Marco Del Corona, Corriere della sera 8/2/2009, 8 febbraio 2009
I ROHINGYA FUGGONO DALLA BIRMANIA E I THAILANDESI LI GETTANO IN MARE
Anche Angelina Jolie si è accorta di loro. Come ambasciatrice di buona volontà dell’Onu, la star hollywoodiana ha speso parole di preoccupazione per i rohingya, nuovi paria dell’Asia. Lo ha fatto lontano, mentre visitava altri profughi, quelli di etnia karen e karenni scappati dalla Birmania, accampati da anni in Thailandia a ridosso del confine. Ha fatto domande, ha voluto sapere. E le hanno spiegato la tragedia misconosciuta dei rohingya, un’altra minoranza della Birmania di cui il mondo si sta accorgendo solo ora, a stento. Sono i boat people di oggi, in un Sudest Asiatico che pare incontrare di nuovo uno dei drammi del suo passato. Boat people. Dopo il 1975 circa un milione di sudvietnamiti cercò scampo via mare all’avvento del comunismo, chiedendo soccorso all’Occidente. Oggi barche di legno fradicio rivelano l’ennesima crisi umanitaria nascosta della Birmania.
I rohingya sono musulmani che vivono in un limbo tra Birmania e Bangladesh. Vanno incontro al mare con imbarcazioni rudimentali, verso sud. Il dramma della traversata si conclude con il dramma dell’accoglienza negata: caso limite è la Thailandia, la cui condotta ha aggravato l’esodo dei rohingya. Si ipotizza che i profughi siano ben oltre il migliaio, le vittime forse centinaia, anche se le modalità dell’odissea e la geografia frastagliata delle aree interessate rendono per ora complicata una quantificazione. Il merito di avere sollevato la questione va al South China Morning Post, autorevole quotidiano di Hong Kong. Che a gennaio ha rivelato cosa accadeva in Thailandia, partendo da immagini scioccanti riprese su un’isoletta della costa occidentale. Uomini immobili su una spiaggia sotto l’occhio dai militari, a un passo dai turisti con la maschera da immersione. La ricostruzione del giornale era andata avanti per giorni, arricchendosi di particolari. A tutti i naufraghi, intercettati dalla marina thai, era stata negata l’accoglienza. Dopo una breve detenzione almeno un migliaio erano stati rimandati in mare, sulle loro barche. Senza motore, praticamente senza cibo. Racconti raccapriccianti, uomini divorati dagli squali, compagni che non ce l’avevano fatta. Nei giorni successivi nuovi dettagli, equipaggi intercettati in altri Paesi – le isole Andamane (India), l’Indonesia – e la comune volontà di non farsi carico dei profughi da parte di Paesi colpiti dalla crisi finanziaria. Il caso più vistoso è rimasto quello della Thailandia, al punto che il 20 gennaio l’Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati) ha sollecitato Bangkok a concedere l’accesso a un gruppo di 126 rohingya. Le autorità negano comportamenti crudeli ma non valutano neppure la costruzione di un campo. L’Indonesia, invece, ha dato all’Onu il permesso di visitare 400 rohingya, dopo un primo no. Da parte birmana, il solito muro, come sa chi chiede di trascinare i gerarchi davanti alla Corte penale internazionale (l’ong Global Justice Center) o chi pensa a un bando delle forniture militari, più efficace delle sanzioni economiche (Nicholas D. Kristof sul
New York Times).
I rohingya discendono dai mercanti arabi e persiani che si stabilirono già prima dell’anno Mille nell’attuale Arakan, sulla costa al confine col Bangladesh. Ma per la giunta del generalissimo Than Shwe non fanno parte delle minoranze della Birmania, di per sé discriminate: semplicemente non esistono. «Quei naufraghi sono bengalesi». In Birmania, dove sono forse un milione, i rohingya non hanno documenti né titolo per alcuna assistenza. La loro religione in un regime che esalta l’essenza buddhista di una presunta «birmanità » è una condanna. In Bangladesh 28 mila rifugiati sono registrati in due campi Onu, altri 200 mila sopravvivono lungo la frontiera. Nel 1991 – prima guerra del Golfo – qualcuno si accorse di loro, il principe Khaled Sultan Abdul Aziz, comandante del contingente saudita. In visita in Bangladesh evocò pubblicamente un intervento Onu «come quello per liberare il Kuwait». I Paesi musulmani del Sudest asiatico reagirono, la giunta birmana cambiò capo. Poi l’anticamera dell’oblio, ovvero una normalizzazione che vede la Thailandia particolarmente ostile verso i rohingya musulmani anche perché è alle prese con il terrorismo islamico separatista nelle sue province meridionali. Il mondo è distratto. La Jolie invoca «generosità». La Thailandia insiste: in mare. Boat people, ancora.