Stella Pende, Panorama 12/2/2009, 12 febbraio 2009
SOFFOCATI DAL MAL DI CRESCERE
Volevo sparire e mi sono detto: entrerò nel nulla dopo un volo, quell’ebbrezza di pochi minuti «Varrà una vita intera». Claudio si attraversa i capelli con la fretta della giovinezza. «Poi, dopo il salto, quando nuotavo nell’aria senza respiro e senza ali, ho capito quanto volevo vincere il male che covavo dentro». Ha dovuto guardare la morte negli occhi questo ragazzino di 13 anni per capire quanto era importante vivere. Il suo ultimo disperato desiderio di vita ha fatto il miracolo. Cadendo dalla terrazza ha incontrato un albero di magnolia. Dopo sei mesi di ospedale a settembre Claudio è tornato a scuola. «E ho avuto anche una pagella dignitosa» dice, e il suo sorriso spacca il cuore. «battere la testa mi ha fatto pure bene »
Stare così male da cercare la morte: una peste dell’anima che dovrebbe graziare almeno bambini e ragazzi. Invece il desiderio di annullarsi sembra diventato una calarnita soprattutto per loro. Tanto che il suicidio è diventato la seconda causa di morte per gli adolescenti dopo gli incidenti strada. Una verità che nel 2007 fa recitare aU’Istat numeri agghiaccianti: 153 suicidi di ragazzi italiani da 14 a 24 anni. E la Lombardia conquista un inquietante record come la prima regione per i suicidi degli adolescenti: solo nella provincia di Milano 1.500 tentativi di suicidio. Attori: dai ragazzini di 11 anni ai giovani di 19.
«Diventare grandi vuol dire staccarsi dall’eldorado dell’infanzia e planare in quel caos furioso dei sentimenti che è l’adolescenza. E questi ragazzi, spavaldi fuori ma spesso fragili dentro, qualche volta non ce la fanno»: Gustavo Pietropofli Charmet, psicoanalista e grande lettore dell’animo giovanile, lo dice nel suo nuovissimo saggio per la laterza, Fragile e spavaldo. «Fragile perché non è stato capace di toccare i successi che i grandi aspettano, perché addolorato dalla vergogna di un corpo non all’altezza, perché si sente solo e invisibile nelle grandi cìttà».
L’ultima «disgrazia» tocca, emblematicamente, un allievo della scuola Beccaria di Milano. Fabio, 16 anni, bocciato e lasciato dalla ragazza, scrive il suo messaggio alla madre («Mamma, ti prego, perdonami ») e poi si butta nel vuoto.
Una vera epidemia di morti giovani e cercate. Per questo il ministro dell’Istruzione, Mariastefia Ceimini, ha dato fondi destinati a combattere il bullismo a questa più grave emergenza. «Agghiacciante» ha detto il ministro. «La scuola, soprattutto, non puo restare cieca davanti al dolore dei í giovani ». E la scuola risponde: «Questa tragedia arriva dal vuoto di parole con i ragazzi » ha spiegato triste Anna Maria Indinimeo, preside dei Beccaria. «Non abbiamo capito la sofferenza di Fabio. t un errore che non faremo più».
Così, da settembre, in una decina di scuole pilota milanesi la Direzione scolastica lombarda organizzerà incontri con gli psichiatri dell’ospedale núlanese Fatebenefratelli e con quelli di un’associazione meravigliosa come I:Amico Charly, nata sette anni fa per volere di Claudio Colombo dopo la morte del figlio Charly, 16 anni. Nelle stanze di questo che è un vero rifugio per ragazzi caduti nel male di vivere, Charly, sorriso da attore, guarda da una bella foto la sua grande famiglia che lavora per mantenere il suo ricordo sempre vivo. Offrendo ai giovani a rischio un’équipe di specialisti eccellenti, entrando nelle scuole e nelle carceri minorili, promuovendo convegni (l’ultimo è stato un simposio internazionale a Venezia e a Ifilano il 3 e il 5 febbraio, titolo «Il suicidio negli adolescenti»), ma soprattutto battendosi per rompere il silenzio che copre l’uccidersi dei più giovani.
« Un’omertà antica osservata da genitori e da ospedali che spesso liquidano il suicidio dei giovani come banale incidente»: parla con passione la zia di Charly, Grazia Zanaboni, anima e motore dell’~iazione. «Vede, noi abbiamo perso un ragazzo meraviglioso. Un giorno ha comprato una pistola... Un figlio affondato nella depressione è come uno tsunami dei cuore. Se alla fine si uccide, quella colpa va cancellata». Zamború non ha più paura di niente: «Ci sono 1.500 tentativi di suicidio? Quei numeri possono essere raddoppiati: troppi tacciono e nascondono. Invece bisogna parlare e leggere i segni».
