Marco Panara, Affari & finanza, 16/2/2009, 16 febbraio 2009
FED E BCE, UNA RETE ANTI CRAC
Sono al lavoro il G8 e il G20, il Fondo Monetario e l´Ocse, il Financial Stability Forum e la Banca dei Regolamenti Internazionali, la Commissione De Larosiére a Bruxelles e l´Economic Recovery Advisory Board a Washington. La missione è riscrivere un sistema di regole che valga per tutti - paesi grandi e paesi piccoli, anglosassoni, asiatici e latini, industrializzati ed emergenti - e che sia tale da evitarci in futuro di cadere di nuovo in una crisi come questa. La posta in gioco è gigantesca per gli interessi coinvolti, perché si tratta di mettere le briglie alle banche, agli hedge fund, ai private equity, ai mercati oggi selvaggi dei titoli derivati e strutturati, agli stipendi dei manager e anche ai comportamenti degli stati. La prima tappa è stata la riunione dei ministri dell´economia e dei governatori del G7 sabato a Roma, la prossima sarà l´incontro dei capi di governo europei a Bruxelles all´inizio di marzo e quella chiave il 2 aprile prossimo a Londra, per il G20 convocato dal primo ministro britannico Gordon Brown.
In tutti i documenti fin qui prodotti, così come nelle dichiarazioni di governatori, ministri e capi di governo, le parole più citate sono coordinamento e cooperazione. Peccato però che nei fatti la Francia sia contro la Germania, tutte e due siano contro l´Inghilterra mentre gli Stati Uniti se ne vanno per la propria strada. A dividere non sono querelle di poco conto: non è la stessa cosa se la Nomura, per fare un esempio, è vigilata da Londra per tutte le sue attività in Europa, come avviene oggi e Londra vuole che continui ad essere in futuro, oppure se il controllo passa a un altro soggetto che sta di qua dalla Manica. E non è la stessa cosa se il mercato dei derivati resta non organizzato e non regolamentato, come gli inglesi pensano che debba continuare ad essere, oppure se si va verso una regolamentazione. La lista è lunga, si va dal modo di valutare il capitale delle banche rispetto ai rischi che assumono a come esercitare la vigilanza sulle compagnie di assicurazione. Si parla di poteri della Fed, della Bce, delle banche centrali nazionali e delle authority che vegliano sulla trasparenza, e si parla dei poteri che i singoli governi dovrebbero cedere a soggetti sovranazionali.
Il punto di partenza è che la drammaticità della crisi lascia l´impressione che non abbia funzionato nulla, che il sistema di regole che c´è sia tutto sbagliato e tutto da rifare. Probabilmente non è proprio così, ma prima ancora che gli interessi di settori e soggetti specifici e gli interessi dei singoli stati, si scontrano due diverse visioni, la prima che sostiene la tesi ”incrementale´, ovvero migliorare e allargare il raggio di azione delle regole che già ci sono, e la seconda che invece punta su una revisione sostanziale del sistema. Accanto a questo confronto ce n´è un altro, ed è quello tra il modello europeo continentale con le sue incompiutezze ma anche con i suoi valori sociali e il modello anglosassone, che nonostante sia quello che ci ha portato in questo disastro continua ad avere una fortissima presa, perché esprime e realizza la cultura dei due principali mercati finanziari mondiali e ancora di più perché dall´egemonia di quel modello dipendono interessi economici e politici enormi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
A provare a mettere ordine in tutto ciò sono innanzitutto l´Ocse e il Financial Stability Forum. L´Ocse si sta occupando del ”legal standard´ del quale parla Giulio Tremonti. «Il nome ”legal standard´ è provvisorio - dice Pier Carlo Padoan, vice segretario generale dell´Ocse - perché la parola ”legal´ ha una forza diversa nelle culture anglosassoni rispetto a quelle dell´Europa continentale. Ma al di là del nome, la sostanza è che si può intervenire su una serie di strumenti regolatori e legali che già esistono, e che riguardano dalle multinazionali alla corporate governance, dalla trasparenza fiscale alla qualità del lavoro, per farne una revisione complessiva con l´obiettivo di renderli coerenti con il nuovo quadro e per allargarne l´ambito di applicazione. L´Ocse lavorerà a tutto questo in collaborazione con altri organismi, come l´Organizzazione Internazionale del Lavoro per i temi della qualità del lavoro o con lo stesso Financial Stability Forum per i mercati finanziari».
La stabilità del sistema finanziario internazionale è affidata soprattutto al Financial Stability Forum, creato dal G7 nel 1999 proprio in seguito alle crisi asiatica e russa e al fallimento dell´hedge fund Ltcm (Long Term Capital Management). Il Forum, che è oggi presieduto a Mario Draghi, ha già presentato un sostanzioso rapporto nell´aprile del 2008, con una serie di misure alcune delle quali sono già in fase di implementazione. Altre proposte sono in corso di elaborazione.
Oltre all´Ocse e al Financial Stability Forum, sono al lavoro due gruppi di lavoro, uno europeo ed uno americano, alla ricerca di soluzioni per le due aree economiche. A Washington il presidente Obama ha affidato l´incarico alle mani sapienti di Paul Volcker che, alla guida della Fed negli anni ´80, fu colui che con una politica monetaria severa riuscì a stroncare l´inflazione che era stata scatenata dai due oil shock del decennio precedente. Volcker guida l´Economic Recovery Advisory Board e si stanno già delineando alcune linee d´azione che, nei programmi, dovranno trasformarsi in un set di nuove regole da varare per la fine di giugno. Molti elementi sono già stati individuati da un gruppo di lavoro creato nel luglio del 2008 all´interno del Gruppo dei 30 e guidato dallo stesso Volcker insieme a Tommaso Padoa Schioppa e all´ex governatore del Banco do Brasil, Arminio Fraga Neto. Il 15 gennaio scorso il Gruppo dei 30 ha reso pubblico il documento conclusivo, dal titolo ”Financial Reform, a Framework for Financial Stability´, che contiene 18 raccomandazioni rivolte a tutti i governi, ma alcune delle quali sono dirette esplicitamente a quello di Washington.
