Giornali vari, 9 febbraio 2009
Anno VI - Duecentocinquantasettesima settimanaDal 2 al 9 febbraio 2009Eluana La vicenda di Eluana Englaro sta portando alla più grave crisi istituzionale del dopoguerra, presidente del Consiglio contro presidente della Repubblica e la questione delicatissima dei rapporti tra Stato e Chiesa di nuovo in ballo, negli stessi giorni in cui si celebrano gli 80 anni dalla firma del Concordato, 11 febbraio 1929
Anno VI - Duecentocinquantasettesima settimana
Dal 2 al 9 febbraio 2009
Eluana La vicenda di Eluana Englaro sta portando alla più grave crisi istituzionale del dopoguerra, presidente del Consiglio contro presidente della Repubblica e la questione delicatissima dei rapporti tra Stato e Chiesa di nuovo in ballo, negli stessi giorni in cui si celebrano gli 80 anni dalla firma del Concordato, 11 febbraio 1929.
Testacoda Raccontiamo la storia dall’inizio. Il 18 gennaio 1992, la giovane Eluana Englaro, di soli 22 anni, alla guida della Bmw, cioè della ”macchina grande”, che i genitori le avevano lasciato per maggior sicurezza, ne perse il controllo e a conclusione di un testacoda si schiantò contro un muro. Trauma encefalico e spinale. Portata all’ospedale di Lecco, il professor Riccardo Massei la tenne in vita, ma non riuscì a svegliarla. Da allora – e sono passati 17 anni – Eluana giace in coma profondo, definito ”stato vegetativo” e giudicato dai genitori una non-vita. Il papà Beppino e la mamma Saturna (oggi malatissima) tentarono a più riprese di lasciar morire legalmente la figlia, sostenendo che Eluana, visitando un certo giorno un amico entrato in coma dopo un incidente, aveva detto che mai e poi mai lei avrebbe accettato di sopravvivere a una situazione simile. La lunga battaglia di Beppino Englaro per rispettare la volontà della figlia pareva alla fine essersi conclusa con uno triplo pronunciamento (Cassazione, Corte d’Appello di Milano e di nuovo Cassazione) che autorizzava il padre ad affidare Eluana a una struttura medica capace di accompagnarla alla fine, mediante il sistema della non-alimentazione e della non-idratazione.
Misericordine Due anni dopo l’incidente, Eluana era stata affidata alle suore misericordine di Lecco che l’hanno assistita fino a pochi giorni fa in tutto: passarle ogni giorno una spugna sul corpo, lavarla e assisterla al momento dei bisogni, tirarla su a braccia e trascinarla in giardino per farla muovere, girarla su un fianco e poi sull’altro per evitar le piaghe, nutrirla e idratarla con un sondino infilato nel naso. La donna ha continuato a vivere – e ha adesso 39 anni - senza vedere, senza udire, senza sentire, senza provar fame né sete. Però il suo cervello manda impulsi elettrici, il cuore batte, e talvolta accelera, la carnagione – a sentire chi l’ha vista – è ancora liscia, gli occhi possono aprirsi e chiudersi e il ciclo delle mestruazioni continua ancora adesso.
Partenza Forte dell’ultimo pronunciamento della Cassazione, Beppino Englaro ha cercato una struttura dove far morire la donna e non l’ha trovata perché cliniche e ospedali del Sistema Sanitario Nazionale si sono rifiutati di accoglierla. Alla fine, la settimana scorsa, l’annuncio che una struttura era stata trovata: la clinica La Quiete di Udine. Così, la notte tra il 2 e il 3 febbraio, un’ambulanza ha prelevato Eluana dalla clinica Beato Luigi Talamoni, dov’era assistita dalle misericordine, e l’ha portata a La Quiete. Alla partenza, gruppi di cattolici si sono gettati sul cofano della macchina per impedire la partenza. A Udine, dal 3 febbraio, c’è sempre un presidio di credenti che inalbera cartelli contenenti le parole ”Dio”, ”Vita” ecc.
