Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  febbraio 17 Martedì calendario

LA BICICLETTA LAVATA CON CURA DOPO IL DELITTO"

Un’impronta digitale dell’imputato mescolata al Dna della vittima, la bicicletta «almeno in parte ripulita», il suo computer spento all’improvviso la sera prima del delitto, il mistero di una chiavetta Usb sparita. A una settimana dall’udienza preliminare che deciderà il destino di Alberto Stasi, la parte civile cala una serie di assi che sembrano rendere più difficile la posizione del giovane, accusato di aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto 2007.
I nuovi elementi sono contenuti in due consulenze tecniche, depositate ieri mattina alla cancelleria gup di Vigevano e firmate dal genetista Marzio Capra e dall’ingegnere informatico Paolo Reale. Lo spunto più interessante è relativo al dispenser di sapone liquido marca «L’Angelica» repertato nel bagno della vittima: sopra c’erano non solo due impronte digitali di Alberto, ma anche il Dna di Chiara. Una «contestuale presenza» che potrebbe significare molto: la traccia di materiale genetico della ragazza sarebbe stata evidentemente «riportata» dall’assassino al momento di lavarsi le mani dopo aver commesso il delitto. Alberto tra l’altro aveva lasciato sull’erogatore le impronte papillari di un dito che si usa poco, l’anulare destro, facendo presumere che, al momento di premere la levetta, avesse le altre dita imbrattate.
In bagno l’assassino è andato di sicuro, come dimostrano le sette orme insanguinate, tre sul tappetino e quattro sul pavimento. E può esserci andato solo per lavarsi. Eppure, stranamente, non ci sono impronte sulla leva del miscelatore: né di Alberto, ma neppure di Chiara né di altri. Questo per il consulente della parte civile può significare solo che il rubinetto, dopo, è stato risciacquato. «Poiché Alberto Stasi - prosegue Capra - è l’unico che si è dimostrato aver effettivamente maneggiato l’erogatore del sapone liquido, le sue mani, a questo punto evidentemente intrise di materia organica di Chiara, possono ben essere il mezzo attraverso il quale è stato ivi deposto il Dna della stessa vittima».
Anche perché di lei, sullo stesso dispenser, non c’erano impronte. «Sono tutti elementi già contenuti nella relazione dei Ris - osserva l’avvocato di parte civile Gian Luigi Tizzoni - il nostro consulente li ha solo riletti focalizzando alcuni spunti».
Ma lo specialista pone l’accento anche su un altro particolare finora trascurato. La bicicletta di Alberto analizzata nei laboratori del Ris di Parma era «troppo» pulita, tanto che sembrava mai usata, «appena uscita dal rivenditore»: nessuna traccia di residui di fango o sporcizia «indicativi di un normale anche se sporadico utilizzo», nemmeno «il benché minimo segnale riconducibile ad una contaminazione biologica» sui pedali, dove si deposita quel che si raccoglie sotto le suole. Con una sola eccezione: sugli stessi pedali, smontati e osservati al microscopio, sono state rilevate, in posizione laterale e non sui battenti, sette microtracce di sangue e anche, su un campione, materiale biologico con il Dna di Chiara che, per i Ris, era «con elevata probabilità di natura ematica» (anche se la difesa non è dello stesso parere). La conclusione di Capra è che la bicicletta è stata lavata accuratamente nei giorni intercorsi tra il delitto e il suo sequestro, avvenuto sette giorni dopo. Un’operazione finalizzata a cancellare eventuali residui, alla quale però sarebbero sfuggite quelle microtracce.
La consulenza dell’ingegner Paolo Reale si è concentrata sul computer di Stasi. Le conclusioni sono in linea con quelle dei Ris sul fatto che il portatile Compaq non avrebbe registrato alcuna attività tra le 10,37 e le 11,57 del 13 agosto, mentre veniva commesso il delitto e Alberto ha sempre sostenuto di essere stato al lavoro sulla tesi. Ma emerge anche che la sera precedente sul pc erano state usate due chiavette Usb: una, di Chiara, per scaricare le foto del recente viaggio a Londra, e l’altra, evidentemente di Alberto, di cui non è mai stata trovata traccia e non è mai stato fatto cenno negli interrogatori. Inoltre il pc era andato in «crash», ovvero era stato (o si era) spento improvvisamente intorno alle 19. Cos’era successo? Chiara aveva visto qualcosa che non doveva vedere? «Il movente sarà difficile da provare - conclude l’avvocato Tizzoni - ma mi sembra evidente che l’unico "intruso" nella coppia quella sera era il computer».