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 2009  febbraio 10 Martedì calendario

PICCOLI DRAGONI


Il peggioramento del contesto macroeconomico internazionale non può che appesantire i rendimenti degli indici caratterizzati da maggior volatilità, come quelli dei mercati emergenti. Se infatti i listini occidentali continuano a soffrire sotto i colpi di un’ondata recessiva globale (con un calo degli indici Usa dell’8% da inizio anno), la performance media dei benchmark asiatici è ben peggiore, a conferma del maggior rischio di questo tipo di investimento. Concentrandosi sulla sola area asiatica, che si estende geograficamente fino alla Russia, si possono comunque notare alcune differenze di una certa rilevanza, sia in termini di valuta locale sia in euro.

Il nodo più delicato riguarda senza dubbio il mercato russo, che evidenzia criticità in termini di indice azionario e di sistema paese. Da inizio 2009 l’indice di Mosca ha perso infatti quasi il 20% del suo valore, dopo un già pesantissimo 2008, posizionandosi all’ultimo posto come rendimenti azionari in tutta l’area asiatica. Se si tiene in considerazione il rendimento in euro, la variazione scende a ”30% in sole cinque settimane. Prosegue infatti il crollo del rublo rispetto alle principali valute (-55% circa contro il dollaro dall’estate 2008), sintomo che l’economia è in una situazione particolarmente delicata.

Considerati questi aspetti, il mercato russo è da evitare. Un ulteriore rischio specifico risiede poi nel bizzarro comportamento delle autorità di controllo. Quando infatti tira brutta aria (cioè nelle situazioni di mercato particolarmente tese), la borsa di Mosca viene sospesa a tempo indeterminato, per poi riaprire una volta che le condizioni tecniche si sono rasserenate. Un comportamento simile non può che nuocere, poiché sottrae liquidità e trasparenza ad un mercato che già di per se lascia molto a desiderare. Quando si parla di Oriente, l’interesse maggiore degli investitori si concentra però sulle tigri asiatiche e sui paesi e limitrofi, trascurando il Giappone che non può essere certo considerato un’economia emergente, nonostante la delusione degli ultimi venti anni di borsa.

Un approccio cauto al listino di Hong Kong

La dinamica dell’Hang Seng di Hong Kong e quella dell’HS China Enterprises sono molto simili graficamente. In termini di Hang Seng, la struttura lascia comunque molto a desiderare poiché, con un calo del 10% da inizio anno, l’indice appare oggi tra i più deboli e rischiosi. Storicamente il beta, cioè la reattività rispetto ai mercati più evoluti, del benchmark di Hong Kong è sempre stato elevatissimo e ciò non rappresenta certo un vantaggio in una fase economica recessiva. Al contrario, durante il periodo 2003-2007, i rendimenti erano eccezionalmente sostenuti. Il downside risk dell’Hang Seng resta non marginale, poiché l’indice ha un ampio margine, prima di raggiungere i minimi del 2002-2003, che costituiscono il primo supporto di medio periodo.

Risalendo lentamente la classifica dei ritorni da inizio anno, si incontra il mercato di Taiwan, con l’indice Taiwan weighted che appare debole ed esposto a nuovi possibili movimenti verso il basso. Anche il Sensex, rappresentativo del mercato indiano, evidenzia una struttura impostata al ribasso, che non promette nulla di buono per il 2009.

Leggermente più interessante la Thailandia, che quantomeno evidenzia da alcuni mesi un tentativo di risalita, anche se caratterizzato da molto nervosismo. Ancora relativamente lontani i minimi del 2002, che potrebbero però essere testati in caso di peggioramento del contesto macro nel corso dell’anno.

Il differenziale di performance rispetto all’S&P500 (in valuta locale) rappresenta un elemento positivo solo per cinque paesi, ma solo tre sono replicabili facilmente tramite strumenti di investimento quotati a Piazza Affari. In particolare la forza relativa espressa da indici come il Jakarta composite (mercato indonesiano) o il Pse (Filippine) non è sfruttabile direttamente. Sono invece replicabili i benchmark rappresentativi della borsa malese, coreana e cinese.

La performance del listino cinese ancora a rischio

Il top performer da inizio anno in termini di rendimenti è rappresentato dalla Cina, che come indice Shanghai Official B riesce a spuntare un incremento positivo a doppia cifra, mentre in termini valutari non si identificano particolari movimenti. Il contesto macro cinese appare complesso, con la crescita del Pil in evidente rallentamento rispetto agli anni precedenti e la disoccupazione in pericolosa risalita. Difficile dire se il colosso cinese sarà in grado di svincolarsi dal contesto globale recessivo e sopprimere il disagio sociale, derivante da decine di milioni di disoccupati che sino a un anno fa non c’erano. I rendimenti per l’anno appena iniziato sono comunque a rischio. Il ”68% realizzato in diciotto mesi dall’indice Shanghai Official B conferma l’elevata rischiosità anche di questo mercato, che è in ogni caso da preferire a quello russo. L’approccio, per chi vuole puntare sul recupero del gigante cinese, deve essere di investimento e non di trading, considerato che il bias globale rimane negativo. Sono invece decisamente più interessanti i listini coreano e malese, rappresentati dagli indici Kospi e Klse. I due mercati erano stati segnalati in questa sede circa tre mesi fa, perchè si poteva attendere un’ulteriore estensione della forza relativa, rispetto ai mercati occidentali, già allora sui massimi storici.

E l’indicatore non ha mentito, anzi ha trovato conferma in un movimento di recupero dei listini molto evidente, a differenza dei competitor della stessa area geografica.

Il meno interessante tra i due è l’indice malese, che evidenzia si una forza relativa crescente ma anche una dinamica di risalita più faticosa sui livelli precedenti. Il benchmark consolida in ogni caso sopra i valori del 2005-2006, mentre i minimi del 2002 sono lontanissimi, a conferma della solidità i termini grafici.

Se poi si volesse stringere ulteriormente il cerchio, la Corea appare avvantaggiata in termini di impostazione tecnica. Se la performance da inizio anno è positiva (contro il -8% registrato dall’S&P500), ciò che stupisce è la costanza con cui il differenziale di rendimento si esplica sia rispetto ai mercati occidentali sia verso i competitor emergenti. Graficamente l’indice si è appoggiato alla solida base rappresentata dai massimi del 2000 e del 2002, posti in prossimità di quota 120. Rispetto ai minimi dell’ottobre 2008, l’indice è già riuscito ad allungare del 30% circa, confermando un’ottima forma e tenuta, nonostante le criticità che continuano ad interessare l’asset class azionaria in genere.

Se c’è un indice dei mercati emergenti da preferire, dal punto di vista quantitativo, la scelta cadequindi oggi, come nei mesi scorsi, proprio su quest’ultimo.