita Baldassarre