Claudio Antonelli, Libero, 7/2/2009, 7 febbraio 2009
ACCORDO IN AZIENDA PER NON LICENZIARE: META’ PAGA A TUTTI - A
due passi dal centro di Como, nella valle dove è nata la tradizione tessile lombarda, c’è una vecchia fornace restaurata a fianco del torrente Cosia. Dal 2002 ospita la sede della Tes (Tessuti Edoardo Scaccabarozzi) una piccola azienda, ma non minuscola. fattura infatti quasi sette milioni di euro e ha a libro paga 21 dipendenti a tempo indeterminato e due a termine. Il business è nelle cravatte e nei tessuti di alta moda. Il top del Made in Italy, insomma. Nonostante il target sia elevato, il calo di ordinativi e soprattutto le dilazioni nei pagamenti imposte dai grandi atelier costringono il titolare a cercare aiuti in vista del peggio. A rivedere le spese e i costi.
Scaccabarozzi si informa dal consulente del lavoro in cerca di ammortizzatori sociali. Ma i suoi dipendenti sono assunti con il contratto del commercio e la legge non prevede per loro aiuti di Stato. A meno che l’azienda licenzi sette dipendenti.
La consulenza
Sembra un paradosso all’italiana. E lo è infatti. Ma solo alle imprese con meno di 14 dipendenti è dato usufruire della cassa integrazione in deroga. Così il consulente taglia corto e consiglia di lasciare a casa i dipendenti necessari per arrivare alla soglia minima. «Ho lavorato per oltre venti anni nel settore, occupandomi di budget e business plan per una grande azienda comasca», commenta Scaccabarozzi, «sette anni fa mi sono messo in proprio e ora per la prima volta nella mia carriera non sono in grado di fare previsioni. Di capire per quanto durerà la crisi e quando inizierà la ripresa». Così il manager lunedì scorso ha convocato tutti i dipendenti per discutere.
Invece di licenziare, alcuni addetti, con il buon senso che manca ai vertici del nostro Paese, hanno suggerito che sarebbe meglio tagliare gli stipendi. I rimanenti hanno accettato di sottoscrivere l’accordo con qualche ritrosia e con molto saggezza. Risultato: chi lavora nel magazzino e alla verifica del campionario per i mesi di febbraio e marzo avrà il 50% dei compensi, lavorando ovviamente per metà del tempo e autogestendosi i turni. Chi lavora nella disegnatura e chi si occupa della creazione dei modelli ha accettato un taglio del 20% e la riduzione conseguente della mole di lavoro. In poche parole la Tes più o meno in un’ora, il tempo dell’assemblea, ha superato i problemi che sindacati, industriali e politica da mesi lascia irrisolti: dalla legge sulla settimana corta, alla gestione degli ammortizzatori sociali.
«In questo modo», continua Scaccabarozzi, «non devo licenziare nessuno. Posso continuare ad avvalermi della collaborazione di personale molto qualificato che crede in me e nella nostra azienda e che mi ha indicato la via giusta per uscire dalla crisi: stringere la cinghia ed essere positivi».
In realtà la scelta portata, avanti assieme ai dipendenti, non mette l’azienda totalmente al riparto da un eventuale indurirsi della crisi. E le stime per i prossimi mesi sono di una diminuzione del giro d’affari tra il 30 e il 40%. «Nel bilancio della Tes non ci sono oneri passivi né debiti con le banche», spiega ancora l’amministratore, «al massimo due mesi all’anno chiediamo anticipi fatture. Il problema è che praticamente tutti i nostri clienti (tra cui ci sono Armani, Bulgari, ndr) hanno spedito una mail per segnalare che i pagamenti saranno posticipati di altri 30 giorni. Senza diritto di replica». Come dire che una volta ricevute le cravatte dalla Tes, come ormai accade a tutto il settore tessile, i clienti pagano la merce anche a 150 o 180 giorni. E spesso nemmeno a fine mese, ma al giorno dieci del successivo. «Le grandi marche ci chiedono da fare da banca», spiega un collaboratore della Tes, «ma con i margini di utile sempre più ridotti non è più possibile e temiamo che il giorno in cui dovessimo accedere al credito bancario avremo sorprese pessime». Nel frattempo ci sarà la scadenza di marzo per il pagamento degli studi di settore, gli sciagurati indici fiscali inventati dall’allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco che stabiliscono in base a parametri statistici il carico d’imposta senza tenere conto del reale fatturato. E anche la Tes avrà difficoltà ad essere congrua col rischio di pagare ”multe” o accettare di versare più tasse del dovuto.
Senza nel frattempo poter sperare che il governo risolva la questione, dibattuta da anni, di nuovi sgravi sugli investimenti in ricerca e sviluppo. «Ogni anno il 10 % del fatturato», commenta Scaccabarozzi, «cioè circa 700 mila euro se ne va in ricerche di nuovi tessuti, colori o tagli. Cosa sacrosanta se si vuole sempre essere al top, ma assurda se il costo aggiuntivo viene tutto scaricato sui converter (le aziende che stanno a metà della filiera produttiva come la tes, ndr) come noi e non sugli utili dei grandi marchi».
Niente sgravi
E cosa ancora più assurda in Italia non è possibile dedurre dall’imponibile i soldi spesi per la ricerca e sviluppo. Se non in minima parte. «Noi continuiamo a rimboccarci le maniche», conclude il titolare, «e i nostri dipendenti sono chiamati sempre a fare sacrifici, mentre le grandi aziende del settore meccanico e automobilistico ricevono sussidi per rilanciare i consumi del Paese. Senza però dover mai dimostrare di essere all’altezza e nemmeno di aver ai vertici manager qualificati».
Morale della storia: a Como la crisi si affronta con la condivisione delle fatiche e un messaggio in più per i grandi manager. Dalla Tes un’avvertenza a tutti gli amministratori e a tutti i direttori. Scaccabarozzi, proprio perchè è il proprietario, è stato il primo a tagliarsi lo stipendio. Se lo è dimezzato per dare il buon esempio.