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 2009  febbraio 19 Giovedì calendario

MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 19 FEBBRAIO 2009

L’orgia del potere. Caso Englaro. Immigrati. Magistrati. Quirinale. La partita a tutto campo del premier. Per cambiare le regole e aprire la strada al presidenzialismo. Una sfida senza precedenti alle istituzioni

Berlusconi ha raggiunto tre risultati con un colpo solo: presentarsi come il paladino dei cattolici, mettere in grave difficoltà il presidente della Repubblica con la Chiesa e con il papa in persona, spingere verso l’isolamento Giorgio Napolitano in attesa delle prossime partite, quelle che veramente gli stanno a cuore... Il senatore del Pdl, profondo conoscitore dei segreti del Cavaliere, parla all’ingresso dell’aula di palazzo Madama, mentre ancora non si è calmata l’onda d’urto delle polemiche della sera precedente. Quando alle 20,10 del 9 febbraio arriva la notizia che Eluana Englaro è morta, in Senato si sta procedendo a tappe forzate per l’approvazione del disegno di legge del governo che obbligherebbe i medici all’alimentazione della donna in stato vegetativo da diciasette anni. La prima reazione dei colonnelli del Pdl è senza freni inibitori: "Veronesi, ora smettila di ridere!", grida il livido Maurizio Gasparri all’indirizzo del professor Umberto Veronesi, senatore del Pd, che di certo non sta ridendo. Anche perché c’è davvero poco da stare allegri in questa serata di dolore per la famiglia Englaro e di tristezza per le istituzioni repubblicane, offese, umiliate, trascinate in una contesa sulla vita e sulla morte. "Un cinico, macabro esercizio di potere attorno al corpo di una persona", lo definisce il democratico Paolo Giaretta.
Con il centrodestra scatenato che urla verso i banchi del Pd l’insulto più sanguinoso: "Assassini". Il coro da stadio rimbalza sulla bocca del vicecapogruppo del Pdl, il senatore Gaetano Quagliariello, uno che vanta tra i suoi avi sindaci liberali di Salerno e un nonno senatore democristiano nella prima legislatura, ma che questa sera appare stravolto dall’odio: "Eluana non è morta. Eluana è stata ammazzata", urla dal suo banco. Concetto ribadito il giorno dopo dal quotidiano dei vescovi ’Avvenire’: "Non morta, ma uccisa". E chi sarebbe l’uccisore? Il giallo viene svelato dal titolo ironico del quotidiano ’Il Giornale’, il più in linea con gli umori del premier: "Complimenti Napolitano". Colpevole di non aver firmato il decreto del governo che avrebbe imposto ai medici la ripresa dell’alimentazione per la donna.
Frasi poi ammorbidite da Berlusconi, in una già ben collaudata tattica dello ’stop and go’. Ma che suonano così violente da segnare un punto di non ritorno. Lo scontro istituzionale più grave della storia repubblicana. Tale da far scolorire perfino il ricordo del contrasto tra il Cavaliere appena entrato in politica nel 1994 e l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, richiamato in piazza da Walter Veltroni giovedì 12 per una manifestazione in difesa della Costituzione.
Quindici anni fa Berlusconi era solo un outsider senza nessuna dimestichezza con i delicati meccanismi dello Stato. Oggi Berlusconi è un leader potente come nessun altro negli ultimi sessant’anni. Governa con una maggioranza docile a ogni volere, a colpi di fiducia: l’ultimo al Senato, sul decreto milleproroghe, pochi minuti dopo la discussione sul testamento biologico. E con l’opposizione del Pd incerta e divisa a ogni passaggio. Perfino in Mediaset torna a dettare la linea, eliminando le tradizionali foglie di fico professionali e politiche che nel corso dei decenni hanno garantito il volto pluralista della televisione berlusconiana: la sera del 9 febbraio, mentre a Udine si era appena consumata la fine di Eluana, i vertici Mediaset hanno preso atto delle dimissioni di Enrico Mentana dalla direzione editoriale e hanno sospeso ’Matrix’. Uno strappo clamoroso con il primo direttore del Tg5, commentato gelidamente dal premier: "Meglio così, non voglio una primadonna, meglio liberarci di chi non capisce le nostre esigenze". Largo a Maurizio Belpietro, Emilio Fede, Clemente Mimun, Giorgio Mulè, che le esigenze del premier le conoscono alla perfezione. E nella fascia oraria di seconda serata lasciata libera da ’Matrix’ resterà su RaiUno senza più concorrenza, in beata solitudine, il sempre affidabile (per il premier) Bruno Vespa.
Eppure, nonostante un’occupazione del potere che conosce pochi spazi liberi, ormai, il Cavaliere continua a considerare ogni contrappeso, ogni forma di controllo, un impiccio, un muro da buttare giù. E resta ancora un ostacolo da superare, il più solido e autorevole e dunque il più scomodo: la presidenza della Repubblica affidata a Napolitano. Per dare la spallata al Quirinale il premier ha evitato lo scontro su giustizia e informazione, come sarebbe stato ovvio. E ha scelto di muovere l’assedio a Napolitano partendo da un terreno mai frequentato da lui: quello delle scelte etiche, la frontiera della morte, sempre esorcizzata dall’ultra-settantenne Berlusconi che nel 2006, in piena campagna elettorale, arrivò a dire: "Sotto il mio governo le aspettative di vita media si sono alzate". E infatti, il giorno prima del Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto, nonostante il parere contrario di Napolitano, il sottosegretario Gianni Letta aveva sospirato con i suoi interlocutori vaticani: "Non so se riusciamo a convincere Silvio". E poi, opinioni