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 2009  febbraio 06 Venerdì calendario

LO SPORT VA A ORIENTE


Tra i dolci rilievi defl’isola, la prima fila l’ha presa la Ferrari: un parco a tema, novità mondiale, per una spesa di 600 milioni di dollari. Con annesso circuito: Yas Marina, una pista di cinque chilometri e seicento metri, dove il prossimo primo novembre la Fo la 1 farà il suo fragoroso esordio con il Gran Premio di Abu Dhabi.

Abu Dhabi e Londra sono i poli. Il 2009 e il 2012 l’arco di tempo. Con iridescenze da arcobaleno, la bolla sportiva volteggia tra queste coordinate. Gonfiata allo stremo da mecenati globali, impegnati a collocare e far fruttare patrimoni esuberanti. Se in Medio Oriente lo sport tocca l’apogeo, in Occidente squillano i primi segnali d’allarme. Londra in bolletta comincia quasi a pentirsi di aver ottenuto i prossimi Giochi olimpici. Pragmaticamente si rifà i conti e tira a risparmiare.
L’isola di Yas, perla di un arcipelago artificiale dell’emirato Abu Dhabi di 2500 ettari, è il laboratorio di un ciclopico esperimento turistico sportivo. Un progetto multimiliardario, firmato Aldar Properties. Cemento a volontà. Venti alberghi di lusso, ville, appartamenti, porto turistico. E tutto quanto di meglio l’industria del tempo libero può offrire a turisti embedded: due campi da golf, uno da polo, un maneggio, 300.000 metri quadrati di centro commerciale, un parco acquatico, un parco attrazioni della Wamer Brothers.

Dal mare del Golfo Persico su cui incombe, Abu Dhabi, capitale dell’emirato omonimo, innalza verso il cielo una fantastica muraglia di vetrocemento da far impallidire lo skyline di New York. L:isola di Yas è a una trentina di minuti. La Aldar prevede di chiudere i lavori entro il 2014. Nel piano anche un’autostrada extralarge (dodici corsie), che dall’aeroporto raggiunga, toccando le isole Yas e Saadiyat, la capitale.

L’immensa ricchezza di Abu Dhabi ha carattere doppiamente liquido. Deriva dal petrolio. Il novanta per cento dei due milioni e mezzo di barili il dieci per cento delle riserve mondiali confezionati ogni giorno dagli Enìirati arabi uniti esce dallemseere &qu~mmuscol<) paese, uu mdione scarso di sudditi dello sceicco Mansur biri Zayed al Nahyan. Bene destinato a evaporare. Gli sceicclù lo sanno. E si tutelano con investimenti diversificati in cui incanalano proventi giganteschi. Strategia che ha nello sport un asse Dortante.

Così rabu Dhabi Motor Management ha convinto il re Mida della Formula 1, Beniie Ecclestone, a far sbarcare nei prossimi sette anni i suoi prototipi e i suoi campioni sufl’isola di Yas. Dal 2006 l’emirato ospita una delle tappe del circuito europeo di golf, sport tanto compassato quanto lucrosissimo. Nel ciclismo, è pronta l’Abu Dhabi Race of Champions, un giro degli emirati arabi. Per calanùta uno stratosferìco prenuo per il vincitore: un milione di dollari, cifra inimmaginabile anche per chi trionfi nello stesso anno a Giro e Tour. Zayed al Nahyan stravede per rippica; e i suoi cavalli, con la mano esperta del fantino Lanfranco Dettori, hanno trionfato in tutti gli ippodromi del mondo.

In cima ai pensieri degli sceicchi c’è, comunqye, il calcio. Per ora si sono accontentati del Mondiale per club, la vecchia Coppa intercontinenmle; quest’anno e il prossimo si disputerà negli Einkati arabi uniti. Ma guardano lontano. Ed hanno messo piede sulvecchio continente. I:Abu Dhabi United Group ha prelevato una squadra decotta, il Manchester City, e lavora per inserirla nell’ohmpo calcistico internazionale.

