Estrella Gutièrrez, il Manifesto 13/2/2009, 13 febbraio 2009
LA BENZINA DELLE CANAGLIE
La storia del petrolio venezuelano è legata alla principale potenza «consumatrice» del pianeta, gli Stati Uniti, ma se il nuovo piano su energia e ambiente del presidente Barack Obama raggiungerà i suoi obiettivi, entro un decennio Caracas non potrà più contare sul mercato statunitense per greggio e derivati.
Il piano «Nuova energia per l’America», lanciato il 26 gennaio da Washington, prevede tra i i primi quattro obiettivi quello di «eliminare le nostre attuali importazioni da Medio Oriente e Venezuela, entro 10 anni». Nel firmare i decreti per la realizzazione del piano, Obama ha dichiarato che uno dei suoi obiettivi è rendersi indipendente dal petrolio «proveniente da regimi ostili», attraverso un rispamio nel consumo di almeno 14 milioni di barili al giorno a partire dal 2011.
«Gli serve il nostro greggio»
I commenti del presidente venezuelano Hugo Chávez sono arrivati il 2 febbraio. «A me sembra che al presidente Obama abbiano fatto prendere lucciole per lanterne sul tema dell’energia», ha dichiarato, ribadendo che Washington continuerà a dipendere dal petrolio importato. Chávez, che ha valutato il piano in termini globali e senza uno specifico riferimento al caso venezuelano, si è complimentato per la decisione della nuova amministrazione Usa di promuovere l’uso di energia pulita, offrendosi di collaborare nel dare impulso all’energia solare, eolica o delle correnti marine. «Tutto ciò mi sembra meraviglioso, ma difficilmente gli Usa nel breve periodo si libereranno dal petrolio, di cui hanno bisogno come l’aria, come l’ossigeno», ha assicurato Chávez, per il quale nei prossimi anni «sarà inevitabile un incremento nel consumo di petrolio» a livello mondiale.
Alcuni esperti di geostrategia energetica e di relazioni petrolifere tra Usa e Venezuela ritengono invece che il piano di Obama rappresenti una svolta radicale nel legame storico tra le due potenze di importazione ed esportazione del greggio nel continente americano. «Il Venezuela è l’unico iinportatore di petrolio menzionato espressamente nel piano, e senza mezzi termini; si dice che entro 10 anni sarà eliminato come fornitore», ha dichiarato José Suárez Núnez, editorialista di PetroFinanzas. Víctor Poleo, docente universitario, viceministro per l’energia di Chávez all’inizio del suo governo e oggi critico sulla gestione pubblica in materia di petrolio, ha dichiarato che il piano di Obama avrà un impatto tale per il paese che l’ultima decade potrebbe essere stata per il Venezuela «L’ultima ondata di redditi petroliferi elevati». La congiuntura della prima grande crisi globale del ventesimo secolo col ruolo dei combustibili fossili nel cambiamento climatico e la nuova leadership della prima potenza del pianeta lascia presagire, secondo Poleo, una nuova era del consumo di energia, in cui il petrolio perderà il proprio primato in favore di fonti pulite, allontanando l’umanità da uno sviluppo suicida. Elie Habalián, anche lui professore universitario membro del primo team di Chávez in materia di energia e oggi critico verso la sua strategia, ha conunentato che i responsabili del settore in Venezuela «non capiscono la dimensione e la portata dei cambiamenti che incideranno sul petrolio e le nuove dinamiche tecnologiche energetiche ecologiche di cui oggi Obama si è fatto paladino».
Il Venezuela, i cui popoli originari utilizzavano il petrolio ancor prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo in America, è diventato produttore di greggio all’inzio del ventesimo secolo, e da allora lo sviluppo del prodotto - da cui la sua economia dipende - è sempre rimasto legato agli Stati Uniti. Non solo erano statunitensi le multinazionali che parteciparono maggiormente allo sviluppo petrohfero fino alla nazionalizzazione dell’industria nel 1976, ma è la stessa geografia ad aver un posto come scelta più conveniente le relazioni commerciali con il vicino e principale importatore di petrolio al mondo. Per Washington, il Venezuela è sempre stato, prima e dopo la nazionalizzazione, il forntore più affidabile. Caracas fu tra i fondatori nel 1960 defl’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), creata per difendere gli interessi dei produttori di una risorsa strategica e non rinnovabile, ma non ha mai partecipato agli embargo del gruppo, per ragioni politiche.
L’arma chiamata petrolio Chávez ha invece utilizzato sempre di più il petrolio come un’arma politica nelle proprie relazioni internazionali, soprattutto con gli Stati Uniti, sin da quando è salito al potere nel 1999 e ha cominciato a promuovere «il socialismo del ventunesimo secolo», forte della sovranità petrolifera e dell’appoggio dei popoli del Sud all’indipendenza dall’«impero statunitense», uno dei suoi fondamenti. Dal 2005, Chávez ha aggiunto la minaccia di un blocco delle forniture di greggio alla sua guerra verbale contro il presidente Usa George W. Bush (2001-2009), che ha accusato di aver imposto una politica di aggressione mondiale e regionale e di aver partecipato a diverse cospirazioni per rovesciarlo.
