Enrica Brocardo, Vanity fair 11/02/2009, 11 febbraio 2009
SEMPRE STATO IN RITARDO
A circa un anno dal suo ultimo album, Rock show, Enrico Ruggeri è tornato con un nuovo (triplo) cd.
Nel primo, World Show, ci sono le canzoni dell’album precedente reinterpretate da artisti scelti su MySpace, più suo figlio, il diciottenne Pico. Il secondo, Incontri, contiene 12 cover cantate da lui, da un pezzo dello Zecchino d’Oro, Popoff, a The Passenger di Iggy Pop. Il terzo, Volata finale, prende il nome dal titolo di un film del regista albanese Gjergj Xhuvani (in Italia non ha ancora una data di uscita) di cui è la colonna sonora. Ruggeri l’ha scritta con Andrea Mirò, nome d’arte per Roberta Mogliotti, che è anche la sua compagna e la madre del suo secondo figlio, Ugo, di tre anni.
Il triplo si intitola All in. E’ il ventisettesimo album della sua carriera, iniziata nel 1977 con i Decibel (che lasciò nel 1981), e proseguita fino a oggi, passando otto volte per il Festival di Sanremo, che ha vinto nel 1987 con Si può dare di più, insieme con Gianni Morandi e Umberto Tozzi, e di nuovo, nel 1993, da solo con Mistero.
Non sazio, nel 2005, Ruggeri ha debuttato in Tv, su Italia 1, con Il bivio e, alla fine del 2008, con Quello che le donne non dicono, talk show che riprendeva il titolo della canzone scritta da lui per Fiorella Mannoia. All in - che nel poker definisce la scelta di puntare tutto - ha come sottotitolo: L’ultima follia di Enrico Ruggeri.
Lei dice che All In è anche il modo in cui ha vissuto fino a oggi. Parliamo di vita privata o professionale?
«Da musicista, sono uno che, se faceva un disco che vendeva tanto, in quello dopo cambiava completamente genere. Uno che, nel 1980, da primo cantante del primo gruppo punk italiano, i Decibel, decise di andare a Sanremo».
Una scelta così rischiosa?
«Beh, ero considerato un traditore. Una volta venni spintonato fuori da un locale, un’altra fui allontanato da un concerto dei Damned al grido: "Decibel, figli di puttana". Sotto casa mia c’era scritto: "Servo dei padroni"».
A posteriori sarebbe stato più giusto «voltagabbana». Molti anni dopo, ha criticato chi importa generi musicali stranieri che non hanno niente a che fare con la tradizione italiana. Il punk rientra perfettamente nella definizione.
«Il destino, poi, mi ha punito con un fìglio rapper».
Non mi ha detto ancora se si sente «All In» anche nel privato.
«Nel privato lo sono tutti. Compreso chi si sposa a vent’anni e rimane con la stessa donna per quaranta, prendendosi il rischio giornaliero di svegliarsi con una sessantenne al proprio fianco».
Rischio che lei non ha voluto correre.
«Non sono stato abbastanza bravo».
Ottima scusa. Ma, per usare il titolo di una trasmissione diversa dalla sua, ovvero Sfide, le sue quali sono state?
«Condurre un programma in Tv, all’inizio, mi attirò addosso un mucchio di critiche. Mentre, nella musica, la decisione, da cantautore coccolato dalla critica, di andare a Sanremo con una canzone nazional popolare come Si può dare dipiù».
Stavamo parlando del suo privato, però. Una volta lei ha detto che quando è nato suo figlio, ha avuto paura.
«Temevo che mi mettesse le pantofole al cervello. Avevo solo 33 anni, ero un bambino. Rispetto alle donne, noi uomini siamo indietro di dieci, quindici anni». Altre sfide? «Riprovarci, dopo un matrimonio fallito. La seconda volta non puoi sbagliare, sennò diventi ridicolo: "La mia quarta moglie ha telefonato alla seconda..."».
Ma non si è ancora risposato, o sbaglio?
«Però abbiamo un figlio e credo che fare un bambino equivalga a sposarsi. Vuol dire che con quella persona dovrai averci a che fare per sempre».
La prima volta, quanti anni aveva?
«Era il 1986, ventinove. Nel 1993 mi sono separato».
Cito un’altra sua dichiarazione. Ha detto che avere un figlio, il primo intendo, limitò la sua «esuberanza» con le donne.
Davvero era così esuberante?
«Beh, sono uno che piace. Mi spiego: che cosa fa un uomo quando corteggia una donna? Le parla, cercando di renderla edotta del suo meraviglioso mondo interiore. Nel mio caso. le donne arrivano già corteggiate dal mondo interiore che metto nelle canzoni, che, oltretutto, è meglio della realtà».
Così passa subito alla fase post corteggiamento. Periodi più «trafficati»?
«Diciamo quelli in cui ero libero da vincoli sentimentali, del resto non potrei risponderle altrimenti. Ma, intendiamoci. non è che fossi un erotomane, è che, obiettivamente, non era elegante non approfittare della situazione. Tenga conto che da ragazzo mi era toccato faticare parecchio: non ero il più ricco della scuola, né lo sportivo, e neppure quello che parlava in assemblea».
E, fino all’operazione per correggere la miopia nel 1987, portava pure gli occhiali con le lenti spesse.
«Anche dal punto di vista dell’approccio sessuale, la miopia è un ostacolo: non puoi arrivare liscio al momento topico, perché a un certo punto ti devi togliere gli occhiali. Che è come dire: "Adesso, facciamo sul serio"».
