Ettore Livini, la Repubblica, 12/2/2009, 12 febbraio 2009
TRAGEDIA GRECA. NEL PAESE CHE RISCHIA LA BANCAROTTA
«Uno due tre, quattro, cinque... Non stia lì a contare. Il calcolo l´ho già fatto io. Siamo a trenta». Un sole che sa già di primavera scalda il Pireo. Lefteris Gozinas, da 27 anni alla guida dei muletti su e giù per i moli del porto, scruta l´orizzonte verso l´isola di Salamina. «Due navi sono partite stanotte - dice sorseggiando un caffè al bar sulla banchina - . Meno male. A novembre ce n´erano sessanta all´àncora. E io per tre settimane sono rimasto a casa senza paga». Lefteris non lo sa. Ma tutta l´Europa della finanza, dagli algidi uffici della Banca centrale di Francoforte alle trading room della City, ripete ogni mattina la stessa operazione. «Uno, due, tre, quattro, cinque�trenta». Conta i giganti del mare "pensionati" dalla crisi e parcheggiati nelle acque blu dell´Egeo, per capire se la speculazione finanziaria, dopo aver messo in ginocchio l´economia mondiale, riuscirà a vincere la madre di tutte le battaglie: l´assalto all´euro.
Il piano dell´attacco, già in corso, è semplice. Prima fase: individuare il ventre molle del nemico, come si è fatto a Wall Street facendo saltare come birilli le grandi banche infettate dai subprime. E nel mirino in Europa - per dirla con l´infelice acronimo coniato dalla finanza anglosassone - c´è la pattuglia dei "maiali", i Pigs. Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i paesi con i conti più fragili. Seconda fase dell´assalto: isolare nel gruppo la preda più debole per abbatterla (Ue permettendo) come la Lehman, sperando in un effetto domino sui vicini. E un´occhiata ai conti di Atene e alle navi alla fonda nel Pireo sono bastati per selezionare il candidato ideale: la Grecia.
Yannis Papathanassiou, arrivato da un mese al Tesoro, fa gli scongiuri. E la butta in mitologia: «Le Cassandre noi le conosciamo. Vaticinavano che non saremmo riusciti a organizzare le Olimpiadi 2004. E tutti sanno come è andata. Ora vogliono spostare indietro le lancette dell´orologio e riportarci alla dracma. Ma noi siamo un paese sano, cresciuto del 4% l´anno dal 2001. Dimostreremo che sbagliano». Lo spera anche Bruxelles. Ma dopo sette anni di boom, il vento sull´Egeo è girato. E i greci si sono risvegliati con un debito in crescita al 94% del Pil, un governo fragile (il centro-destra di Costas Karamanlis ha una maggioranza di un seggio), tensioni di piazza e i due motori dell´economia, turismo e noli marittimi � come dire il 40% del Pil � pericolosamente imballati.
Le navi ancorate di fronte ad Atene sono diventate così il termometro ideale per misurare lo stato di salute dell´euro. «Solo un anno fa la baia qui davanti era vuota. Le barche erano per mare a pieno carico � ricorda Nikos Arvanitis, responsabile della National Maritime Union �. A maggio 2008 c´era chi offriva 170mila dollari al giorno per noleggiarne una». Oggi con 7mila ci si può regalare il lusso di 24 ore su una petroliera vuota. «Preoccupato? Ma no� � rassicura Leonidas Polemis, ultimo erede della dinastia d´armatori della Remi Maritime, guardando dalle vetrate del suo ufficio le gru ferme del Pireo �. Lo ero due mesi fa, quando si parlava di 200 navi in attesa di gettar l´ancora tra qui e Salamina. Ma oggi va meglio. Asia e Cina stanno ripartendo. La mia famiglia fa questo lavoro da 200 anni e di crisi come questa ne ha viste tante. Ne usciremo, noi e la Grecia. Sono pronto a scommetterci».
Non è il solo. Anche i bookmakers inglesi accettano puntate sull´uscita di Atene dall´euro. Ipotesi quotata oggi al 15% dopo un picco del 25% un paio di settimane fa. E i mercati, pronti a mettersi al vento, hanno fiutato aria di tempesta. Piazzare i titoli di stato ellenici è sempre più difficile: un anno fa il Tesoro rifinanziava il debito nazionale a un tasso maggiorato dello 0,55% rispetto alla Germania. Oggi paga interessi superiori del 2,6% rispetto a Francoforte. E il timore è che la china diventi sempre più ripida (nel 2008 sono previste emissioni per 43 miliardi) obbligando Atene ad alzare bandiera bianca e chiedere aiuto a Bruxelles o al Fondo Monetario.
