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 2009  febbraio 11 Mercoledì calendario

I ragazzi non sanno più scrivere. Nell’età degli sms, delle mail, dei facebook, dei blog e dei myspace, tenere una penna in mano - nel senso letterale - è un’attività desueta, abbandonata, forse ritenuta perfino superflua

I ragazzi non sanno più scrivere. Nell’età degli sms, delle mail, dei facebook, dei blog e dei myspace, tenere una penna in mano - nel senso letterale - è un’attività desueta, abbandonata, forse ritenuta perfino superflua. Che - tuttavia - in nessun modo può essere sostituita dall’apporto di una tastiera elettronica, in quanto lo scrivere è strettamente connesso al leggere e al pensare, quindi al crescere, al diventare grandi. Tutto questo, comunque, si perde, tende a defluire come un ricordo sbiadito. Tecnicamente il fenomeno si chiama «disgrafia», è stato sempre presente tra i giovani ma, negli ultimi vent’anni, è cresciuto esponenzialmente. Peraltro, quando i ragazzi scrivono (perché comunque nelle scuole lo si fa ancora) la loro grafia rivela tutti i disagi del loro vivere in una società competitiva: ansia, inadeguatezza, desiderio di fuga, ricerca di protezione ma anche solo di un sistema di regole certe e affidabili. Siamo di fronte ad una generazione di cuccioli spaventati che affidano all’arcano della loro grafia tutto il proprio malessere. Lo dicono i grafologi italiani che il mese prossimo terranno a Firenze il loro congresso dedicato, per l’appunto, ai giovani e alla loro scrittura. La grafologia è uno strumento complesso di diagnosi, che si affida ad una lettura trasversale di più fenomeni, e comunque alcuni segni, riscontrati nella scrittura dei ragazzi, sono sintomatici e possono essere individuati come esemplari dei nuovi teenagers italiani. Per esempio la tendenza a scrivere in «stampatello», cioè con quella che Anna Castelli, presidente dell’Associazione italiana di grafologia, definisce «grafia maschera»: «E’ la scrittura della solitudine - spiega - quella cioè omologata e anonima, dietro cui ci si nasconde. E’ quindi uno schermo, un nascondiglio che rivela, però, una difficoltà nei processi di identificazione e socializzazione. E il fenomeno è dilagante tra i ragazzi». I grafologi dividono la parola scritta in tre fasce orizzontali: quella centrale è la sfera del sé nel presente, quella bassa degli affetti, degli istinti, quella alta è la sfera degli ideali, degli slanci, dei sogni, delle aspirazioni. Ora - dicono - la scrittura dei giovani è sempre di più una scrittura «media», concentrata cioè solo sulla fascia centrale. Le aste allungate diventano rare. «E’ la grafia - commenta Castelli - di chi non si aspetta molto dalla vita, non si fa illusioni e non elabora progetti. Vive alla giornata e si concentra sul sé e sul gruppo dei pari, con una difficoltà relazionale forte, ma anche con un narcisismo esasperato». In sintesi: è la scrittura dei precari, di chi si fidanza «a progetto», fa scelte «a termine», vive in regime di co.co.co. Con il passare degli anni, tutti noi abbiamo imparato a scrivere N e M con le curve in basso, come se fossero delle U corsive, per intenderci. Questo passaggio per molti ragazzi non si verifica più «osserviamo - dice Castelli - un protrarsi delle M e delle N ad arco, che indicano scarsa evoluzione, rallentamento, ma anche, simbolicamente, (l’arco, appunto) un bisogno di riparo, di protezione». La stessa istanza postulata dagli «arrotolamenti», cioè dalla profusione di lettere tutte tondeggianti e arroccate in un unico groviglio, le une addossate alle altre, quasi per timore, incerte nel procedere secondo un fenomeno che i grafologi chiamano «addossamenti». «E’ il desiderio di essere protetti dalla medietà, dall’appartenenza a un gruppo». Ragazzi spaventati, dunque, anche per mancanza di riferimenti solidi: «La famiglia - dice Castelli - è molto più ”affettiva” che non ”normativa”, ama, dunque, ma è meno capace di fornire codici di riferimento per vivere». Il che traspare palesemente dall’incapacità di «mantenere il rigo»: si inizia a scrivere, ma poi si va storto, si sbanda in su o in giù, perché così è la vita. E la scrittura rivela il dramma. Raffaello Masci