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 2009  febbraio 04 Mercoledì calendario

«TELECOM, SCORPORO E FUSIONE CON MEDIASET»


Angelo Rovati, 64 anni, industriale, consigliere economico nell’ultimo governo Prodi, ora consulente di Rothschild, gode nel vedere che sui giornali riciccia fuori il suo piano di scorporo della rete come una delle panacee per gli attuali guai di Telecom Italia. una soddisfazione ex post, dopo le polemiche che, Prodi regnante, lo investirono per aver recapitato all’allora padrone di Telecom, Marco Tronchetti Provera, «29 schifosissime slide» come le chiama adesso quasi a scaricare la rabbia residua, su come scorporare la rete. Accompagnandole con un bigliettino da visita della presidenza del Consiglio che lo crocifiggeva, perché evocava le mani della politica che si riallungavano sull’azienda dei telefoni. E che gli costò le dimissioni e un mal di pancia che forse nemmeno questa postuma riabilitazione (se non della forma, almeno della sostanza) servirà a lenire del tutto.



L’allora denigrato piano Rovati è diventato la nemesi della Telecom. Come si spiega che ogni tre, quattro mesi salta fuori qualcuno che lo rimpiange?



Cosa vuole, siamo nel Paese degli eccessi. Si passa presto dalle stelle alle stalle, e viceversa. Comunque, ex post, sono contento di aver contribuito ad aprire una discussione su un asset fondamentale per il Paese. Anche se all’epoca le polemiche mi hanno messo a dura prova.



Gli spagnoli non vogliono lo scorporo e si capisce. A meno che non lo vogliano gli attuali vertici di Telecom.



Forse pensano a una separazione della rete di tipo diverso, all’inglese, sul modello di Openreach. Però su questo tema si sono innestati troppi equivoci. Insieme a un peccato originale.



Il peccato originale si lava col battesimo.



Qui però il battesimo non c’è stato. La verità è che lo scorporo della rete doveva essere fatto prima della privatizzazione di Telecom. Se questo fosse avvenuto non staremmo qui a litigare sul tema. Quando ero consigliere economico di Prodi mi sono esercitato a come rimediare questo peccato originale, niente di più.



E su che basi poggiava l’esercizio?



Sulla costatazione che Telecom era una società florida dal punto di vista industriale, ma gravata da un elevatissimo indebitamento figlio delle acquisizioni precedenti che ne impiombava lo sviluppo. Precludendo così ogni politica di espansione e di attenzione al prodotto.



Qualcuno disse che in realtà il governo Prodi, quindi lei, pensavate a nazionalizzare.



Sì, qualche editorialista che non aveva capito nulla. Il mio piano prevedeva che la società che incorporava la rete di Telecom venisse quotata in borsa per il 70,1%, mentre il restante 29,9% poteva essere suddiviso tra la stessa Telecom e un attore pubblico, tipo la Cassa depositi e prestiti o le Fondazioni. Era un piano difensivo, pensato perché nessuno potesse mai nel futuro permettersi di mettere le mani sulla rete.



Aveva anche calcolato i costi dell’operazione?



Per lo Stato non c’era alcun costo. Tra fiscalità sulle plusvalenze della quotazione e investimento delle medesime si andava in pari. Alla fine il Tesoro o chi per esso si sarebbe trovato proprietario del 15% del restante 29% della società che incorporava la rete.



Si disse che quel suo piano era stato ispirato da Goldman Sachs.



Ma quando mai? Io di queste cose ho parlato con pochissime persone.



Pochissime chi?



Per esempio con Franco Bernabè e Francesco Caio. Oggi una fa l’amministratore delegato di Telecom, l’altro il consulente del governo per le reti di nuova generazione. E magari, visto la statura del personaggio, non sarebbe male se il governo ne valorizzasse il lavoro.



E Bernabé cosa le diceva sul tema?



Non voglio polemizzare. Mi diceva le sue opinioni. Una delle ipotesi era lo scorporo della rete o la sua divisionalizzazione sotto la gestione di un’Authority molto forte.



Perché adesso è tornato fuori così prepotentemente lo scorporo? Il governo vuole salvare l’italianità minacciata o gli altri operatori premono?



Se il governo è motivato da una difesa dell’italianità sono d’accordo, se no tanto valeva che lo stesso Tronchetti Provera la vendesse a Murdoch piuttosto che a Carlos Slim. Siamo un Paese dove quasi sempre invece di valorizzare le risorse che abbiamo le mortifichiamo.



Chi stiamo mortificando nella fattispecie?



Vedo che sui giornali si sta parlando di un interesse al tema di Mediaset, ovvero un attore molto importante dell’economia nazionale. Ora, che questa società venga tenuta in panchina perché il suo fondatore è il presidente del Consiglio mi pare strumentale. Dietro a Mediaset non c’è solo la famiglia Berlusconi, ma una miriade di azionisti e lavoratori. Dal mio punto di vista, una volta realizzato lo scorporo della rete, procederei a una fusione tra Mediaset e Telecom. Ne nascerebbe una delle più grandi media company del mondo.



Sulla carta potrebbe anche essere un’operazione che manda la famiglia in minoranza e attenua la sempiterna questione del conflitto d’interesse.



Esattamente, due piccioni con una fava. Una formidabile media company con la famiglia Berlusconi importante socio, ma di minoranza.



Fingiamo per un attimo che lei sia l’amministratore delegato di Telecom. Cosa farebbe?



Cercherei di liquidare Telefonica, mettendo sul piatto Tim Brasil. Dopo di che scorporerei la rete, con le modalità del mio piano.



Ma come si accompagnano gli spagnoli alla porta?



Scambierei Tim Brasil con le loro azioni Telecom e la metà di Vivo, la joint venture che loro hanno in Brasile con Telecom Portugal. Telecom così rimarrebbe in Sudamerica con i portoghesi, con cui si potrebbero sviluppare ulteriori sinergie.



Forse resterebbe comunque un problema di azionariato instabile. Con le banche che devono mettere mano al portafoglio, le Generali dove a ogni cda salta fuori un consigliere che chiede perché mai un’assicurazione abbia comprato azioni di un’azienda di telefoni, i Benetton che quotidianamente maledicono il giorno in cui si sono imbarcati nell’avventura.



Gli azionisti piangono perché vedono il valore del loro investimento grandemente mortificato. Penso che il management di Telecom stia facendo tutto il possibile, ma siamo in una congiuntura particolarmente drammatica: difficile con la gestione ordinaria migliorare la redditività e conseguentemente il prezzo del titolo. Ci vuole un intervento straordinario, che dia la scossa.