Ricardo De Gennaro, l’Unità 13/2/2009, 13 febbraio 2009
UNO SCACCO MATTO PER SALVARE LA VITA
Una partita a scacchi con la morte. A giocarla non è il cavaliere medievaledel Settimo sigillomaun ebreo polacco, catturato dai nazisti a Budapest nel 1944. Si chiamava Frydman, Roman Frydman. Condotto davanti al capo della Gestapo, Roman si accorge che nella stanza c’è una scacchiera con i pezzi allineati. Chiede allora all’ufficiale se sa giocare. L’altro risponde con una smorfia di disprezzo, ma poi non resiste e domanda a sua volta a Frydman se anche lui è un giocatore di scacchi. «Sì, gioco, ma non troppo bene», dice il prigioniero ebreo. Il vero campione era il fratello di Frydman, che il comandante delle Ss ricordava di aver incontrato in un torneo nazionale alcuni anni prima. A quel punto nella mente del tedesco balena un’idea. «Va bene. Giochiamo una partita. Se la vinci avrai salva la vita», propone. Roman ha un brivido. Ma poi accetta. Gioca. Dà scacco matto al bianco. Respinge la morte. Questo incredibile episodio, che sembra il frutto della fantasia di uno scrittore, è raccontato in un documentario intitolato: «La famiglia che sconfisse Hitler». Prodotto da History Channel, il film è stato proiettato in anteprima per il pubblico italiano il 27 gennaio scorso a Roma, in occasione del «Giorno della memoria». poi andato in onda su Sky tre giorni dopo. Alla presentazione, che si è tenuta al Centro ebraico italiano di Palazzo Pitigliani, era presenta una delle due figlie di Roman,Marguerite. Lei, il padre, la madre e la sorella minore, Irene, sopravvissero - grazie a storie diverse ed estremamente fortunate - alla barbarie nazista.Uncaso rarissimo. «Quell’uomo mantenne la parola - ha raccontato la donna - miopadre futenutoprigioniero nel quartier generale della Gestapo e non venne mai deportato in un lager». Ogni giorno, alle dodici in punto, Roman veniva condotto nella stanza del comandante e, fino alle due, giocava a scacchi con lui.Nonsi sa quante partite vinse e quante ne perse: soltanto la prima fu quella decisiva. «Dopo la fine della guerra - ha detto ancora Marguerite Frydman, che oggi ha 77 anni -mio padre fece di tutto per rintracciare l’ufficiale tedesco e ringraziarlo, ma non riuscì a trovarlo. Forse era morto sul fronte sovietico».Dopoche il padre aveva lasciato la Polonia con il suo reggimento, Marguerite e Irene trascorsero giorni terribili nel ghetto di Varsavia. La ricongiunzione della famiglia avvenne, dopo la liberazione di Varsavia, grazie a un biglietto che Marguerite, aveva attaccato ai muri della loro casa distrutta dai bombardamenti. La prima cosa che fece il padre fu di portare la famiglia al ristorante. «Non ho mai visto nessuno mangiare tanto», disse a Marguerite terminato il pranzo. Quandofurono un po’ più grandi le duesorelle, ora nonne, furono mandate a studiare all’ estero, mentre il padre e la madre continuarono a vivere a Varsavia. Morirono negli anni Sessanta. AttualmenteMarguerite vive aParigi, Irene aNewYork, dove ha uno studio dentistico.