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 2009  febbraio 06 Venerdì calendario

LA SVIZZERA VUOLE CHIUDERE I CONFINI


Dal fronte del «no» è arrivato un poster inquietante, tre immensi corvi che becchettano la piccola Svizzera. Lo ha affisso il Partito del popolo (Svp) per illustrare come la destra immagina la Confederazione se il referendum di domenica approverà il rinnovo degli accordi di libera circolazione con l’Unione europea. L’offensiva xenofoba è mirata contro i «poveri dell’Est», i bulgari e romeni ultimi entrati nel club comunitario, ma la questione è ben più grande. Sinora i cantoni hanno stretto intese con venticinque stati e adesso devono decidere di passare a ventisette. Con un problema: il voto è uno per tutti, chi rifiuta Bucarest e Sofia rifiuta Bruxelles. Vuol dire che una vittoria del «no» porterebbe indietro di anni le mai facili relazioni fra Berna e l’Ue.
La colpa è della clausola «ghigliottina» introdotta alla firma del primo patto bilaterale del 2000. Essa prescrive che l’eventuale bocciatura del pacchetto «libera circolazione» farebbe decadere entro sei mesi l’insieme degli accordi a cui questo è stato legato, chiudendo mercati come l’aviazione civile, il trasporto su ruota, la ricerca comune. Significherebbe il blackout di due sistemi interdipendenti, con danni reciproci, anche perché il 60% dell’export della Svizzera - che è il secondo partner commerciale dell’Ue dopo gli Usa e prima di Russia e Cina - viaggia verso i Ventisette.
La paura dei «corvi» mette tutto questo a repentaglio e la crisi economica non aiuta. La proverbiale resistenza degli svizzeri allo straniero si ritrova amplificata dalla crisi economica. «I salari in Romania e Bulgaria sono di almeno il 15 volte più bassi dei nostri - afferma Alain Hauert, portavoce del Svp -. Con le grandi imprese che vogliono tagliare il costo del lavoro questo rappresenta una grande minaccia». Ci risiamo. «Posti svizzeri agli svizzeri» come i «posti inglesi agli inglesi» di Grimsby. La recessione invita al protezionismo e alla xenofobia, anche se tutto prova che la piena circolazione dei lavoratori risponde al crac congiunturale e non lo alimenta.
La non condivisione di questa tesi unisce gli estremi svizzeri, la destra e la sinistra, e solletica i conservatori dell’Unione democratica del Centro, primo partito in parlamento col 27%. Il governo è in ambasce. Il primo pacchetto di liberalizzazioni fu approvato nel 2000 col 67% dei suffragi. Il secondo - quello del 2004, senza ghigliottina e prodromo di Schengen - passò col 54%. In queste ore di vigilia rovente i sondaggi danno al 50% i favorevoli, al 43 i contrari, al 7 gli indecisi. Le aree francofone sono le più nettamente europeiste, quelle tedesca e italiana sono più incerte. «La libera circolazione non è direttamente connessa a quella stabilita con Schengen, ma come si farebbe a mantenere in piede l’intesa se andasse male?» si chiede una fonte europea a Bruxelles. Probabilmente non sarebbe possibile, tornerebbero i pesanti controlli alle frontiere e i dazi a go-go, cooperare diverrebbe più difficile. Come prima del 2000. Come succedeva in un altro secolo.