Protocollo Venne stabilito un protocollo. Da venerdì 6 febbraio si sarebbe cominciato a non nutrirla più. Un set di farmaci avrebbe provveduto ad evitare gli spasmi. Infine, tempo 15 giorni al massimo, la faccenda sarebbe finita. I medici incaricati di star vicino alla malata e a provvedere (l’anestesista De Monte, il professor Defanti) assicurano che Eluana non soffrirà perché nelle sue condizioni di essere umano ormai pressoché privo di corteccia cerebrale la fame e la sete non si sentono. E però la clinica La Quiete venne presidiata da agenti che impedirono a chiunque di avvicinarsi.
Napolitano Mentre la polemica infuriava e le grida delle gerarchie cattoliche riempivano tutti i mezzi di comunicazione di massa, Berlusconi sondò il Quirinale sulla possibilità di emanare un decreto legge (cioè un provvedimento d’urgenza immediatamente in vigore) che proibisse di sospendere alimentazione e idratazione ai malati non più in grado di provvedere a se stessi. Questo in attesa del varo della legge sul testamento biologico, che è effettivamente all’esame del Parlamento. Era giovedì pomeriggio e Napolitano fece sapere di esser contrario perché in democrazia non sono ammessi decreti che annullino sentenze della Cassazione (per via della distinzione dei poteri) e, nell’eventualità che il governo sostenesse la necessità di un provvedimento generale, allora sarebbero mancate le condizioni di necessità e urgenza che la Costituzione prevede per la decretazione. Pareva che Berlusconi avesse rinunciato. Ma il venerdì mattina, essendo convocato il consiglio dei ministri che non aveva all’ordine del giorno il caso di Eluana, Napolitano decise di mettere per iscritto le sue perplessità e fece pervenire al governo riunito una sua lettera di tre pagine, molto argomentata giuridicamente. Berlusconi allora ebbe la sensazione d’esser sotto tutela e decise di far lo stesso quello che il presidente gli proibiva. Scrisse il decreto (un solo articolo, meno di 60 parole), pretese dai ministri l’approvazione unanime, avvertendo la perplessa Prestigiacomo che di fronte a una sua astensione ne avrebbe accettato le dimissioni, e spedì il testo al presidente della Repubblica, per vedere se avrebbe osato non firmarlo, cioè non emanarlo. Napolitano, due ore dopo, fece sapere che non avrebbe firmato. La guerra era stata dichiarata.
Guerra Al di là degli schieramenti precostituiti, è impossibile passare in rassegna gli argomenti addotti da questi e da quelli per sostenere il torto o la ragione dell’uno o dell’altro. Basterà dire: è assai dubbio che il decreto pensato da Berlusconi avesse fondamento costituzionale; ed è assai dubbio che il presidente Napolitano potesse rifiutarsi di firmare. La lettera del presidente – una presa di distanza formalizzata – venne definita da più parti irrituale (come minimo), dato che nel nostro sistema il capo dello Stato è ”irresponsabile”, cioè non fa e non può fare politica. Persino la valenza giuridica di quanto enunciato della Cassazione è adesso in discussione: sentenza passata in giudicato e quindi atto da eseguire implacabilmente e non contrastabile da alcun altro potere? O semplice decreto che regola blandamente una situazione contingente e che dunque – per dir così – non fa giurisprudenza? «Se domani la ragazza aprisse gli occhi, la faremmo morire lo stesso perché è già stato deciso da un tribunale?» si è chiesto il costituzionalista Piero Sandulli.
Disegno di legge Il decreto legge bocciato da Napolitano è stato trasformato da Berlusconi in un disegno di legge da approvare a tutta velocità. Il Senato è stato convocato per lunedì notte 9 febbraio, la Camera per il giorno dopo. Intanto Berlusconi grida che se non gli faranno adoperare i decreti legge come pare a lui, farà sciogliere le Camere e si farà autorizzare dal popolo a cambiare la Costituzione. La quale, ha aggiunto, venne scritta sotto l’influenza di un partito filosovietico, «io la rispetto ma deve essere modificabile». Intanto le gerarchie vaticane si son fatte prudentissime e il segretario di Stato, Bertone, ha persino telefonato al Capo dello Stato per manifestargli la sua stima. Nessuno ha ancora chiamato Napolitano ”assassino”. Ma il clima è quello.