Torniamo a suo figlio Pico che, in realtà, si chiama Pier Enrico. Dare a un figlio il proprio nome non è un po’ da megalomani?
«All’estero non è insolito. Da noi, invece, è persino vietato. Per chiamarlo Enrico avrei dovuto fare un disconoscimento di paternità temporaneo».
Lo avrebbe fatto davvero?
«Beh, sì. Mia moglie, però, si oppose. Così l’ho chiamato Pier Enrico. Che poi è diventato Pico perché mio figlio lo odia, dice che fa tanto Berlusconi. Ha detto che vuole andare all’anagrafe per il cambio. In effetti, a posteriori, anch’io sono un pò pentito».
Il secondo, invece, lo ha chiamato Ugo Federico.
«Ugo Federico Benedetto. Ugo perché è il nome di mio padre. La mia compagna non era d’accordo, ma era ancora a letto, dopo il parto ... ».
Vigliacco.
«Ho aggiunto Federico visto che tutti dicevano: "Diamogli almeno un nome normale". E Benedetto perché è nato mentre veniva annunciato il nuovo Pontefice, Benedetto XVI».
E’ molto religioso?
«Sono cattolico come la maggior parte degli italiani. Credo che dopo la morte ci sia qualcosa, ma non credo che ci sarà qualcuno lì a chiedermi conto di quello che ho fatto. Mi sono sposato in chiesa, quindi, in teoria, vivo nel peccato. Se ci sarà una moratoria sui "reati a sfondo sessuale", andrò in Paradiso. Se invece contano tutto, compresa la masturbazione da ragazzino, sono rovinato».
Come ha conosciuto la sua compagna, Mirò.
«Nel 1994 cercavo musicisti per un tour. Ha una preparazione musicale vera. Inizialmente sono rimasto folgorato dal suo talento».
Dall’ammirazione all’amore quanto tempo ci ha messo?
«Quattro anni per arrivare al fìdanzamento, otto per la convivenza. t stata una cosa molto graduale. All’inizio, io avevo anche altre storie. Prima è entrata nella top ten, poi nella top five, finché è rimasta la sola».
Come ci è riuscita?
«Non mi ha pressato. La frase "Ho già trent’anni, che si fa?", l’avrò sentita cento volte».
Com’è lavorare in famiglia?
«Delicato. Se litigo con la mia compagna perché la pasta è scotta e dieci minuti dopo ci ritroviamo a lavorare su un suo testo, lei deve avere la solidità di non pensare: "Lo fa perché, in realtà, è ancora irritato per via della pasta". Viceversa, io devo capire se sono così
negativo perché davvero il testo non va bene o se dipende dal fatto che sono ancora nervoso, sempre per la pasta, ma devo anche evitare di dire che va bene solo per farmi perdonare».
Altra situazione delicata: un figlio che anche lui fa il musicista. Quest’anno a Sanremo ci sono due «figli di», Chiara Canzian, figlia di Red dei Pooh, e Irene, figlia di Zucchero. Un giorno, con Pico, potrebbe capitare anche a lei?
«Credo che mio figlio non andrebbe al Festival neppure con la pistola puntata alla tempia. Il problema per i figli dei cantanti è che, nell’immediato, sono agevolati, ma nel lungo periodo il padre musicista diventa una croce. Cristiano De André è un ottimo cantautore, ma vivrà tutta la vita con il problema di suo padre. Il figlio di Sting è un bel ragazzo biondo, ha un trio e suona il basso, lei capisce ... ».
E Pico la sente la croce?
«E’ un rasta, con i valori rasta, quindi un distacco dalle cose persino un po’ eccessivo. Non essendo ambizioso. la croce la sente poco. Credo che un po’ mi ammiri anche se non me lo dice».
A proposito di padri, il suo che cosa faceva?
«Era dirigente in un’azienda, ma a 42 anni smise di lavorare. Stava a casa. leggeva, ascoltava musica. Era un tipo particolare, con una grande intelligenza del tutto inutile. t morto nel 1983. Mia madre, invece, quattro anni fa».
Era lei che portava a casa i soldi?
«Sì, era insegnante di musica. La mia è stata un’infanzia un po’ particolare: sono cresciuto circondato da quattro zie, tutte senza figli. Il mio primo ricordo da piccolo sono io sul vasino che grido: "Finito"’, e le zie che si precipitano e si contendono il privilegio di pulirmi».
Per citare Povia e le polemiche sulla sua canzone Luca era gay, in gara a Sanremo, si può dire che ha «rischiato» di diventare omosessuale.
«In realtà, l’effetto è stato che fìno all’adolescenza ho pensato che le donne fossero entità mandate da Dio per rendere felici gli uomini. Poi, da ragazzo, ho vissuto periodi in cui mi sembrava che, al contrario, fossero lì solo per farmi incazzare. Ci ho messo un bel pò a capire che entrambe le cose erano false».
Sa com’è, «siamo così, dolcemente complicate»... Lo ha scritto lei in Quello che le donne non dicono. Bello, come le è venuto?
«Il cuore, il talento, un po’ il culo».
Ribalto il titolo della canzone. Che cos’è che gli uomini non dicono?
«Ci diciamo tutto sulle performance con l’amante, ma non racconteremmo mai agli amici come abbiamo fatto sesso con la fidanzata o la moglie. Sono convinto che le donne, invece, se lo raccontino, eccome».