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 2009  febbraio 16 Lunedì calendario

ANTILLE FRANCESI IN RIVOLTA CONTRO PARIGI - I

Caraibi francesi non sono più il paradiso, ma un disastro sociale ed economico, sul baratro dell’insurrezione. Da settimane, Guadalupa e Martinica, le due più grandi isole dei territori d’oltremare sono paralizzate da scioperi e imponenti manifestazioni, come non si erano mai viste negli ultimi decenni.
Decine di migliaia in corteo, su una popolazione di meno di mezzo milione. Chiusi alberghi, distributori di benzina, supermercati, fabbriche, scuole. Cancellati centinaia di voli. Code davanti ai pochi negozi aperti, immondizia per le strade. La stagione turistica è compromessa. Quindicimila soggiorni sono stati annullati, con perdite dell’ordine di cento milioni di euro. Tristemente vuoti, club Med e hotel delle principali catene. I soli felici nei Caraibi sono gli albergatori di Santo Domingo, dove vengono dirottati i tour operator.
A scendere in piazza per primi, a metà gennaio, gli abitanti della Guadalupa. In breve la protesta si è estesa alla Martinica e minaccia di coinvolgere altre regioni d’oltremare, dalla Réunion (nell’Oceano Indiano) alla Polinesia, alla Guyana. A Parigi, si teme che il vento dei Caraibi possa innescare un effetto domino nella Francia metropolitana. Recessione e licenziamenti alimentano un po’ ovunque angosce e sentimenti di rivolta. Nei Caraibi, protesta contro il carovita e per aumenti salariali di duecento euro al mese hanno unito forze politiche, operai, giovani, donne, funzionari, commercianti. Ma al di là delle rivendicazioni specifiche (si discute da giorni su una lista di 146 punti), sembrano essersi liberati di colpo rancori antichi e processi identitari che avvelenano il clima sociale dai tempi di Napoleone.
Il popolo delle Antille se la prende con i «bekes», come vengono chiamati i creoli bianchi, discendenti degli schiavisti e dei coloni che detengono le chiavi dell’economia e del potere locale: commerci, import export delle banane e delle spezie, catene alberghiere, terre, piantagioni. «Per loro, dare un lavoro è già fare un favore», dice Patricia Braflan-Trobo, dell’università di Pointe-à-Pitre, capitale della Guadalupe.
Basta osservare il tavolo dei negoziati: neri e sindacalisti da una parte, bianchi e imprenditori dall’altra e i funzionari del governo (bianchi) a fare da mediatori. «E’ un sistema che esisteva nel diciottesimo secolo e continua ancora oggi », dice Elie Domota, 42 anni, leader della protesta. Sindacalista, Domota è alla guida della Lkp, sigla che riunisce sindacati e movimenti sociali. In lingua creola, significa «lotta contro lo sfruttamento territoriale ». «La Guadalupa appartiene a noi», urla la gente in corteo, scandendo il suo nome. «La Martinica appartiene a noi», è l’eco di rivolta nell’isola vicina. C’è chi lo chiama «il Messia » e gli attribuisce ambizioni indipendentiste. Studi in Francia, figlio di un falegname, Domota esalta Martin Luther King e disprezza Napoleone, «uno che ha ristabilito la schiavitù ». Le autorità hanno ordinato di requisire pompe di benzina. La polizia sorveglia i supermercati. Domota sostiene che il governo centrale si «prepara alla repressione». In molti è ancora vivo il ricordo dell’eccidio del 1952, quando la polizia sparò sulla folla.
Alle richieste salariali, si sommano arretratezza e disparità economiche, nonostante la comune appartenenza alla République e il pozzo dell’assistenzialismo che costa alla Francia sette miliardi di euro all’anno. Salari più bassi, prezzi più alti, disoccupazione più alta (22,7%, contro l’8,1%), sgravi fiscali di cui approfittano solo gli investitori, reddito pro capite inferiore di quasi la metà rispetto ai francesi metropolitani, 16 mila euro, contro 28 mila. Inoltre, è sempre meno accettata la «casta» dei funzionari statali inviati a governare le Antille con forti incentivi salariali, fino al 40% di premio.
Nemmeno lo sviluppo turistico (7% del Pil) ha aiutato queste isole. Le ferite della storia non hanno rafforzato una tradizione di ospitalità. Gli alti costi della vita e del lavoro scoraggiano queste destinazioni rispetto alla concorrenza di Cuba e Santo Domingo.
Il presidente Nicolas Sarkozy, particolarmente contestato per non aver nemmeno accennato ai problemi delle Antille durante il suo ultimo intervento alla televisione (un’ora e mezza, a reti unificate!), è corso ai ripari. Ha nominato d’urgenza una commissione interministeriale per l’Oltremare e ha rispedito nelle Antille il ministro dei territori, Yves Jégo, con due «mediatori», la nuova figura messa in campo dal presidente anche su altri fronti caldi di contestazioni sociale.
Ma i margini di manovra sono stretti. La gente delle Antille ritiene insufficienti le prime offerte, dagli sgravi per la benzina all’aumento di cento euro per i salari più bassi. D’altra parte, è improbabile che lo Stato francese si faccia carico di aumenti salariali, con il rischio di esporsi a rivendicazioni a catena. «Lo Stato non può sostituirsi alle parti sociali», ha detto seccamente il primo ministro, François Fillon. Ma si comincia a parlare di una tassa straordinaria sui profitti di grandi imprese. E Yves Jégo promette di monitorare la formazione dei prezzi dei carburanti nelle Antille. Nel mirino, le grandi società petrolifere, con record di guadagni, nonostante la crisi.