Per quanto si coglie in questa fase ancora preparatoria gli Stati Uniti vanno verso una vigilanza su tutti i soggetti che hanno rilevanza sistemica, compresi quindi i grandi hedge fund e private equity, con il ruolo centrale affidato alla Federal Reserve, per la quale si prevede un più stretto matrimonio (o incesto, secondo alcuni) con il Tesoro. Alla Fed sarebbero affidate oltre alla politica monetaria la macro e la microsorveglianza su tutti i soggetti di ”rilevanza sistemica´. La concentrazione dei poteri nella Fed è ancora oggetto di discussione, poiché nel Congresso c´è chi preferirebbe separare sorveglianza da politica monetaria e affidare la prima ad un altro soggetto, sembra tuttavia che al momento prevalga la linea della concentrazione, bilanciata però da un maggiore controllo del Congresso stesso, con il quale il presidente della Fed e i governatori, insieme al segretario del Tesoro, discuterebbero ogni tre mesi le politiche e le linee operative. Sempre negli Stati Uniti le assicurazioni manterrebbero un assetto regolamentare distinto ma non sarà loro più consentito di investire in derivati senza sottostare a specifici controlli. Infine si va verso una revisione del sistema di incentivi a manager e trader con un ruolo rafforzato dei risk manager.
In Europa una missione simile a quella che svolge Volcker di là dell´Atlantico è stata affidata ad una commissione guidata dall´ex governatore della Banca di Francia Jacques de Larosière e composta da sette membri indicati da Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Spagna e Svezia. Il membro italiano è Rainer Masera. «Concluderemo i lavori per la fine di febbraio e le proposte saranno presentate alla Commissione Europea e successivamente al Consiglio e al Parlamento. E´ un lavoro complesso che ha l´obiettivo di arrivare ad un sistema di vigilanza europea più efficiente ed integrata» spiega Masera.
In Europa il lavoro è più difficile che negli Stati Uniti. C´è una divaricazione tra i paesi euro e quelli non euro, ci sono posizioni confliggenti tra gli stessi paesi dell´area euro e quando si toccano aspetti significativi si sbatte subito sulla necessità di riformare il Trattato, il che vuol dire referendum e voto parlamentare nei vari paesi.
Uno dei problemi chiave è la contrapposizione tra l´Europa continentale e la Gran Bretagna, che vuol essere al centro del sistema finanziario europeo facendo riferimento però più agli Stati Uniti che all´Europa stessa. E´ una posizione che i paesi dell´euro accettano sempre meno e che ha risvolti concreti, che vanno dalla sorveglianza sistemica sulle grandi istituzioni finanziarie internazionali, che sono spesso basate a Londra ma che i paesi di Eurolandia vorrebbero controllare dal continente, alla regolamentazione dei mercati oggi non organizzati, come quelli dei derivati e dei credit default swaps.
Divergenze ci sono anche all´interno di Eurolandia sul ruolo della Bce. Si concorda sul fatto che è necessario prevedere una sorveglianza sui soggetti che hanno un impatto sistemico si discute tra chi, come il vice presidente della Bce Lucas Papademos (ma non solo), spinge per affidare alla Bce questi compiti e chi, come la Bundesbank, invece si oppone perché ritiene che i compiti di sorveglianza possono contaminare le scelte di politica monetaria.
Ma queste sono solo le punte dell´iceberg, i problemi tecnici e politici, le divergenze tra paesi (e la tendenza di alcuni di questi di fare delle banche salvate e nazionalizzate dei campioni nazionali), la difficoltà di affidare maggiori compiti alla Bce senza che questa abbia un ministero del Tesoro di riferimento, rendono il lavoro della commissione de Larosière particolarmente complesso.
Ma non è finita qui. Oltre a Ocse e Fsf, a Volcker e de Larosière, a lavorare sul problema ci sono anche altri soggetti. Il più importante è la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, dove si sta discutendo la questione chiave dei requisiti di capitale delle banche. E´ ormai chiaro che l´impostazione di Basilea (I e II) va corretta perché è prociclica, ovvero spinge le banche a comportamenti che accentuano la tendenza del ciclo economico e quindi, nel caso della crisi che stiamo vivendo, accentua il credit crunch. Gli svizzeri, padroni di casa ma con un sistema bancario molto provato, sostengono che il modello attuale che prevede requisiti di capitale ponderati in base alle tipologie di rischio non garantisca la stabilità del sistema, e spingono per criteri più semplici e omogenei. In questa posizione non sono isolati, ma dai requisiti di capitale dipende la leva che le banche possono attivare e quindi certamente il livello di rischio ma anche la capacità di produrre profitti per gli azionisti.
Ciascuna di queste partite è delicatissima e le potentissime lobby sono al lavoro. Ma la chiave, come sempre, è nelle mani degli Stati Uniti. Da una parte la crisi ha lì le sue radici profonde, dall´altra c´è la novità dell´amministrazione Obama. Ma se l´America è disposta a condividere con gli altri la costruzione di un sistema di regole globale che le renda le mani un po´ meno libere, ancora non è chiaro. Secondo molti è improbabile, e se questi molti avranno ragione le nuove regole si faranno, ma avranno gli stessi limiti di quelle vecchie.