Nel settembre 2008, il presidente venezuelano ha esplulso l’ambasciatore Usa, per solidarietà con un’iniziativa analoga del governo della Bolivia, tra i principali alleati della «rivoluzione bolivariana». Da allora, le relazioni bilaterali restano affidate agli incaricati d’affari, anche se il 6 febbraio Chávez ha dichiarato di confidare in un cambiamento nelle relazioni adesso che a Washington si respira la «ventata d’aria fresca» di Obama. «Rispetteremo chi ci rispetta e siamo aperti al dialogo», ha dichiarato.
Secondo Suárez Núnez, il dipartimento per l’energia Usa avrebbe contattato immediatamente i 200 compratori di greggio venezuelano, e «tutti hanno garantito di disporre di forniture per sostituire quel greggio» se la minaccia di Caracas dovesse concretizzarsi. Di fatto, la compagnia statale Petróleos de Venezuela (PDVSA, Pedevesa) continua a destinare agli Stati Uniti circa 1,2 milioni di barili al giorno, che rappresentano più del 50 per cento delle sue esportazioni negli anni ’90, il venezuela era il secondo fornitore del paese nordamericano, mentre oggi è sceso al quinto posto, e le sue vendite rappresentano solo il 12 per cento delle importazioni statunitensi di greggio. Al tempo stesso, Pedevesa ha incoraggiato una diversificazione dei suoi mercati petroliferi, per proteggersi dall’attuale andamento dei prezzi, che ha visto passare il paniere delle espoftaziorii venezuelane da nove dollari, quando Chávez è arrivato alla presidenza, a 150 dollari nel 2008, prima che conúnciasse l’attuale crollo.
Gli Usa pagano bene e subito
Il problema, ha spiegato Suárez Núfíez, è che tra i nuovi clienti solo la Cina ha un potenziale importante, visto che le altre destinazioni hanno tutte un risvolto politico, con accordi che prevedono il pagamento in natura o con scadenze fino a 15 anni. «L’unico che paga bene e a 30 giorni sono gli Stati Uniti», ha sottolineato. Adesso che la crisi finanziaria mondiale ha visto precipitare i prezzi del greggio e che il paniere petrolifero venezuelano si aggira intorno ai 37 dollari al barile - mentre il valore per il 2009 è stato fissato a 60 dollari - la diversificazione delle destinazioni si scontra con nuove difficoltà come i costi del trasporto, il surplus di offerta e la necessità di nuovi sistemi di raffinazione del greggio. «Piazzare un barile negli Stati Uniti costa 1,5 dollari mentre in Cina costa 1,0 dollari. In più il Venezuela raffina 600mila barili al giorno nelle raffinerie nordarnericane che hanno adattato i loro sistemi al greggio pesante», di difficile trasformazione e che rappresentano i tre quarti della produzione locale, ha spiegato l’esperto come esempio. La produzione venezuelana è infatti formata per il 75 per cento di greggi pesanti «e non esistono altri impianti di raflinazione adeguati per lavorarli fuori dagli Stati Uniti», ha aggiunto.
Secondo Suárez Núnez, il piano di Obama dichiara il Venezuela un paese da cancellare dalla lista dei fonútori nel momento peggiore, visto che lo scenario mondiale è «già ostile, e Pevedesa deve affirontare contemporaneamente problemi di debito con i fomitori nazionali e stranieri, calo della produzione e entrate insufficienti a coprire il bilancio». «In concreto, il piano di Obama potrebbe accelerare la fine della fase degli alti utili provenienti dal petrolio per il Venezuela, e costringerci a confrontarci con la nostra realtà collettiva», ha commentato Poleo, considerando che la nuova leadership di Washington «lancia e promuove un cambiamento strutturale della fonte energetica del motore a benzina, che ha dominato gran parte del ventesimo secolo».
«Il Venezuela può, ovviamente, cercare altri clienti per il suo petrolio, ma in tal caso sarebbe costretto ad una ripianificazione che richiede tempo», ha puntualizzato Habaliàn. Per di più, il reddito che ricaverebbe da altri mercati sarà sempre inferiore, e questo sarebbe un elemento chiave per cui il paese entrerà in un’era di bassa redditività del prodotto che rappresenta il 90 per cento delle sue esportazioni. «E trasporto di un barile in Cina o in India, i colossi emergenti nel consumo di energia, costa 10 dollari, che possono essere assorbiti quando il prezzo del barile è a 90 dollari, ma non quando il suo valore scende a 30», ha spiegato. «Gli Stati Uniti possono tranquillamente ridurre o perfino eliminare gli acquisti venezuelani, mentre il Venezuela, sul breve e medio periodo, avrà dei grossi problemi se perderà il suo cliente storico».