Pierluigi Panza, Corriere della Sera 11/02/2009, 11 febbraio 2009
In un anno di «art austerity» come il 2009 le istituzioni pubbliche possono permettersi di finanziare iniziative nell’arte contemporanea? Robert Hughes, il più celebre critico d’arte del mondo, ha dichiarato al Corriere che «la storia di "spazi nuovi" per l’arte contemporanea è diventata un ricatto» e che «ciò di cui l’Italia ha bisogno non sono nuovi luoghi per guardare ciò che è nuovo, e che offrono solo sovvenzioni ai mercanti d’arte, ma sostegno per le istituzioni che mostrano arte di valore e di interesse storico»
In un anno di «art austerity» come il 2009 le istituzioni pubbliche possono permettersi di finanziare iniziative nell’arte contemporanea? Robert Hughes, il più celebre critico d’arte del mondo, ha dichiarato al Corriere che «la storia di "spazi nuovi" per l’arte contemporanea è diventata un ricatto» e che «ciò di cui l’Italia ha bisogno non sono nuovi luoghi per guardare ciò che è nuovo, e che offrono solo sovvenzioni ai mercanti d’arte, ma sostegno per le istituzioni che mostrano arte di valore e di interesse storico». una posizione politicamente non da tutti condivisa. Basti pensare che Bill Ivey, ex presidente della Nea (National Educational Association), e ora consigliere di Barack Obama, ha dichiarato che i fondi pubblici dovrebbero andare «là dove si fanno veramente politiche artistiche e aprirsi senza timore alla televisione e a Internet». E basti pensare che il presidente Nicolas Sarkozy ha plaudito a due aspetti controversi della recente politica artistica francese: la coesistenza antico-nuovo come forma di «meticciato artistico» sperimentata da Jeff Koons dentro Versailles e lo sbarco del Louvre ad Abu Dhabi. I musei italiani di arte contemporanea iscritti all’Amaci (Associazione musei d’arte contemporanea italiani) sono 26, ai quali si aggiungono molte fondazioni private, come la Re Rebaudengo a Torino (costretta oggi a non inaugurare la mostra di Adel Abdessemed per i consueti scandali connessi all’«arte contemporanea») e Pomodoro a Milano. Questi musei raggiungono circa un milione di visitatori all’anno, contro i 34 milioni dei musei e aree archeologiche italiane (il più visitato è l’area del Colosseo con 3.414.373). In sostanza, i visitatori che affluiscono a tutti i musei di contemporanea insieme sono un terzo di quelli che visitano il Colosseo. Le entrate da biglietti di questi 26 musei si avvicinano, nei migliori casi, al 22% degli introiti complessivi. Il resto dei fondi li mettono i privati (pochi) e le istituzioni, quasi sempre Regioni o Comuni dei quali i musei sono espressione. Lo Stato finanzia la Gnam (Galleria d’arte moderna) e il Maxxi di Roma e Castel Sant’Elmo di Napoli. I maggiori musei, come la Gnam (diretta da Maria V. Marini Clarelli), hanno un budget sino a 5 milioni all’anno per acquistare nuove opere; il Castello di Rivoli (diretto da Ida Gianelli) fino a 2 milioni mentre il Mart di Rovereto (diretto da Gabriella Belli) molto meno, circa 200mila euro, preferendo puntare sulla formazione. Sono dati che fanno propendere per la tesi di Hughes, che ovviamente trova consenso in chi sostiene musei di tradizione, come Aldo Bassetti, presidente Amici di Brera. «Le istituzioni pubbliche italiane dovrebbero finanziare musei con opere storicizzate, tanto che noi aspettiamo da decenni di ampliare Brera – ricorda Bassetti ”; i privati potrebbero sostenere anche il contemporaneo, aspetto che oggi, salvo eccezioni, stanno facendo in maniera poco culturale e molto speculativa». Ma la tesi di Hughes trova consenso anche in chi, come Daverio, guarda con sospetto le «manovre» sull’arte contemporanea di galleristi e museografi. «Che valore hanno i giudizi sulla fine della bolla speculativa dati da quelli che fino a ieri hanno applaudito al sistema truffaldino?». Daverio non fa i nomi, ma penserebbe a curatori come Gioni, Bonami e altri. «Sembra gente che ha qualche nuovo artista da tirar fuori dal magazzino. Sono d’accordo, invece, con Hughes: i musei contemporanei italiani sono templi custoditi da badesse dedite all’esterofilia: possibile che il contemporaneo sia solo americano? Come vengono utilizzati i fondi delle Fondazioni bancarie? Per acquistare quali opere?». Ma anche Gabriella Belli, direttrice del Mart e dell’Amaci, dà ragione a Hughes al 90%. «Credo – afferma – che le istituzioni pubbliche debbano concentrare gli investimenti sul permanente, non su mostre estemporanee o acquisti. Ma quando dico permanente penso anche sui musei di arte contemporanea che svolgono delle funzioni pedagogiche». Ma in definitiva, con 26 musei contemporanei sostenuti dalla mano pubblica più le fondazioni private, servono nuovi spazi per il contemporaneo in anni di «art austerity»? «Contingentare è improprio – conclude la Belli ”. Se il museo viene davvero da una forte spinta del territorio io lo realizzerei. Credo che a Milano, ad esempio, si possa fare. Ma, in generale, siamo in linea con l’Europa».