Un brutto voto, una bocciatura, la droga come stordimento, la vergogna di sentirsi ridicolo, l’abbandono della ragazza, ma anche mettere il silenziatore all’angoscia affondandola per giomi nei videogame... «Negli ultimi anni crescono depressioni non tradizionali e insidiosissime. Ho curato troppi adolescenti caduti nel buio dopo mesi di computer o di videogiochi » racconta Daniele La Barbera, presidente della Società di psicotecnologie e clinica dei nuovi media. «Si perdono nell’online. Rinnegano scuola, amici, poi il loro senso della realtà evapora». E qualche volta i loro genitori capiscono tardi: «Era diventata una liana di carne» racconta Ernesto Faveri di Roma «e io, da medico, mi dicevo: è solo il peso che deve riprendere. Invece lei faceva morire ogni giorno il suo corpo. Quando l’ho trovata all’alba, in quel letto di bambina sola, stringeva un biglietto: "Ciao papà adorato: non ce la fáccio più a farmi mangiare dalla vita"».
Ma chi sa ascoltare l’urlo che chiede aiuto dei figli? Le madri coraggio di Trapani (la Sicilia è la regione del Sud più colpita da giovani morti violente) hanno raccolto la sfida. Hanno parlato, fatto il «porta a porta del cuore» fino a sfondate il muro del tabù organizzando un convegno («Il benessere dei più giovani») che scopriva per la prima volta la mattanza dei giovani suicidi. «Perché altri genitori possano vedere e capire quello che noi non abbiamo capito» sintetizza Patrizia Napoli, che ha perso un figlio giovanissimo. «Massimiliano ci aveva provato una prima volta, ma si era salvato. L’abbiamo curato sei mesi. Ma appena uscito dall’ospedale è salito all’ultimo piano di un albergo e…».
La verità è che negli ospedali italiani non esiste un protocollo di pronto intervento per i suicidi. «E dopo il ricovero i medici curano solo il corpo, mai l’anima»: Anconietta Marceca, casalinga e madre, parla perché sa. Anche suo figlio non c’è più. Questo vuoto nei soccorsi oggi ha finalmente una risposta. All’ospedale Fatebenefratelli di Milano c’è la prima struttura in Europa che accoglie ragazzi a rischio. A guidarla il primario di psichiatria Claudio Mencacci. A ospitarla, in questo limbo di guarigioni che è il reparto di pediatria, ancora un primario come Luca Bernardi. Non c’è luogo più giusto per curare il dolore dei bambini di quello dove s’è realizzato l’incontro tra questi due medici straordinari. «Quando un ragazzo vive nel buio, il suo medico deve stringergli la mano e accompagnarlo in fondo al tunnel. Oggi l’emotività dei giovani affonda nelle sabbie mobili ».
Pitture magiche di folletti camminano sui muri. In fondo al corridoio c’è la camera bianca che solo nel 2008 ha curato il male di vivere di 56 ragazzi a rischio. Che fare? «Uimportante è una giusta diagnosi» avverte Mencacci «dividere subito le semplici tristezze dalle vere psicosi.
Sebbene i giovani dalla psiche malata corrano il rischio enorme di uccidersi (tra 12 e 35 volte superiore), purtroppo almeno nel 70 per cento dei casi non vengono curati adeguatamente». li medico racconta che sono aumentati drammaticamente i disturbi bipolari: depressione ed euforia insieme. «E smettiamola di dire che l’erba e l’hascisc sono innocui abiti su misura per i più giovani. Il recente studio dello psicologo Claudio Risè sul pericolo cannabis e importanti ricerche sull’alcolismo giovanile provano che drogarsi e bere, togliendo il sonno, innescano seri disturbi psicotici, diventando alla fine trampolini per il salto nel buio».
Parliamo insieme di quel bambino di 11 anni che nelle Alarche si è tagliato le vene, dei quattordicenne di Ischia impiccatosi a un albero perché a scuola gli rendevano la vita impossibile: «troppo secchione». Infine di quel ragazzino filippino, forse gay, così solo che ha preferito morire piuttosto che vivere sentendosi «uno schifoso verme pervertito». Ma perché un giovanissimo che respira la prima aria della vita vuole spezzare il suo destino? «Quando sono molto piccoli non pensano di morire davvero e per sempre» spiega Mencacci tristemente. «Molte volte è una sfida alla morte. Corrono sul motorino, più forte, più veloci di lei. Credono di passare la barriera della vita e poi di ritornare. Per loro la morte è un gioco surreale, è come un videogioco».
Mencacci è un medico padre, Dice che l’amore paterno è importante per i giovani maschi: sono loro a morire di più, con una proporzione di cinque a uno rispetto alle femmine. «Perché loro scelgono armi e fini violente. E quanti sono gli incidenti fatali in motorino che nascondono la voglia di morire?». Le ragazze invece cercano di più la morte (il 70 per cento dei tentati suicidi è loro) ma usano «armi più femminili» come gli psicofarmaci, e possono più facilmente essere soccorse. «Sparire nei fumi di un brivido leggero, illudersi di vincere lo strazio del cuore vibrando nel buio» così diceva Virginia Woolf. Prima di morire suicida.