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 2009  febbraio 11 Mercoledì calendario

PASSO DOPO PASSO


Per raggiungere Montebelluna dalla stazione di Padova, ci vuole più di un’ora di auto e si attraversa il cuore della campagna veneta. Arrivati a destinazione di questo piccolo centro nel Trevigiano, risulta diflicile immaginare che, proprio da qui, Mario Moretti Polegato, ex enologo con la passione per le invenzioni, abbia creato un impero come Geox, conquistando il mondo intero. Il tutto in appena quattordici anni a partire dalla felice intuizione della «scarpa che respira»: una tecnologia che permette di bucare le suole di gomma, riducendo drasticamente la sudorazione del piede e, al tempo stesso, proteggendolo dal bagnato con una speciale membrana porosa che fa uscire l’acqua, ma non la fa entrare.
Grazie a questa idea, snobbata da colossi come Nike e Adidas, dal 1995 a oggi, Mister Geox ha costruito un’impresa da 30mila addetti e ha aperto 869 negozi monomarca in ogni angolo del pianeta («a maggio, ne sarà inaugurato uno a Ushuaia, nella Terra del Fuoco). Da record anche i tassi di crescita: 34,6% nel 2006, 25,8% nel 2007. Mentre all’inizio dell’anno scorso, con la crisi alle porte, Moretti Polegato ha totalizzato «solo» il 19,6%, rimanendo comunque al vertice delle società made in Italy quotate in Borsa. Dalle percentuali al numero di scarpe prodotte: gli ultimi dati parlano di 23 milioni di paia, che collocano la Geox al primo posto in Italia e al secondo (dopo Clarks) nel mondo per la produzione di calzature comfort. Se a ciò si aggiungono l’abbighamento e le nuove linee sport e fashion, arriviamo a un fatturato di 798,9 milioni di euro.
Con cifre come queste non stupisce che Moretti Polegato sia stato invitato, insieme a 41 capi di Stato e ai magnati della finanza internazionale, al Forum Economico Mondiale, che si è tenuto la settimana scorsa a Davos, in Svizzera. Lo incontriamo al suo rientro, per fare un bilancio dell’evento e nella speranza di capire qualcosa di più della famigerata crisi che colpisce i consumi in generale e quelli della moda in particolare.

Qual è la sua visione defl’attuale situazione economica?
«Il momento è difficile e gli economisti non conoscono ancora le dimensioni della crisi. Soprattutto, non ci si aspettava che partisse dagli Stati Uniti. L’ipotesi più accreditata è che a crollare fosse la Cina post Olimpiade, e invece... ».

Esiste una soluzione?
«Certo: per risollevare il mondo, bisogna risollevare l’America. Tutto dipende dall’entità dell’intervento statale che Obama riuscirà a far stanziare».

E voi come affronterete la crisi?
«Fortunatamente, la nostra è un’azienda sana. Anche le perdite negli Usa non sono un grosso danno (del resto là il nostro giro d’affari è pari solo al 6%). Pertanto, nonostante l’andamento della Borsa, continueremo a espanderci nei mercati, ad aprire negozi, a destinare il 3% del fatturato alla ricerca. E a investire nei corsi di formazione, che teniamo ogni anno al nostro interno, per tecnici, manager e creativi.
Bisogna puntare sui giovani. Se diamo entusiasmo alle nuove generazioni, queste possono ribaltare le cose. L’ho sostenuto anche a Davos».

Ci spieghi meglio.
«Al Forum, sono intervenuto sul tema L’Italia è un Paese che invecchia: vecchio nelle infrastrutture, nella burocrazia, nella classe politica, nel sistema economico.
In questo senso, Geox può insegnare qualcosa. Se lei visita la nostra azienda, rimane impressionata dal numero di ragazzi che vi lavorano: solo nella sede operativa, abbiamo 650 dipendenti dai 28 ai 35 anni, provenienti da varie parti dell’Italia e del mondo. E di questi, il 70% è laureato. Siamo una sorta di Microsoft della scarpa».

