Paolo Griseri, la Repubblica, 10/2/2009, 10 febbraio 2009
IL TESSILE TRAVOLTO DALLA CRISI IN BILICO OTTANTA FABBRICHE
Scende dalla passerella Ferré ma all´orizzonte dell´industria della moda si temono altri clamorosi tonfi. Chi segue il settore era stato facile profeta: l´andamento delle sfilate di Milano e Firenze aveva fatto capire che le vacche magre erano in arrivo. Il settore tessile (che comprende abbigliamento, cuoio e calzature) occupa in Italia 780 mila persone. Di queste, 30 mila sono state coinvolte dalla cassa integrazione negli ultimi due mesi del 2008: «Per la primavera - dice Valeria Fedeli della Cgil - temiamo il peggio». una previsione basata su dati di fatto: al 31 gennaio le aziende in crisi del settore erano 80 con quasi 7 mila lavoratori coinvolti. Rischiano la chiusura tessiture e filature, il lontano retrobottega di ogni maison. Due i punti caldi della crisi: a Biella, nella zona delle principali filature laniere, e a Como, capitale dell´industria della seta.
in stato di crisi, ad esempio, la Zegna Baruffa di Borgosesia, la più grande filatura laniera d´Europa con i suoi 700 dipendenti. Nella stessa situazione si trova un´altra grande azienda del biellese, la «Filatura e tessitura di Tollegno», 600 dipendenti. Anche la Filatura di Grignasco, l´azienda dell´ex ministro Giancarlo Lombardi, ha chiesto la cassa straordinaria per i suoi 300 dipendenti. Le aziende che dichiarano lo stato di crisi rappresentano la punta dell´iceberg: la cassa integrazione ordinaria, quella che si utilizza non per la ristrutturazione ma per far fronte a cali nella domanda, è triplicata negli ultimi due mesi e coinvolge decine di migliaia di dipendenti. Gianfranco Stoppa, sindacalista di Biella, spiega che «la cassa ordinaria sta colpendo aziende di tessitura che non erano mai state toccate da problemi nell´ultimo periodo. il caso della Ermenegildo Zegna e della Cerutti». «Il problema - aggiunge Fedeli - è di prospettiva. Perché se chiude una griffe sparisce un marchio ma se chiudono le grandi tessiture che forniscono le griffe e i grandi sarti internazionali, sparisce una parte importante della filiera del made in Italy». Per questo, fin dal 15 dicembre scorso, sindacati e industriali del settore avevano scritto a Berlusconi e ai ministri competenti una lettera congiunta per chiedere incentivi. A rischiare, spiega Francesco Di Salvo, sindacalista a Como, «sono soprattutto le piccole e medie aziende strozzate dai debiti». Nel distretto della seta lo stato di crisi ha già toccato anche realtà medio-grandi come la tessitura Ratti e la Mantero Seta, due aziende da 600 dipendenti.
Gran parte delle 80 aziende tessili in stato di crisi produce per le principali griffes europee: quali marchi sono destinati a scendere dalla passerella? Nessuno osa sbilanciarsi ufficialmente: «Purtroppo - dice Fedeli - basterà aspettare qualche settimana per rispondere».