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 2009  febbraio 09 Lunedì calendario

MILANO, L’EXPO SULL’ORLO DEL FLOP

«Sono orgogliosa di essere italiana. La vittoria di Milano nella partita per l’Expo ha una spiegazione semplice: siamo stati uniti come sistema paese, abbiamo fatto gioco di squadra». Trentun marzo 2008. Letizia Moratti, raggiante, festeggiava così a Parigi la conquista dell’Esposizione Universale 2015. Un abbraccio a Romano Prodi (allora premier), i complimenti al telefono del presidente Giorgio Napolitano, un bacio furtivo al marito Gianmarco dietro una selva di telecamere. Oggi, dieci mesi dopo, sembra passata un’era geologica. Silvio Berlusconi ha sostituito Prodi.
C’è una crisi finanziaria che sta ridisegnando il mondo. E l’Expo tricolore, quella gioiosa macchina da guerra «destinata a creare 70mila posti di lavoro e a portare 29 milioni di visitatori in Italia», come si ostina a ricordare il caparbio sindaco meneghino, è fermo al punto di partenza.
Il gioco di squadra è un ricordo del passato. Volano gli stracci. Il centrodestra locale è bloccato dai veti incrociati sul primo risiko di nomine nella cabina di regia che farà piovere sulla Lombardia (in teoria) 11 miliardi di investimenti.
Si litiga – Comune da una parte, Regione e Provincia dall’altra – sulle deleghe per Paolo Glisenti, l’uomo forte cui Letizia Moratti vorrebbe affidare poteri assoluti nella gestione.
La Lega a caccia di visibilità (leggi poltrone) fa la fronda. E malgrado a Palazzo Chigi ci sia un premier di Arcore e una maggioranza decisamente più omogenea rispetto a quella del governo Prodi, anche con Roma le cose non vanno troppo bene, con Giulio Tremonti, da sempre catalogato nel fronte degli Exposcettici, che centellina i fondi con sospetta parsimonia.
Uno stallo da incubo che rende ogni giorno più concreto lo spettro che popola gli incubi di Moratti & C.: il commissariamento da parte del governo dell’evento (così, dicono i maligni, si potrebbero fare le gare d’appalto in deroga alle norme sulla trasparenza). O persino una tragica rinuncia alla sua organizzazione. Una figuraccia mondiale per un Nord già scottato dal caso Malpensa e che sull’esposizione universale ha messo in campo le sue presunte eccellenze imprenditoriali e politiche.
I protagonisti della partita, naturalmente, gettano acqua sul fuoco. «C’è un feeling positivo», ripete Diana Bracco, presidente di Assolombarda e della Expo 2015 Spa la società (40% Tesoro, 20% Regione e Comune, 10% Provincia e Camera di Commercio) destinata a diventare la stanza dei bottoni dell’esposizione ma ancora priva di capitali e vertici. «Stiamo lavorando per creare maggiore fluidità tra i soci – garantisce il governatore Roberto Formigoni – Vedrete che anche il governo farà la sua parte».
Ma i giorni passano e le nubi sul futuro della manifestazione sono sempre più nere.
La tabella di marcia prevedeva per giugno 2008 l’apertura dei primi cantieri e per inizio 2009 il via ai concorsi per far decollare il sito espositivo.
Invece niente. Le macchine dell’organizzazione sono ferme. Expo 2015 Spa – destinata a gestire oltre 3 miliardi – fatica a mettere assieme 10 miseri milioni per la costituzione.
Gli enti locali lombardi hanno già stanziato la loro parte in questi giorni, ma dal Tesoro, che dovrebbe mettere "solo" quattro milioncini, tutto tace. Non solo. Anche si trovassero i soldi, restano da sciogliere i nodi sulla governance.
Il pressing di Moratti per dare pieni poteri a Glisenti si è impantanato nella voglia di deleghe degli altri soci e nell’ostruzionismo strisciante della Lega tramite Dario Fruscio (presidente del consiglio sindacale in quota Carroccio) che ha alzato le barricate sulla questione dei compensi.
Morale: dopo diversi cda a vuoto la società è ancora al palo e ha già bruciato i suoi 150mila euro di capitale.
L’altro tasto dolente sono i finanziamenti. All’appello formalmente mancano 2,5 miliardi (su 11,4 previsti) per le opere essenziali all’evento. Il Nord sperava in una corsia preferenziale per raccogliere questo tesoretto. Com’è successo per il Comune di Roma e per Catania quando hanno avuto bisogno di liquidità.
Ma da Palazzo Chigi, malgrado le rassicurazioni del sottosegretario alle infrastrutture Roberto Castelli, è arrivata una doccia fredda: gli stanziamenti verranno esaminati dal Cipe il prossimo autunno. Il problema non è solo questo: su 3,2 miliardi di fondi dati già per certi, si è acceso il faro della Corte dei conti che ne ha messo in discussione la reale disponibilità.
