Mario Baudino, La Stampa, 10/2/2009, 10 febbraio 2009
OPERAZIONE NAUTILUS
Sembra la replica di C’è post@ per te, un piccolo film molto caro ai bibliofili: Tom Hanks, giovane erede di una grande catena libraria, costringe al fallimento la libraia indipendente Meg Ryan. Ma i due, senza conoscere la vera identità l’uno dell’altro, si sono già innamorati, via Internet: ragion per cui alla fine si sposano, e il pesce piccolo, anzinché morire, diventa un pregiatissimo settore autonomo nella mega-libreria. Qualcosa di simile, amori a parte, è accaduto a Mantova, la città del Festivaletteratura, la capitale - magari assieme a Torino - del «popolo dei lettori». Luca Nicolini, ideatore e anima del Festival, ha venduto la sua storica «Nautilus»: alla Coop, che sta investendo in super-negozi nuovi di zecca. una sconfitta? La caduta di un simbolo? Le catene sono viste, non da ieri e non solo in Italia, come la più grave minaccia per i librai «indipendenti». Proprio come nel film di Nora Ephron rappresentano lo spauracchio numero uno, e in genere, nell’incontro-scontro con la loro potenza economica non è previsto lieto fine.
Questa volta Nicolini è sicuro di sì. La vendita, spiega, «potrebbe rappresentare un nuovo modello». La Nautilus, infatti, non muore: passa di proprietà ma conserva il suo nome storico, accanto a quello della Coop. Da proprietari Luca Nicolini e la moglie Carla diventano direttori, per continuare nella loro idea di puntare sul rapporto amichevole e ravvicinato coi lettori, sul catalogo, sulla qualità, sulla varietà, tutte le cose che le grandi organizzazioni di vendita sono accusate di trascurare a vantaggio del business, dell’acquisto d’impulso, dei best seller e degli sconti. Mantova, per quanto riguarda il suo Festival, è un modello. Lo sarà anche l’operazione Nautilus? O magari siamo semplicemente al belletto su una battaglia persa, e proprio nella città esemplare, nel paradiso dei lettori «forti»? « innegabile che la libreria indipendente fatichi sempre più - risponde Nicolini -. Soprattutto in un mercato privo di regole dove i grandi gruppi fanno promozioni e sconti insostenibili. Dall’altro lato un progetto come questo ci pareva buono, per garantire alla città catalogo e assortimento».
Paradosso nel paradosso, al seguito del grande successo del Festival si sono insediate infatti a Mantova tutte le grandi catene italiane, restringendo lo spazio dei librai tradizionali. Ora è il turno delle Coop. «Ma è la prima volta che anziché aprire un nuovo negozio fanno un’acquisizione. L’esperimento potrebbe non finire qui», commenta Nicolini. E lo conferma cautamente anche Domenico Pellicanò, presidente della Coop-librerie. «Abbiamo ricevuto qualche proposta». Il che, per il fronte sempre più assediato degli «indipendenti», può essere una buona o una pessima notizia. Ormai sono sulla linea del Piave: grosso modo le grandi catene rappresentano la metà del mercato (escludendo naturalmente Internet, e tutte le altre forme di distribuzione, dagli autogrill ai supermarket) e sembrano destinate a crescere ancora. La Coop non solo ha davanti a sé vaste praterie, ma senza farsi troppo notare si è rapidamente imposta come il concorrente più aggressivo. Sotto la regia di una vecchia volpe come Romano Montroni, l’uomo che ha creato le Librerie Feltrinelli, ha aperto già 15 punti vendita nei suoi centri commerciali, e lanciato una strategia sui centri storici.
C’è una sua libreria a Torino, in piazza Castello, e una molto innovativa, a Bologna: dove nell’area dell’ex mercato Ambasciatori, ristrutturata con un forte investimento, trionfa l’accoppiata libri-cibo. Ci sono infatti, sia in vendita sia pronte per essere servite sul posto, le leccornie di Eataly, il fenomeno più importante e di successo nel campo dei prodotti di qualità. Oltre alla «Nautilus», spiega Pellicanò, sono previste quest’anno almeno due altre aperture (a Genova-Sestri e nel centro commerciale di Borgo Panigale). «Vogliamo crescere in maniera esponenziale», aggiunge. E i «piccoli» già lo sanno. «Diciamola tutta: la Coop è un pericolo anche maggiore della Feltrinelli - risponde senza esitazioni Alberto Galla, erede di una dinastia plurisecolare di librai vicentini, ora vicepresidente dell’Ali, l’associazione degli indipendenti -, perché propone solo libri. In accoppiata col cibo, che secondo i guru del marketing è proprio il massimo». Galla, che sta nel comitato promotore della Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, ha scritto, con Giovanni Peresson, Aprire una libreria (edizioni Bibliografica), un manuale di cui è molto fiero e che rappresenta al proposito il testo di riferimento.
«Il nostro mestiere - spiega - non ci ha mai procurato grandi risorse finanziarie, e quindi la possibilità di grossi investimenti. Ci resta l’orgoglio di affermare il nostro lavoro, la nostra passione, il fatto che i lettori si sentano ”a casa”. Le catene hanno la leva della finanza, che è una leva potentissima». Partita persa, allora? «Non è detto. L’irruzione della Coop, con la sua potenza finanziaria, è una gran brutta notizia. Ma la guerra è anche fra loro, fra i giganti. Noi non siamo del tutto disarmati: per esempio siamo più flessibili. E abbiamo un legame diverso con la clientela e col territorio». Pellicanò è ovviamente d’opposto parere: «Altro che minaccia. Credo che potremmo essere la migliore possibilità, visto che il mercato si trasforma velocemente e le librerie indipendenti, nei centri storici, sono sempre più spesso costrette a lasciare il posto alle boutique d’abbigliamento. Noi possiamo valorizzare proprio quell’attività, come a Mantova».
E non dite che siamo una catena dura e senz’anima, insorge Montroni: «Il nostro presupposto è l’individualità del libraio. Non siamo Fnac, Mondadori o Feltrinelli, ma una cosa nuova. Il nostro libraio è ”tradizionale”, prenota autonomamente, espone quel che vuole. La libreria Ambasciatori ha 830 sigle editoriali nel suo assortimento. Rappresentiamo una catena diversa da tutte le altre, formiamo i nostri dipendenti, li rendiamo autonomi. Fino al 2002, del resto, la Feltrinelli era così. Ora ci siamo noi a tentare questa sfida». Deciderà il pubblico dei lettori, come sempre. Chi conserva tutti i suoi dubbi è Galla. «Non posso certo biasimare Nicolini. In fondo conserva il suo marchio. Se però l’accordo di Mantova sia davvero un modello applicabile altrove, e sia soprattutto utile, non saprei. Speriamo. Ho i miei dubbi».