Contrappunto mesto alreuforia finanziaria degli emirati, le angustie deIrOccidente. Le olimpiadi del 2012 sono diventate una grana. «Avessiino saputo allora quello che sappiamo oggi, quasi sicuramente avremmo lasciato perdere», commenta amara Tessa Jowell, ministro per i Giochi. Le stime del 2005 in tre anni sono state sbriciolate. Gli sponsor cominciano a liquefarsi. Il maggiore, il gruppo canadese Nortel Networks (infrastrutture per telefonia mobile), è alle prese con la bancarotta. Guai grossi che mettono in forse le olimpiadi invernali di Vancouver, del 2010, e appunto i Giochi inglesi. Altri sponsor di primo piano fiutano raria e sono pronti a tagliare la corda.

Non resta che limare. Dare veste spartana ai progettl Il villaggio olimpico, nel settore est della città, subisce una forzata cura dimagrante. L’australiana Lend Lease Corp, ramo immobibare, si era accollata un terzo della spesa. In cambio, a olimpiadi concluse, avrebbe potuto n’vendere gli appartamenti. Ora si è tirata indietro. Il villaggio dovrà ospitare 17.000 atleti. Erano previsti 4.300 afloggi. Sono stati ridotti a 3.000 e lo Stato ha già dovuto tirar fuori di suo decine di núhoni. La costruzione del centro stampa, affidata al gruppo britannico Carillion, appare oggi troppo onerosa. In fondo, si è pensato, i giornalisti potrebbero comodamente lavorare nel centro commerciale di Stratford City, a due passi dal villaggio.
Dalla Gran Bretagna arrivano voci inquietanti anche da altre direzioni. Il calcio, sempre più terra di conquista di tycoon stranieri, boccheggia. Se il Manchester City ha l’assegno facile, squadre di rango annaspano. Malcom Glazer, proprietaiio americano del Manchester United, non sa come restituire gli 800 milioni presi in p~to per comprare la squadra. I texanì Tom Hicks e George Gillet, padroni del Liverpool, hanno il fiato delle banche sul collo. Il magnate russo Roman Abramovich. Dioniere della colonizzazione col Chelsea, rigetta sdegnato le voci di cessione, ma consistenti grattacapi finanziari lo indurrebbero a passare la mano.
Qualche grado di latitudine più in là, le cose non vanno megho. Dal Deportivo La Corufla al Malaga e al Racing di Santander, molte squadre spagnole cercano invano sponsor; così il Valencia si trova con Facqua alla gola per i debiti. In Francia, I’Olympique di Lione è alle prese con un titolo azionario ridotto a carta straccia.
La carestia non risparmia nessuno. La Formula 1 è alle prese con sponsor sempre meno motivati, team in fuga, politica di austelity. Al via quest’anno ci saranno solo diciotto macchine, a un pelo dal minimo indispensabile per gareggiare. Banche e assicurazoni, tra i principali fìnanziatori del tennis intemazionale, dai Master alla Coppa Davis, con la crisi hanno altre gatte da pelare; in agosto la Pacific Life (assicurazioni) ha levato la propria firma al torneo di Indian Wells. Sempre dagli Usa, la leggendaria Nba (lega del basket) per ora si ffinita a rispedire a casa gli iinpiegati. Ma la Wnba, la lega femminile, piange il decesso della superscudettata Houston Comets. Da ultimo ma non ultimo, lo sportivo più pagato al mondo, il golfista Tiger Woods (patrimonio che vola verso il miliardo di dollari), ha dovuto ingoiare il rospo dell’addio della General Motors.

Un crepitio sinistro giunge dalla bolla, dilatata oltre i limiti. Lascia presagire disastri imminenti. Una replica, non meno dolorosa, delle evoluzioni sciagurate della bolla immobiliare. La gara di Formula 1 che a novembre, sullo sfondo rapinoso dell’Oceano indiano, darà il battesiino al circuito diyas Marina, potrebbe rappresentare l’inizio della fine. Un valzer struggente sulla tolda del Titanic.