Gli 1,4 miliardi stanziati dallo Stato – spiegano i giudici contabili ”sono concentrati per 1 miliardo tra 2013 e 2014 senza chiare indicazioni sulle fonti di provvista. I fondi attesi da enti locali (851 milioni) sono a rischio per i tetti al patto di stabilità mentre i 900 milioni dei privati, visti i problemi a trovare la cordata per Alitalia, sono giudicati aleatori.
«Noi non ci preoccupiamo – ha detto Moratti – Ci sono impegni precisi del governo». Il problema è che l’asse tra Palazzo Marino e il Tesoro, in particolare con Giulio Tremonti, non sembra solidissimo. All’ultimo Comitato di pianificazione a Roma, dove il sindaco di Milano sperava di sciogliere tutti i nodi, il titolare di via XX Settembre – alle prese con altre priorità finanziarie – non si è nemmeno presentato, così come Berlusconi.
Non solo. Oltre a lesinare i suoi 4 milioni per la Expo 2015 Spa, ha cavato dal cilindro una circolare che vincola i Comuni a non utilizzare i fondi ricavati dalla vendita di immobili per investimenti infrastrutturali. Quasi una legge ad personam anti Expo. «Così ci vengono congelati 100 milioni disponibili per investimenti», ha tuonato Moratti che con i saldi sul mattone punta a raccogliere oltre un miliardo.
Va bene che c’è la crisi a complicare le cose. Ma il mito della presunta efficienza lombarda (tutti i protagonisti della telenovela Expo hanno solidi radici padane) esce un po’ ammaccato dalla vicenda. «Milano s’è fatta fregare da Roma», ironizza Giacomo Vaciago, docente di Politica economica alla Cattolica.
Quali carte restano da giocare per evitare il peggio? Un primo passo, inevitabile, è già stato fatto: gli investimenti sono stati ridimensionati. Stop ai poetici Raggi verdi e alle Vie d’acqua, congelati i vaporetti sul Naviglio come le Tangenziali di Varese e Como. Con la spada di Damocle della Circolare Tremonti che accende un punto interrogativo grande come una casa anche su Metro 4 e 5.
«Non c’è da vergognarsi – ha detto l’architetto Vittorio Gregotti – La recessione c’è per tutti. Il dossier può essere rivisto in corsa. Parigi, all’epoca, ha fatto lo stesso».
Il rischio però è che questi colpi di lima siano come un’aspirina somministrata a un malato incurabile: inutili. Le lancette dell’orologio corrono e le tragicomiche baruffe interne del centrodestra lombardo (e non solo) rischiano di far perdere al paese non solo una grande occasione ma anche la faccia.
Letizia Moratti, che si è già smarcata da Berlusconi – a dire il vero senza troppo successo – sulla partita Alitalia, è tentata di alzare la voce. Memore della fiaccolata per la sicurezza organizzata a inizio 2007 con i commercianti milanesi che fece scricchiolare il governo Prodi. L’unione dei commercianti ambrosiani avrebbe già proposto al sindaco di sommergere di una valanga di fax Palazzo Grazioli per il caso Malpensa.
Ora però la posta in gioco è più alta. E il rischio di impallinare il premier sotto il fuoco amico dei suoi compagni di coalizione va ben considerata.
A oggi, dunque, prevale la politica delle punture di spillo. «Il ministro Tremonti sottovaluta l’Expo – dice Moratti – Noi siamo pronti dal 5 agosto. Perché non si parte? Chiedetelo al Tesoro...» ha confessato durante la trasmissione di Lucia Annunziata.
Questa settimana sarà forse decisiva. Magari via XX Settembre sbloccherà i fatidici quattro milioni. Può darsi che i personalismi degli ultimi mesi vengano messi da parte, tutti facciano un passo indietro e si riesca a trovare a tempo di record un accordo sul cda di Expo 2015.
Ma – sussurra qualcuno – oggi è già troppo tardi, visto che lo scadenziario dei lavori, che avrebbero dovuto scattare otto mesi fa, prevedeva la chiusura dei cantieri appena sei mesi prima del decollo della manifestazione. La strada, insomma, è in salita. La crisi finanziaria non aiuta di sicuro. Il Vietnam meneghino sull’Expo – come persino "Il Sole 24 ore" ha ribattezzato questi dieci mesi di bassa politica – promette nuovi succulenti sviluppi.
E la Milano che con un grande sforzo di squadra è riuscita a battere Smirne, rischia adesso di riuscire – in un trionfo di masochismo – a suicidarsi da sola.