personali del premier a parte, c’erano i sondaggi a favore di Beppino Englaro. "Ha cambiato idea quando gli abbiamo parlato. Lui ha capito", giura la sottosegretaria Eugenia Roccella. A fare il miracolo, riuscire a interessare Berlusconi della sorte di Eluana (appena un mese fa aveva detto: "di questi casi non si fa carico l’esecutivo"), sono stati due laici trasformati in crociati: la Roccella, ex radicale diventata poi portavoce del Family Day, pupilla del cardinale Camillo Ruini. E il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, cresciuto su posizioni laiciste, alla scuola di un anti-clericale dichiarato come Bettino Craxi, oggi convertito alle frequentazioni ecclesiastiche. Al punto da chiedere all’amico Raffaele Bonanni, segretario della Cisl e fervente cattolico, militante nel movimento dei neo-catecumenali, di essere introdotto in udienza con papa Ratzinger. E ora in Vaticano le simpatie vanno tutte al premier: "Berlusconi è un evangelizzatore, riesce a convincere più persone lui di quanto non riusciamo a fare noi", esagera ma fino a un certo punto un monsignore di curia.
Politica radicale: il corpo, la vita, la morte strumentalizzati come un’arma da gettare nelle polemiche politiche. Da una parte il destino di Eluana, dall’altra le istituzioni e la Costituzione, quella che il premier considera "filo-sovietica", "ispirata alla Carta dell’Urss del 1936". Riferimenti non certo casuali, nel momento di massimo scontro con Napolitano, il primo esponente del Pci arrivato al Quirinale. E che dimostrano come la vicenda Englaro sia per Berlusconi la prima tappa di un’offensiva tutta da costruire. Con l’obiettivo, prima di tutto, di trasformare il Pdl che sta per nascere nel partito personale del premier, una pura e semplice espansione di Forza Italia. Per far questo bisogna azzerare o quasi il ruolo del presidente della Camera Gianfranco Fini, l’unico che ha messo in discussione nel centrodestra lo strapotere berlusconiano: fino a questo momento è stato l’indiscusso numero due nel Pdl, ma sul decreto impropriamente definito salva-Eluana si è consumata la spaccatura più drammatica tra Fini e i ministri di An. Costretti a scegliere tra la fedeltà a Berlusconi e quella al presidente della Camera che appoggia Napolitano e che sul caso Englaro ha difeso il diritto del padre a dire l’ultima parola, gli uomini di An nel governo non hanno avuto dubbi. Tutti con Silvio: compreso Altero Matteoli, sempre vicino al leader, o la giovane Giorgia Meloni. Anche Andrea Ronchi, ministro in quota Gianfranco, ha convocato una riunione di circoli di An in una sala sotto il Gianicolo, aperta da un filmato con la foto di Eluana. Così il presidente della Camera accresce il suo prestigio fuori dal centrodestra, ma dentro è rimasto politicamente solo, senza partito, senza truppe, senza casa. Un esiliato, come negli struggenti versi della poetessa Anna Vukusa letti da Fini durante una cerimonia di commemorazione delle vittime delle foibe: "Il mio cuore di esule è una bianca conchiglia per ascoltare il mare che più non mi appartiene". E già: il mare dei post-missini, quelli alla Gasparri, sta per traslocare alla corte di Arcore.
Sbrigata la pratica Fini, si aprirà la partita vera: la riforma costituzionale che Berlusconi minaccia da mesi. Il premier ci pensa e ne parla da anni: una riscrittura dell’attuale Costituzione in senso presidenzialista, con il sogno di arrivare al Quirinale eletto da un plebiscito popolare. Ora, però, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti. Anche perché la lentezza delle decisioni imposta dalle vecchie regole è un ottimo alibi per giustificare l’assenza del governo di fronte alla crisi economica. Una via d’uscita niente male per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal calendario infuocato dei prossimi mesi. L’esplodere del conflitto sociale, di cui la manifestazione organizzata dalla Fiom e dalla Funzione pubblica della Cgil per venerdì 13 febbraio è solo un anticipo. "Silvio sbaglia a lavorare per la separazione della Cgil dagli altri sindacati: è un altro consiglio strampalato che gli ha dato Sacconi dopo l’intervento su Eluana. Significa solo aumentare la tensione", si lamenta un esponente del Pdl. Ma il Cavaliere è già pronto a indicare il nome del colpevole dell’ondata di scioperi, manifestazioni e licenziamenti in arrivo. Non la sottovalutazione della crisi, non l’incapacità di Palazzo Chigi di trovare soluzioni straordinarie come in altri paesi europei. Ma, al solito, le istituzioni repubblicane che non consentono a Berlusconi di governare come vorrebbe.
Impossibile che Napolitano possa restare a guardare, dopo gli attacchi subiti negli ultimi giorni. Un fuoco di fila che ha l’obiettivo di indebolire la più alta forma di garanzia quando si arriverà a parlare di riforma della giustizia e separazione delle carriere. O quando si manifesterà lo stravolgimento dell’apparato delle forze dell’ordine pubblico voluto dalla Lega, con le competenze che dai prefetti passano ai sindaci o con la legalizzazione delle ronde padane. Passaggi strettissimi che metteranno ancora una volta di fronte Quirinale e palazzo Chigi. L’uomo della Costituzione e il Cavaliere che sogna di prenderne il posto. Pronto a utilizzare ogni occasione: il dramma di Eluana. O, come avverte qualcuno nel Pdl, l’interruzione traumatica della legislatura, con la richiesta di un nuovo voto popolare per la sua riforma costituzionale. Questioni di vita o di morte, per la Repubblica.