Sergio Romano, Corriere della Sera, 9/02/2009, 9 febbraio 2009
FANFANI A MOSCA NEL 1987 LA FAVOLA POLITICA DI CITATI
Lo scrittore Pietro Citati, in un vivace articolo apparso di recente sulla lingua parlata da molti politici italiani che sovente circumnavigano con egocentrica retorica intorno alla sostanza dei problemi, ha ricordato tra le altre cose un discorso pronunciato a Mosca nel febbraio del 1987 dall’allora presidente del Senato Amintore Fanfani. Può raccontarci l’episodio a cui ha preso parte? E ancora, per mera curiosità, può dirci se il discorso del senatore Fanfani fu pronunciato in inglese, francese, o italiano?
Nicola Flammia
nico.flam@ libero.it
Caro Flammia,
Rispondo subito alla sua ultima domanda. Al pranzo in ambasciata di cui parla Citati nell’articolo di Repubblica, Fanfani non pronunciò alcun discorso, ma, se mai, un brindisi piuttosto breve. Non ebbe motivo di pronunciare discorsi perché al pranzo, come sembra invece desumersi dall’articolo, non partecipò Gromyko che era allora presidente del Presidium del Soviet Supremo, vale a dire, nel sistema costituzionale sovietico, capo dello Stato. Non vi furono particolari problemi d’interpretazione, quindi e nessuna interprete scoppiò in lagrime, anche perché i traduttori sovietici erano bravissimi e conoscevano perfettamente il linguaggio della politica italiana. Citati scrive ironicamente che Fanfani parlò di La Pira come di persona che i sovietici avrebbero dovuto conoscere e di cui invece ignoravano l’esistenza. Per la verità La Pira era molto noto a tutti coloro che si occupavano di affari italiani al Comitato Centrale, al ministero degli Esteri e all’Associazione d’amicizia Italia-Urss. I sovietici lo conoscevano e ne coltivavano l’amicizia perché pensavano, non senza ragione, che i cattolici di sinistra fossero una piccola quinta colonna di cui l’Urss, all’occorrenza, avrebbe potuto servirsi. Il pranzo quindi filò liscio come l’olio e io non dovetti correre ai ripari servendomi delle mie arti diplomatiche. Aggiungo, ma è un particolare insignificante, che non porto il pince-nez.
Naturalmente questo non toglie nulla alle qualità dell’articolo di Citati. L’autore voleva colpire il linguaggio dei politici italiani e lo ha fatto brillantemente con le armi della satira, della fantasia, dell’immaginazione. Non ha descritto un pranzo all’ambasciata d’Italia nel febbraio del 1987. Ha scritto una favola politica con gusto ironico e grottesco. uno scrittore, un letterato, un geniale interprete di opere letterarie e ha centrato il bersaglio con le frecce del suo arco. Non sono sicuro, tuttavia, che abbia centrato il bersaglio giusto. Fanfani poteva essere oscuro e «politichese », come altri uomini politici del suo partito, ma aveva anche, in molte circostanze, la capacità di parlare chiaro e brusco. C’era in lui un «toscanaccio» che improvvisamente, di tanto in tanto, perdeva la pazienza e veniva fuori all’aperto. Una volta, mentre si parlava di certe trame all’interno del suo partito, disse «chi l’ha fatta la copra». E un’altra volta, quando qualcuno rimproverò alla politica estera italiana di non essere abbastanza bellicosa, rispose: «Non siamo mica dei marines». Sono frasi che Aldo Moro, per esempio, non avrebbe mai pronunciato.