Paolo Soldini, l’Unità, 15/2/2009, 15 febbraio 2009
La polizia tedesca, il Mossad israeliano, i cacciatori di nazisti di Simon Wiesenthal lo cercavano ancora nel 1985
La polizia tedesca, il Mossad israeliano, i cacciatori di nazisti di Simon Wiesenthal lo cercavano ancora nel 1985. E quando fu scoperta la sua tomba, nel cimitero di una localitàvicina a San Paolo del Brasile,molti continuarono a cercarlo. L’uomo aveva mille risorse, era intelligente e poteva contare su amici potenti: i documenti presso il cimitero raccontavano che quello era il corpo di JosefMengele, tedesco, morto per un infarto nella prima metàdi febbraio del 1979, esattamente trent’anni fa, mentre nuotava in mare,manon si poteva escludereun trucco, una manovra per scomparire definitivamente inscenando la propria morte. Solo nel 1992 gli ultimi dubbi caddero, il test del DNA dimostrò che i resti di San Paolo erano proprio quelli di Mengele, il medico boia di Auschwitz, l’inventore e l’esecutore delle più atroci torture mai inflitte da un essere umano ad altri esseri umani, in nome della «medicina» e del «progresso scientifico». Gli esperimenti di Mengele e gli «studi» sui gemelli e il nanismo provocarono direttamente la morte di almeno 40 mila prigionieri del Lager e indescrivibili sofferenze per i sopravvissuti, soprattutto donne e bambini. Quando arrivò, con la prova del DNA, la certezza sulla fine del suo «esimio collega e professore dott. Mengele» anche l’allievo più solerte, il medico delle SS Aribert Heim se ne andò all’inferno a pagare le sue infamie. Da anni il «macellaio di Mauthausen» era inseguito da un mandato di cattura della procura di Ludwigsburg (quella che indaga sui crimini nazisti) e dai segugi del centro Wiesenthal e tutti erano convinti che anch’egli si trovasse in Sud America, in Brasile, in Paraguay o nell’ospitalissima Argentina. Invece Heim era in Egitto, al Cairo, dove viveva sotto il nome di Tarek Farid Hussein, frequentava i celebri caffè cittadini ed era unappassionato di dolci, chemandava a parenti e conoscenti in Germania e in Austria con mielosi bigliettini firmati «zio Tarek». Aveva persino mantenuto la proprietàdi un appartamento a Berlino, che affittava con il proprionomee fu proprio questo che permise a un cronista del New York Times di rintracciarlo. Non era benestante comeMengele, però, e neppure comei tanti (decisamente troppi) suoi colleghi che passata la denazificazione avevano riavuto cattedre e onori negli ospedali e nelle universitàdella Germania federale: fu sepolto in una tomba provvisorianella Cittàdei morti delCairo e i resti non vennero mai trovati. Ancor meno si sa di Alois Brunner, il collaboratore più stretto di Adolf Eichmann, catturato nel 1960 in Argentina e giustiziato nel ”62 in Israele. Potrebbe essere morto a Damasco, dove aveva trovato rifugio con il nome di dott. Fischer e dove era stato nominato dalle autorità«consulente per la questione ebraica». Dal 2001 il «dott. Fischer», che in diversi attentati delMossad aveva perso un occhio e alcune dita delle manimarispondeva volentieri alle domande dei giornalisti che lo cercavano, non è stato più visto in giro.Al centro Wiesenthal hanno sospeso la caccia, ma non c’è alcuna prova della sua morte. Oggi, se fosse ancora in vita, avrebbe 96 anni. Ne ha 88, di anni, l’unico sopravvissuto dei criminali nazisti su cui penda ancora un procedimento giudiziario. E’ l’ucraino Ivan Demjanjuk, che nel campo di sterminio di Sobibor avrebbe ordinato lamorte di 29 mila ebrei. Demjanjuk, che vive nei pressi di Chicago, era stato estradato in Israele nell’ 81 e condannato amorte nell’88 per gli orrori commessi nel campo di Treblinka, ma nel ”93 la sentenza era stata cassata perché la Corte suprema di GerusaleMme aveva espresso dubbi sulla reale identitàdell’imputato. I dubbi, ora, sono caduti e l’ucraino è formalmente sotto processo in Germania. Ma è malato ed è dubbio che si arriveràa una nuova estradizione. Dopo la morte diErna Wallisch, che portava personalmente i bambini nelle camere a gas di Majdanek e, quando era incinta, uccise a pugni e a calci un prigioniero chenon ce la faceva ad alzarsi dal letto, i processi ai criminali nazisti vanno ormai verso l’estinzione naturale Quello per l’eccidio delle Fosse Ardeatine a ErichPriebke, in Italia, rischia di essere stato l’ultimo. Questo nonsignifica però che sia arrivato ilmomento di stendere il velo sulle responsabilità. Come ricorda il settimanale «Die Zeit» in un dossier dedicato al trentesimo anniversario della morte di Mengele, rimangono ancora due capitoli sui quali va fatta luce. Il primo riguarda l’atteggiamento tenuto, negli anni ”50 e ”60, dalle autoritàtedesco-federali. Si dice, ad esempio, che il cancelliere Konrad Adenauer giànel 1958 fosse stato informato dai servizi segreti americani del fatto che il ricercatissimo (in teoria) Eichmann si trovava in Argentina. Adenauer si sarebbe tenuto il segreto per sé perché temeva che l’arresto dell’organizzatore delle deportazioni degli ebrei avrebbe potuto coinvolgere il suo strettissimo collaboratore Hans Globke. D’altronde, una parte dell’establishment era certamente complice. L’esilio di Brunner aDamasco, ad esempio, fu organizzato dal deputato cristiano-democraticoRudolf Vogel, che a suo tempo era stato membro dell’ufficio di propaganda nazista di Salonicco. Ed è cosa nota che la fuga di molti criminali nazisti, nell’ambito del famoso piano Odessa, fu non solo favoritamadirettamente gestita dalla «Organisation Gehlen », ovvero i servizi segreti della Repubblica federale che fino al 1968 fecero capo all’ex capo dello spionaggio della Wehrmacht Richard Gehlen. Ancora più delicato il capitolo che riguarda la chiesa cattolica e il Vaticano. Nel Baden- Württemberg esiste una Klosterweg, una strada dei monasteri che tocca i principali centri religiosi della Foresta Nera. Ma dalla fine degli anni ”40 a tutti gli anni ”50 ci fu un’altra Klosterweg, che portava verso la Spagna di Franco e da qui al Sud America ed era controllata direttamente dalla Croce rossa italiana insieme con e per conto della Santa Sede. Si tratta di una storia abbastanza nota, anche se non èmai stata raccontata nei dettagli se non nel libro «La auténtica Odessa» del giornalista argentino Uki Goñi e nell’indagine disposta negli archivi del tempo di Peron dal presidenteNéstorKirchner. Una storia che ora si scontra con un dubbio davvero inquietante.stato accertato che Mengele ottenne i documenti per l’Argentina spacciandosi per Helmut Gregor,Un altoatesino di Termeno. esattamente la strada che portò in Sud America migliaia di tedeschi, austriaci, fascisti croati e italiani, che ricevettero l’appoggio (accertato) di influenti ambienti della Santa Sede. Anche Mengele fu salvato dal Vaticano?