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 2009  febbraio 19 Giovedì calendario

Rosa Russo Jervolino. Sindaco di Napoli. Per i napoletani è semplicemente Rosetta. *** «Sono una testa dura, ”na capatosta abituata a fare la voce grossa anche con gli uomini

Rosa Russo Jervolino. Sindaco di Napoli. Per i napoletani è semplicemente Rosetta. *** «Sono una testa dura, ”na capatosta abituata a fare la voce grossa anche con gli uomini. La prima battaglia l’ho fatta in famigli: mio marito era ferocemente contrario all’idea che facessi politica. Figuriamoci se, adesso, mi lascio spaventare». *** Nel 1964 sposò il professor Vincenzo Russo e a soli 44 anni rimase vedova. «La testa dura e la capacità di combattere le ho ereditate in parte da mia madre che era austriaca e in parte da lui che era un abruzzese Doc. Di sicuro non avrebbe voluto che facessi il sindaco. […] Autoritario e attraente. Un uomo bello e galante che fin da piccolo è stato venerato dalla mamma e dalle sorelle. Viveva in una famiglia di media borghesia dove le donne non erano abituate a lavorare. Lui era medico e docente dell’università di Roma. E questa specie di moglie che, oltre che avere una sua professione, faceva anche politica, viaggiava e girava l’Italia, non gli andava bene. […] La situazione è migliorata quando sono diventata senatore di Vasto, il paese dove mio marito è nato e cresciuto e che amava in maniera esplosiva. In quella occasione, Enzo ha cominciato a capire che il lavoro politico della moglie poteva aiutare la povera gente della sua terra. Ma guai a dirgli: ”Lei è il marito della senatrice”. Ero io la moglie del professore». Gli anni più difficili? «Gli ultimi dieci della sua vita. Enzo era cardiopatico e ha dovuto convivere per un decennio con questo problema. Non è stato facile. Soprattutto perché a un medico non puoi nascondere la verità. E lui era bello e giovane: ex ufficiale della marina e poi docente universitario, era l’inverso della malattia. Accettare tante limitazioni è sempre un problema. Anche i bambini sono stati costretti a confrontarsi con il dolore». Ma il giorno in cui è morto suo marito, in casa è entrato il gatto Camomilla. «E’ stato un regalo di mio cognato a Francesca, la più piccola dei miei figli. Non voleva che pensasse al papà. Mi ricordo che quella sera abbiamo dormito tutti insieme nella stessa camera. Nel lettone con me c’erano Maria Cristina e Francesca, nel lettino vicino c’era Michele e, in mezzo a noi, Camomilla. Per ventitré anni è stato così: quando i miei figli sono cresciuti e sono rimasta sola in casa, Camomilla ha continuato a farmi compagnia. Non mi vergogno a dire che saltava anche sul letto. E’ morto da poco e il dolore è ancora fresco. Lo abbiamo sepolto a Capo Miseno, il luogo in cui è nato. Ritengo Camomilla insostituibile». Avrebbe voluto risposarsi? «Ho perso mio marito e mi sono dedicata con grande piacere ai miei figli. Sarebbe stato terribilmente ingiusto, dopo il padre, sottrargli anche una parte della madre. E la mia vita è stata sempre piena di affetti». C’è stato un altro uomo, dopo suo marito? «No. E quasi, quasi dico… mi dispiace, ma non è successo». Non è mai troppo tardi. «Se mi trova un novantenne, magari ci penso». *** Ha tre figli. «Michele lavora in banca a Roma. Maria Cristina è laureata in Diritto amministrativo e abita a Bruxelles. Francesca vive tra Napoli e Roma, è ricercatrice universitaria e ha appena finito di scrivere un libro sulla storia della istituzioni politiche». Ha cinque nipoti.