Gianni Mura, la Repubblica, 15/2/2009, 15 febbraio 2009
UN UOMO CHE MERITAVA IL SILENZIO DI TUTTI
Giacomo Bulgarelli non era solo una bandiera, anche se l´immagine è giusta. Non è giusto, secondo me, che il minuto di silenzio si faccia soltanto dove gioca il Bologna, perché Bulgarelli era un fiore raro per il nostro calcio e apparteneva idealmente a tutto il nostro calcio che aveva il dovere di ricordarlo senza sviolinate ma con un semplice minuto di silenzio. Arrivo a capire il ragionamento che possono aver fatto in Lega o in Federazione: perché lui sì e Tizio o Caio no? Non è mai facile parlare dei morti, ma la risposta è questa: perché lui sì. Perché, fino a che ha giocato, ha incarnato il professionista bravo con i piedi e anche con la testa. Molto bravo coi piedi, iniziò da attaccante e chiuse da libero. Da centrocampista fu il meno abatino degli abatini, tanto per tornare sul marchio breriano. Un giocatore completo. Non volle mai muoversi da Bologna e non fu l´unico della sua generazione di nati in guerra. Lo spirito di appartenenza contava più degli ingaggi, e ci si sbrigava da soli, senza procuratori. Si cresceva più in fretta. La buona educazione nei rapporti con gli altri non era un optional. La solidarietà verso i colleghi meno fortunati era moneta corrente. Nel �68 fu un gruppo di centrocampisti e mezze punte (Bulgarelli, Mazzola, Rivera, De Sisti) a fondare il sindacato dei calciatori eleggendo Campana presidente. La testa di Bulgarelli si ebbe modo di apprezzarla anche quando faceva da seconda voce nelle telecronache. Era bravo e proprio per questo, penso, non durò a lungo. Parlava solo per dire qualcosa che non fosse scontato, a differenza di molti commentatori odierni, e anche le critiche severe erano addolcite dalla sua cadenza bolognese e da un innato senso della misura (in fondo stiamo solo parlando di calcio). Il sorriso gli partiva dagli occhi, riusciva a sorridere, e forse gli costava, anche parlando della ferita più profonda, quella partita contro la Corea a Middlesbrough che lui non avrebbe dovuto giocare, con un ginocchio fuori posto, ma Fabbri lo mandò in campo lo stesso e il ginocchiò saltò presto, e allora non c´erano sostituzioni. L´umanità di Bulgarelli, la civiltà, la coerenza e l´allegria dell´uomo, la classe del calciatore le voglio ricordare ripensando il sorriso che parte dagli occhi. E il minuto di silenzio lo farò da solo, alle 15 in punto, davanti ai televisori accesi.
[Ai tempi di Bulgarelli (mi appoggio a una bella inchiesta del Corriere dello sport) il calciatore medio era alto 1.79, pesava 70 chili, aveva uno stipendio di 20 milioni, un diploma di quinta elementare (Bulgarelli no, era arrivato all´università). Oggi è alto 1.82, pesa 76 chili, lo stipendio medio è passato a 880.000 euro e il diploma è di scuola media superiore. Commento di Burgnich: «La differenza tra allora e oggi è la passione. Questi timbrano il cartellino, noi vivevamo di calcio. Si è persa la confidenza col pallone, il nostro strumento di lavoro. Vedo sempre meno gente che si ferma a fine allenamento per affinare la tecnica». Ai tempi di Burgnich, l´Inter aveva una rosa di 17 calciatori mediamente alti 1.77 e pesanti 72. Oggi ne ha 28 e la media è la più alta in Italia: 1.84 per 80 chili. Quando si parla di squadra fisica, non si parla a vanvera.
[Tu parli a vanvera. Ci avessero detto qualche anno fa che il ministro dell´Interno aveva querelato Famiglia Cristiana, avremmo risposto così. Ma dài, è un pesce d´aprile. No, è tutto vero. Nella maggioranza di governo i cattolici sembrano intermittenti, ogni tanto qualcuno ricorda di esserlo a tempo pieno e non soltanto quando conviene: 7,5 a Beppe Pisanu che ha reagito in modo chiaro. Pur con tutti i dubbi che suscita chi passati i 18 anni si fa ancora chiamare Bobo, un consiglio non richiesto al ministro Maroni: lasci stare la querela, rischia di perdere, e quanto alla durezza dei toni usati da Famiglia Cristiana non sembra sul pulpito più idoneo per giudicare.
[Ci avessero detto qualche anno fa (è un giochino scemo, quindi si va avanti) che la Gazzetta avrebbe dedicato un terzo della prima pagina a una foto di Ronaldinho che si fa tagliare i capelli, avremmo sempre pensato al pesce d´aprile. Venerdì 13 febbraio, eccola lì. Di fianco c´è il lancio di Sportweek, in copertina un Beckham ipertatuato in posa alla Bruce Willis. E questo dove ci porta? Da nessuna parte, ognuno fa il giornale che gli piace ed è giusto così (voto alla prima pagina: 3). Ho alzato il voto perché devo fare un appello alla Gazzetta, che organizza il Giro, e quindi ad Angelo Zomegnan. La squadra di Filippo Simeoni non è tra le ammesse al Giro. Perché? Tra l´altro, Simeoni è campione d´Italia in carica. Non voglio pensare che l´esclusione di Simeoni sia una condizione posta espressamente da Armstrong, anche se in Italia (non l´ho detto io per primo) a pensar male spesso si indovina. Né capisco perché al Tour siano molto di manica larga con le squadre francesi e al Giro assai meno con le squadre italiane, magari preferendo una spagnola senza arte né parte. Al Tour Armostrong toccò il fondo etico del mestiere esibendosi in una mascalzonata di stampo mafioso sulla pelle del povero Simeoni, preso a berci anche da un discreto numero di corridori italiani senza che nessuno lo difendesse. Possono far pace, i due, come farsi una guerra impari. Affari loro. Però Simeoni ha tutto il diritto di pedalare sulle stesse strade di Armstrong, in uno sport adulto in cui ciascuno sia responsabile di quello che ha detto e che ha fatto.