«Il problema è semplice � scrive S&P che ha appena tagliato il rating ellenico (come ha fatto con Spagna e Portogallo) ad A-1, il peggiore tra i 16 paesi Ue �. La Grecia è cresciuta tanto, ma non ha affrontato i suoi problemi strutturali». Un elenco che a noi italiani suona familiare: sistema pensionistico insostenibile, spesa statale troppo alta, salari rigidi («il posto pubblico qui è ancora il Sacro Graal», dice Polemis). Fardelli pesanti quando l´economia tira, insopportabili quando si ferma. «Siamo uno dei pochi paesi che cresceranno anche nel 2009», rivendica orgoglioso Papathanassiou. Ma il pil, se va bene, salirà dello 0,2%, il deficit delle partite correnti viaggia a un pericolosissimo 14%, i debiti delle famiglie sono schizzati dal 10 al 48% del loro patrimonio. E la stagione turistica � un volano da 16 miliardi l´anno � è partita male: nelle strade della Plaka illuminate dalla luna piena, di solito piene di stranieri resi allegri dall´Ouzo, si sente solo il miagolio dei gatti del Partenone in amore. Le prenotazioni per l´estate 2009, dicono in camera caritatis all´Ufficio del turismo ellenico sono in calo del 60-65%. «Siamo una nazione con alcuni mali cronici � conferma nel suo taxi Theodoros Papaconstantinou � e con al capezzale medici incapaci di curarla».
La politica greca, in effetti, vive un momento di scarsissima popolarità. Crisi economica e disoccupazione (al 9% con punte del 21% tra i giovani) rischiano di diventare una miscela esplosiva in un paese che, per dirla con Polemis � «si infiamma facilmente». L´esecutivo di Karamanlis arranca. Messo in ginocchio prima dallo scandalo di Vatopedi (le operazioni immobiliari con i monaci di Monte Athos costate ai contribuenti 100 milioni) e poi dagli incidenti di piazza a dicembre, quando un poliziotto ha ucciso nella roccaforte anarchica di Exarchia il 15enne Alexis Gregoropoulos. I 28 miliardi di dollari stanziati dal governo per sostenere un sistema bancario molto esposto (il 25% degli impieghi) verso un´area balcanica in difficoltà hanno acuito il malcontento. «Una settimana fa sono sbarcati al Pireo in trattore i produttori d´olio di Creta chiedendo di essere aiutati dal Tesoro, come i banchieri � racconta scandalizzato Gozinas mescolando il suo caffè �. E il governo non ha trovato niente di meglio che accoglierli con un lancio di lacrimogeni!». «C´è un malcontento diffuso, trasversale e preoccupante nei confronti delle istituzioni», conferma l´ambasciatore italiano Gianpaolo Scarante. Nel mirino una politica domestica incapace di rinnovarsi. Ma non solo: malgrado i fondi Ue siano stati il carburante principale dell´impressionante sviluppo infrastrutturale ellenico, persino la valuta unica, complice l´aumento dei prezzi, rischia di finire sul banco degli imputati. «Vede questa bottiglia di minerale? � dice il 22enne Dimitris Angelopoulos davanti al Parlamento �. Sei anni fa costava 50 dracme. Oggi 50 centesimi. Il 300% in più!>.
I lacrimogeni e le navi ferme al Pireo, i dati economici sempre più traballanti e le immagini dei kukulofori, gli anarchici incappucciati, che bruciano bancomat per le strade di Atene sono tutta acqua al mulino di chi spera che una Grecia così debole si sganci dal treno dell´euro. Finendo magari per trascinare nell´abisso la Spagna (in forte crisi ma con molti meno debiti), un´Irlanda alle corde e quell´Italia (incrociamo le dita) che prima della crisi greca era considerata l´anello più debole della Ue. Karamanlis � dopo gli incidenti di fine 2008 � ha messo mano al governo con un radicale rimpasto. Ma è servito a poco. Il suo partito, Nea Demokratia, è stato superato nei sondaggi dai socialisti del Pasok. E gli analisti danno quasi per certe le elezioni anticipate, forse già in coincidenza con le europee di giugno. «Noi non abbiamo rimpianti � assicura Giorgios Sfakaniakis, capoeconomista dell´esecutivo �. Chi è rimasto fuori dall´euro come Islanda e Ungheria non sta certo meglio di noi...».
Atene, sotto l´occhio vigile dell´Ecofin, ha varato in questi giorni un piano d´austerity: un tetto agli aumenti di stipendi pubblici (previsti in rialzo del 10% nel 2009), tagli alla spesa, nuove tasse su alcol e sigarette e un piano di privatizzazioni da un milardo. Basterà? E l´esecutivo avrà il tempo e la capacità di realizzarlo? Il flop della vendita di Olympic non autorizza a eccessi d´ottimismo. Ma la Grecia fuori dall´euro, dicono gli analisti, è uno scenario che Bruxelles non può permettersi. Atene ha già rifinanziato tra gennaio e febbraio il 35% del suo fabbisogno 2009. E se la situazione precipiterà, è molto probabile che a tappare i buchi possa essere proprio la Ue. Sottoscrivendo in proprio i titoli di stato ellenici. Di una Grecia trasformata in una Lehman europea, da questa parte dell´Atlantico, non sente la mancanza proprio nessuno.