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 2009  febbraio 09 Lunedì calendario

ISRAELE E HAMAS: «VICINO L’ACCORDO»

Dilemma di Hamas: liberare Gilad Shalit prima del voto israeliano, cercando per la prima volta di non condizionarlo con una bomba, ma con uno scambio politico sul cessate il fuoco a Gaza, oppure aspettare le elezioni e vedere come va? Dilemma di Olmert: firmare la tregua prima che si aprano le urne, facendo un grande favore al Kadima di Tzipi Livni, o portare a casa l’accordo e magari Shalit a risultati certi, ma prima che sia un altro a farlo? La cosa di cui s’è meno parlato in questa campagna elettorale, è forse l’unica che al momento interessa davvero: la liberazione del caporale, la pace di Gaza. Una testa, migliaia di voti. Una firma, migliaia di dubbi. Di colpo, le voci tornano a impazzire – «l’accordo è imminente» – e tocca al premier Ehud Olmert definirle «esagerate e dannose », rimandando al viaggio per le capitali europee che sta facendo Hosni Mubarak, il presidente egiziano, il vero artefice della piccola pace. Qualcosa però accade se un ministro come Rafi Eitan, che si occupa di pensionati ma siede nella stanza dei bottoni, confida come ci siano «forti probabilità» che l’impasse con Hamas si sblocchi sotto il mandato di Olmert. Ovvero a giorni, se non a ore. Il dono di Olmert, lo chiamano. Quello con cui il premier dimissionario vorrebbe lasciare e farsi ricordare. Secondo Haaretz, il giornale, tutto è già nero su bianco. Un accordo di pace d’un anno e mezzo, rinnovabile, col permesso di far entrare 600 camion d’aiuti al giorno (tre volte quelli attuali); monitoraggio sui materiali che possano servire a fabbricare armi (acciaio, cemento, vetro); apertura del valico egiziano di Rafah (quello dei tunnel) con la supervisione d’osservatori internazionali e dell’Autorità palestinese di Abu Mazen. E soprattutto, scrive un altro giornale, l’arabo-londinese
Al Hayat, lo scambio dei prigionieri: l’ostaggio Shalit, rapito due anni e mezzo fa, contro 350 detenuti di Fatah e Hamas. Con Israele che avrebbe detto no a 22 nomi, in particolare al rilascio di Ahmed Saadat, il leader del Fronte popolare di liberazione della Palestina, ma avrebbe aggiunto un mezzo sì alla liberazione d’un carismatico capo: Marwan Barghuti, il segretario del Fatah, il capo delle milizie Tanzim, arrestato nel 2002 e condannato nel 2004 a cinque ergastoli per l’uccisione di cinque israeliani. Pochi giorni fa, Barghuti se n’era uscito con una dichiarazione conciliatoria, aveva parlato della necessità di ricucire i rapporti tra Fatah e Hamas.
Popolarissimo a Gaza, per molti potrebbe essere lui l’uomo- cerniera delle dirigenze palestinesi. L’unico capace di rimpiazzare lo screditato entourage di Abu Mazen. «Per la prima volta dal suo sequestro – scrive Ben Caspit, un osservatore politico di Ma’ariv – le circostanze per la liberazione di Shalit prendono veramente forma»: un governo di transizione e un premier uscente, senza l’ansia del risultato elettorale; un’organizzazione come Hamas, colpita e ferita, che ha urgente bisogno di recuperare consenso.
Nelle dichiarazioni, nessuno l’ammette: «La nostra agenda non funziona sulle elezioni israeliane », dice Mohammed Nazal. «Non siamo una repubblica delle banane, o di Obama», annotano i commentatori filogoverno. Ma qualcosa significa, il ministro Ehud Barak che parla di «sforzi supremi». O il reaparecido Muhammed al Zahar, il numero due di Hamas a Gaza, che dà un’intervista per correggere l’ala ribelle di Damasco e precisare: «Il programma della vecchia Olp, va cambiato. Ma l’Olp va mantenuta». Come dire: il dono di Olmert si può accettare, se questo dono si chiama cacciare Abu Mazen e riprendersi Barghuti.