Sergio Romano, Corriere della sera 10/2/2009, 10 febbraio 2009
QUANDO LE FORZE ARMATE NON FANNO IL LORO MESTIERE
Di recente lei ha dato spazio all’orgogliosa protesta di un nostro ufficiale per la battuta di Berlusconi sul nostro impegno militare in Afghanistan e alla critica di Arturo Parisi, già ministro della Difesa, verso la tendenza a impiegare i soldati in ruoli non loro.
Sono aspetti dello stesso problema, cioè una politica militare vissuta, sin dalla unità nazionale, in sudditanza di altre politiche, negandosi il diritto d’esistere. Quel vuoto culturale e politico ha indotto le forze armate a inventarsi ruolo e immagine nel tentativo di coniugare le proprie esigenze con i propositi instabili della politica che ne usa e abusa senza curarsi dei danni che provoca. Obbedienti, silenti e pazienti in un Paese dal dissenso facile verso lo Stato, assecondano la vague populista assolvendo bizzarre incombenze, dallo scarico dell’immondizia allo spalare la neve, dal presidio di stabili allo sgombero di campi rom e così via, relegando in sottordine gravosi e rischiosi compiti istituzionali. Convengo con lei che così facendo la «smilitarizzazione delle forze armate sia un rischio reale» e non è rischio da poco se, per Tocqueville «nulla è più dannoso d’un esercito che, avendo persa la propria "militarità" sia indotto a seguire altre vie per contare, rinunciando a virtù da soldati e così dissociandosi dai cittadini». Se, infatti, nell’immediato può piacere il soldato che si rende utile al prossimo, è poi inevitabile che i cittadini si chiedano che senso abbia addestrare e armare soldati a operare oltremare per poi impiegarli in mansioni non loro. Negli ultimi anni, per chiarirsi le idee sul ruolo e tipo dei militari a fronte dei mutati scenari, alcuni Paesi alleati hanno avviato un dibattito che ha coinvolto politica, intellighenzia, media. L’Italia è rispetto a loro in drammatica controtendenza. Un Libro Bianco sulla difesa non basta: occorre, oltre a un impegno politico vigoroso e assiduo della Difesa, anche una iniziativa politica bipartisan, il tutto sotto l’occhio attento dei media.
Solo così si può sperare di colmare un vuoto culturale e politico che non ha giovato all’Italia e ai suoi soldati.
Luigi Caligaris
Credo che lei abbia ragione quando indica i motivi per cui le forze armate, in questi ultimi anni, hanno pazientemente accettato di svolgere compiti a cui non erano destinate e addestrate. Lo hanno fatto per riconquistare il consenso perduto in un Paese dove la sconfitta della Seconda guerra mondiale, il pacifismo di maniera e la sinistra anti-istituzionale avevano fortemente logorato la loro immagine. Ricorda l’operazione «Vespri Siciliani», decisa nel luglio 1992 dopo l’assassinio del procuratore Borsellino? A me sembrò assurdo che il governo sperasse di contrastare il fenomeno mafioso con soldati di leva (non avevamo ancora soppresso la coscrizione obbligatoria) che avrebbero potuto, tutt’al più, montare la guardia di fronte a un edificio pubblico o fare servizio di ronda nelle strade dell’isola: due attività che non hanno mai impedito alla mafia di colpire i suoi obiettivi e manifestare la propria forza. Ma occorre riconoscere che quell’inutile spiegamento di forze piacque ai siciliani ed ebbe qualche positivo effetto psicologico. I vertici militari se ne accorsero e da quel momento iscrissero l’operazione «Vespri Siciliani» nel loro Album d’onore.
Fu un errore che autorizzò i governi negli anni seguenti a prospettare l’uso delle forze armate in circostanze analoghe. poco utile, ma può liberare le forze dell’ordine da qualche noiosa incombenza e piace, comunque, alla pubblica opinione: due considerazioni che sono, per molti uomini politici, irresistibili. Oggi, in particolare, il governo ricorre alle forze armate perché ha fatto promesse, in materia di sicurezza, che non riesce a mantenere e la Lega, con le sue intemperanze, detta l’agenda del Consiglio dei ministri. Non temo la militarizzazione dell’Italia. Temo un Paese militarizzato per burla, falsamente protetto da soldati in tenuta di guerra e ronde padane. L’aspetto più paradossale della vicenda è che la forze armate, nel frattempo, hanno riconquistato dignità e rispetto in un modo molto più compatibile con le loro funzioni. Hanno imparato il mestiere del peace-keeping (il mantenimento della pace), hanno conquistato la simpatia dei Paesi in cui hanno operato, e sarebbero altrettanto brave se fossero autorizzate a combattere. Non è tutto. Questo è accaduto in un momento in cui l’invio di truppe all’estero è una delle poche carte che la diplomazia italiana può usare per conservare al suo Paese il ruolo di potenza regionale.
Sul modo in cui affrontare nella politica italiana il problema delle funzioni delle forze armate, non ho partiti presi. Ma osservo che nella tradizione delle grandi democrazie il Libro Bianco costringe il ministro a mettere ordine nelle proprie idee, a dichiarare le proprie intenzioni, insomma a uscire dalla vaghezza e dall’ambiguità che sembrano essere le doti preferite degli uomini politici in questa materia.