E come Microsoft, anche voi realizzate prodotti altamente hi tech.
«Esattamente. Geox ha introdotto la tecnologia nel made in Italy, ideando un prodotto di buon gusto, che usa materie prime di alta qualità, ma che, prima di tutto, pensa all’igiene del piede. Il 90% dell’umanità usa scarpe con suole di gomma e noi siamo gli unici al mondo ad aver risolto il fastidioso problema della sudorazione. Ecco perché, nonostante la crisi, Geox ha la chance di continuare a crescere».

Intende dire che il crollo degli acquisti di moda non è dovuto solo a una mancanza di soldi ma anche di idee?
«Entrambi i fattori. Perché è vero che c’è meno denaro, ma è anche vero che il consumatore è più esigente rispetto al passato. Tra l’altro, la globalizzazione ha reso l’offerta sterminata. Per essere competitivi, bisogna capire che il vero made in Italy non è più il prodotto, che è sempre copiabile, ma il progetto. E in questo senso, lo Stato potrebbe fare molto per le imprese premiando quelle che proteggono le proprie idee attraverso un brevetto, da testare poi nei laboratori universitari. Si tratta insomma di passare dal capitalismo industriale a quello culturale. A oggi, abbiamo depositato 42 brevetti. Dopo le suole di gomma e quelle di cuoio rese impermeabili all’acqua (pur mantenendo la loro naturale proprietà di traspirazione), abbiamo inventato un sistema per ridurre del 40% il sudore prodotto dall’abbigliamento. Al momento, abbiamo sfruttato questa tecnologia nei blouson imbottiti, ma la stiamo testando anche sugli abiti formali. Lo vede questo completo gessato che indosso? E’ un prototipo...».

Le sue ultime sfide?
«Dopo essere diventati leader nelle calzature da bambino e in quelle comfort, ora vogliamo primeggiare anche nel settore sportivo».

Una gara dura?
«Sì, ma non abbiamo fretta. Per sviluppare questo progetto abbiamo 20 anni, ovvero la durata del brevetto sulla tecnologia NET, basata su una speciale rete. Credo che ci basteranno invece un paio di stagioni per imporci con la linea donna più fashion».

Questo significa che il brand avrà una svolta glamour?
«Stiamo lavorando di più sugli aspetti moda ma non intendiamo perdere la nostra identità a vantaggio dello stile. Non avrebbe senso. Ci sono tanti marchi fashion che fanno grande il nome dell’Italia nel mondo e che io ammiro. La nostra azienda però si pone su un diverso livello di competitività: a noi non interessa produrre scarpe solo belle ma che offrano un beneficio. E in questo non abbiamo concorrenti».

Inutile chiederle se nel suo guardaroba ci sono solo Geox..
«Se uso calzature che non respirano, soffro. E io non voglio soffrire».

Le piace fare shopping?
«Sì, perché mi consente di osservare le persone e capire i loro bisogni».

Ma lei come ama vestirsi?
«Sono un tipo semplice. Quando viaggio, porto solo due pantaloni e una giacca per le occasioni formali, più un paio di jeans e una T-shirt, perché quando finisco gli appuntamenti di lavoro voglio sentirmi comodo».

A questo proposito, lei è molto impegnato: guida l’azienda, ha incarichi diplomatici, insegna in diverse università. Ha dei tempo libero?
«Certo. Lo trascorro qui nel Veneto, con gli amici d’infanzia, dedicandomi alle mie passioni: il cavallo, lo sci, la lettura, perché, come diceva Socrate, più uno studia più ci si accorge di non sapere. E poi, ci sono le moto. Guardi questo modellino: me l’ha regalato Emma Marcegaglia per Natale. Oltre alla collezione di Guzzi antiche, ho due Honda modello Gold Wing e Varadero, di grossa cilindrata. Mi piacciono perché, sotto il casco, posso scappare e nessuno mi riconosce».

E cosa ci dice degli occhiali, l’elemento eccentrico del suo stile?
«Ne ho un armadio pieno. Adoro disegnare delle montature che faccio realizzare da un artigiano locale».

Non ha mai pensato di trasformare questa passione in un business?
«L’azienda ha già troppi obiettivi da raggiungere».

Come si vede tra dieci anni?
«Sono ambizioso e vorrei che questo Paese, che ora è conosciuto per la Vespa, per la Olivetti, per la Ferrari, un domani fosse noto anche perché qualcuno, partendo dall’entroterra trevigiano, ha creato un impero, bucando una scarpa».