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 2009  febbraio 16 Lunedì calendario

IL TATUAGGIO DIVENTA "INTELLETTUALE"

Jess, nonostante la mole, si muove con naturalezza sul suo tatami, inclinando continuamente la testa per osservare meglio il suo lavoro. Attorno a lui, tatuatore tradizionale venuto dai Taiwan, si è formato un capannello che lo osserva in religioso silenzio. «Quasi tutti utilizzano le macchinette elettriche ad aghi, inventate a fine ”800 negli Stati Uniti. Ma negli ultimi anni molti artisti si stanno avvicinando alle tecniche più antiche, quella giapponese e quella samoana» sussurra una ragazza dai capelli blu elettrico nell’orecchio di un’amica. Al Quark Hotel di Famagosta, che fino a ieri sera ha ospitato la quattordicesima edizione della «Milano Tattoo Convention», la principale fiera italiana del settore, seconda in Europa solo alla manifestazione londinese, il tatuaggio più che una moda sembra una religione. Con i suoi riti e i suoi sacerdoti. Non ci sono ragazzotti alla ricerca di un disegno tribale da esibire sulla spiaggia, come accadeva qualche anno fa, ma seguaci con le idee chiare, che preferiscono scegliere con cura i disegni. Quelli che vanno per la maggiore, infatti, provengono dalla raffinatissima iconografia orientale: pesci rossi, carpe, ninfee, montagne innevate e geishe dai kimoni coloratissimi. Più che tatuaggi sembrano quadri di Hokusai.
«L’approccio del cliente è diventato più colto - spiega Roberto Borsi, tatuatore milanese e organizzatore della Convention - finita l’era dei sottoscala e della cantine, ma fortunatamente anche quella del tatuaggio fatto per vezzo. Noi tatuatori siamo come i sarti: facciamo disegni su misura». Nello stand a fianco Rudy De Amicis, cravatta e camicia nera, cerca di spiegare meglio il concetto: «I tabù di un tempo sono caduti, la gente ha imparato a scegliere e a farsi consigliare. Il mercato italiano è maturato. Basta guardarsi intorno: ci sono ragazzi giovanissimi, ma anche distinti signori di settantanni».
I numeri italiani, 3 milioni di persone tatuate e 1200 laboratori specializzati da Bolzano alla Sicilia, gli danno ragione. E anche alla Convention milanese, in mezzo a una folla di giubbotti di pelle, cappelli alla Pete Doherty, treccine rasta e facce ricoperte di piercing, si aggirano compagnie di ragazzini delle scuole superiori, giovani coppie e intere famigliole. «La crisi? Non la sentiamo, siamo artigiani e abbiamo un certo margine - continua Borsi -. Chi vuole farsi un tatuaggio preferisce tagliare altre spese». E questo nonostante i costi: dai 100 euro per una farfallina ad alcune migliaia per l’intera schiena. Anche pentirsi non è proprio a buon mercato: per rimuovere un tatuaggio tramite laser occorrono tre sedute, che costano dai 250 ai 500 euro ognuna. I più giovani sono i meno spaventati. « la prima volta che ci vengo ma questo mondo mi affascina - racconta Carola Di Giulio, 17 anni, un paio di piercing ai lati della bocca e un caschetto fucsia sulla testa - Se i miei genitori sanno che sono qui? Ma certo, che problema c’è? Stavo cercando un dilatatore per il lobo».
«Alla Convention di Milano, da qualche anno, non si fanno più piercing - spiega Fabio Nini, 28 anni, uno studio di tattoo a Fiorano modenese -. Ma siamo venuti qui perché si possono trovare molti gioielli interessanti. Ultimamente si stanno affermando i microdermal, piastrine applicate a livello sottocutaneo a cui avvitare pietre o anellini, e la tecnica del branding, veri e propri marchi a caldo fatti sulla pelle con gli elettrobisturi». Roba per stomaci forti. I tatuaggi sono decisamente più tranquilli. Tra gli stand più visitati c’è quello degli elevetici Leu: accettano solo lavori molto grandi, «Niente cuoricini, grazie», e per finire sotto i loro aghi c’è una lista di attesa di alcuni mesi.
«Tutto è iniziato nel 1978 con mio padre Felix e mia madre Loretta, due hippy che sbarcavano il lunario vendendo tappeti in Jugoslavia - racconta Ajja, 33 anni -. Si sono appassionati a questa arte e hanno iniziato a girare il mondo per fare felici sempre più persone, trasmettendo a tutti noi l’amore per i tatuaggi. Mio figlio, che oggi ha 8 anni, si sta già dando da fare». Un gruppo di ragazzi si avvicina per scattare una fotografia insieme a Ajja, che sorride divertito. «Una rock star? Ma no, lo fotografiamo per quello che rappresenta - spiega Luca, uno del gruppo - Dietro ai tatuaggi c’è una forte simbologia, un intero mondo da esplorare. E la famiglia Leu è la massima espressione europea di quest’arte». Arte, è questa la parola magica che ripetono tutti e che tiene insieme questo assurdo mosaico di punk, aspiranti pin up e innocenti impiegati che nascondono i loro segreti sotto il colletto bianco. «In ufficio non lo sa nessuno - confessa Laura R., una giovane segretaria - Ma ho appena finito di tatuarmi un’immensa geisha sulla schiena».