Sergio Romano, Corriere della sera 8/2/2009, 8 febbraio 2009
ABUSO DI INTERCETTAZIONI NEL PAESE DEI SEGRETI
L’arcivescovo di Cracovia conosceva i metodi del regime comunista polacco, sapeva di essere sorvegliato e ascoltato. questa la ragione per cui le sue conversazioni telefoniche non fornirono ai servizi polacchi alcuna informazione utile per il loro lavoro. Lo intercettavano per compiacere il Kgb e non essere accusati di scarsa diligenza. Ma i molti segreti di Karol Wojtyla rimasero gelosamente custoditi nella sua mente. Non è questo, tuttavia, l’argomento principale della sua lettera. Come molti altri lettori lei sembra convinto che le persone perbene non abbiano nulla da nascondere e che le intercettazioni possano imbarazzare soltanto i corruttori, i corrotti, gli intrallazzatori, i camorristi, i mafiosi e gli uomini politici che approfittano della loro posizione per incassare mediazioni e tangenti. Rispondendo a lei rispondo quindi a tutti coloro che mi hanno scritto negli stessi termini durante gli scorsi mesi.
La risposta è che lei, purtroppo, commette un errore di giudizio. Non c’è uomo o donna che non abbia qualcosa da nascondere. Non penso soltanto agli errori commessi in gioventù, alle infedeltà coniugali, alla droga sniffata durante una serata con gli amici, all’evasione fiscale, alle dichiarazioni false e ai giuramenti traditi. Penso soprattutto al tessuto di finzioni, bugie e calunnie con cui ogni essere umano persegue le sue ambizioni. Chi desidera salire al vertice della sua carriera rinuncia raramente alla tentazione di denigrare i suoi concorrenti. Chi vuole comprare qualcosa a basso prezzo ne svilisce il valore e cerca di deprezzarlo. Chi vuole conquistare una posizione ambita ritocca il proprio curriculum e si attribuisce meriti inesistenti. Molti italiani (forse la maggioranza) hanno due codici: quello severo e rigoroso da sbandierare pubblicamente nelle grandi feste dell’indignazione nazionale, e quello conciliante e permissivo che si applica ai familiari e agli amici. Molti italiani hanno due linguaggi: quello civile delle occasioni pubbliche e quello sguaiato, volgare, goliardico e casermesco della vita privata. Le conversazioni telefoniche traboccano di queste umane debolezze.
Per molte persone il telefono è un confessionale dove gli interlocutori si rivelano, si confidano, organizzano le loro piccole trame per cacciare il capufficio o conquistare la segretaria. Tutti sanno che esiste il rischio dell’intercettazione, ma pochissimi resistono alla tentazione di rivelare i propri sentimenti.
Sono queste, caro Dalla Villa, le ragioni per cui le intercettazioni sono sempre una materia delicata, da maneggiare con prudenza. Lo sono persino nel Paese dove la vita privata è trattata con grande rispetto. Lo sono a maggior ragione là dove guardare dal buco della serratura è un passatempo nazionale, e tutti, dalla magistratura alla stampa, sembrano indifferenti agli effetti collaterali della loro missione professionale.