Massimo Di Forti, Il Messaggero, 6/2/2009, 6 febbraio 2009
VEZZOLI. IL PROFUMO DEI MEDIA - GREED
un profumo che non esiste. Dieci mitiche artiste del XX secolo (Niki de Saint-Phalle, Frida Kahlo, Georgia O’Keeffe, Meret Oppenheim, Louise Nevelson, Tamara de Lempicka, Tina Modotti, Lee Miller, Eva Hesse, Sonia Delaunay) raffigurate in una serie di ritratti ricamati su un fondo di broccato e scelte come testimonial per pubblicizzarlo. Una bottiglia di cristallo che dovrebbe contenerlo, ispirata a quella creata da Marcel Duchamp nel ”21. Uno spot diretto dal grande Roman Polanski, in cui Natalie Portman e Michelle Williams se lo contendono.
Francesco Vezzoli presenta da oggi alla Galleria Gagosian la sua nuova mostra (in via Crispi, fino al 21 marzo, orari: martedì-sabato dalle 10.30 alle 19.00; domani ne parlerà a mezzogiorno con la critica d’arte Cristiana Perrella al Palazzo delle Esposizioni) con una certezza preventiva: farà discutere accanitamente pubblico e critica.
Divenuto a soli 38 anni una star del contemporaneo, Vezzoli è un artista destinato a ”dividere”. Geniale erede di Andy Warhol o sopravvalutato esponente di un mondo fondato sul bluff? Lucido interprete della società dello spettacolo o incorreggibile narcisista? Egli stesso ha detto del suo lavoro: «E’ possibile considerarlo come superficie assoluta o come profondità assoluta».
Insomma chi è davvero questo protagonista del contemporaneo che, partito da una serie di performance basate sulla romantica arte del ricamo, è approdato all’uso spregiudicato dei new media? Un rassicurante Dottor Jekyll made in Italy o un inquietante Signor Vezzoli del Terzo Millennio?
Dopo avere affrontato alla Biennale di Venezia con ”Democrazy” il tema della post-politica, si può dire che in questa mostra abbia dedicato la sua attenzione all’equivalenza tra arte e entertainment?
«E’ un tema sul quale lavoro da molto tempo. Ho studiato come si è evoluto il mondo dell’arte mutuando spesso le tecniche e le logiche dell’entertainment. Mi approprio delle tecniche e dei format dello spettacolo e poi li uso per ricreare un gioco di specchi dove l’oggetto vero e proprio sparisce e quanto meno non diventa reale come nella vera strategia pubblicitaria. Nel caso di Greed, una bottiglia vuota, un profumo che si è evaporato: il problema è riflettere sulla realtà mediatica, sulla sua evanescenza e volatilità».
A suo giudizio, conta di più la pubblicità o la moda sulla ribalta della seduzione di massa?
«Sono due cose molto diverse. La moda, per me, è un linguaggio che ha una dignità creativa pari a quella dell’arte, del cinema, della letteratura. La pubblicità è più trasversale. Coinvolge moda, cinema, e arte. Non la ritengo una disciplina creativa ma un veicolo di altre discipline creative. Ed è questo il tipo di sovrapposizione che mi interessa. Le stesse strutture di creazione pubblicitaria si offrono per veicolare idee di discipline molto separate. I linguaggi e le professioni non sono più distinti».
Ritornando al concetto di post-politica, in cui politica e universo mediatico si intrecciano, come giudica la figura di Berlusconi?
«Mi pare che sia davvero emblematica. Quando Berlusconi portava all’interno della sua squadra personaggi come Mike Bongiorno che avevano una fortissima credibilità per il pubblico, magari inconsciamente stava costruendo le basi per la sua futura credibilità politica... La sua mossa più fortunata oggi è Beckham. Un’icona planetaria come lui che dice ”voglio restare al Milan e non andare a Los Angeles” è uno spot che non ha pari».
Quello che sta avvenendo nella società contemporanea confermerebbe, insomma, l’analisi di Jean Baudrillard a proposito dell’idea di seduzione come motore della società contemporanea?
«Direi di sì. Il potere della seduzione è oggi trasversale e dilagante. Fino a qualche anno fa, l’arte era intesa come resistenza, come sofisticatissima disciplina intellettuale che rendeva una persona diversa. Adesso seguire il mondo dell’arte non è più un distinguersi ma un desiderio di appartenenza a un rito che è diventato collettivo».
La sua ricerca si ricollega a due leggende dell’arte del ”900, Andy Warhol e Salvador Dalì: che importanza hanno avuto per lei?
«Sono stati i due grandi maestri. Con una differenza: l’America ha un rapporto molto più risolto con un artista che si propone come un marchio. In questo Dalì ha precorso tutti. Persino Andy».
Ma Francesco Vezzoli è un seduttore?
«Eh, per forza... Ma solo sul lavoro».