Stefano Feltri, il Riformista 5/2/2009, 5 febbraio 2009
LA GUERRA DI RAISET ALLO SQUALO INVESTE IL FUTURO DI TELECOM
Più che una questione industriale è diventata una battaglia sui principi, terreno decisivo per stabilire il giusto equilibrio tra Stato e Mercato (con l’iniziale maiuscola), ma anche per dare un giudizio sulla più grande privatizzazione della seconda Repubblica, l’operazione Telecom di Massimo D’Alema e i Capitani Coraggiosi di Roberto Colaninno, e su una generazione imprenditoriale. Perfino la soluzione, o almeno un nuovo equilibrio, del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi dipende da questo. La rete telefonica. Anzi, la separazione della rete telefonica dai telefoni, cioè da Telecom Italia.
Premessa: nel 1999 la Telecom viene privatizzata con un «peccato originale», come lo definisce un esperto della questione, l’ex consulente di Romano Prodi Angelo Rovati: la rete resta incorporata nella società che passa dalla condizione di monopolista pubblico a quella di monopolista privato. La concorrenza nel settore è quasi impossibile perché l’incumbent, cioè chi sta in posizione dominante, controlla l’infrastruttura e quindi può escludere o complicare la vita a qualunque aspirante concorrente che non voglia costruirsi la propria rete. Due legislature dopo c’è di nuovo il centrosinistra al Governo, con Romano Prodi a palazzo Chigi. E il 12 settembre 2006 inizia quella che - forse - un giorno sarà considerata la fase finale della privatizzazione di Telecom. In un’assemblea Marco Tronchetti Provera, presidente e azionista di riferimento della Telecom, annuncia lo scorporo di Tim, la compagnia di telefonia mobile che era stata assorbita con una costosa Opa solo due anni prima. Una mossa che sembra a molti osservatori il primo passo per vendere il redditizio business dei telefonini per ripianare le finanze del gruppo. Gli avversari di Tronchetti la vedono come un’operazione simile alla cessione degli immobili di Telecom a Pirel li (sempre controllata dall’imprenditore milanese) in cambio di costosi affitti, cioè un modo per spostare capitali e debiti all’intemo delle società gestite dagli uomini di Tronchetti.
Dalla Cina, dove è in visita, Prodi si dice preoccupato per il destino dell’unico operatore mobile: «Tronchetti Provera, quando su sua richiesta l’ho incontrato, non mi ha detto niente». Tronchetti replica consegnando ai giornali (Corriere e Sole) un piano preparato da Rovati, l’ex cestista che fa il consulente non retribuito per Prodi e che però non pensava alla separazione di Telecom dalla telefonia cellulare, ma dalla rete fissa. Due ipotesi, una morbida (assegnare la rete a una divisione intema guidata da amministratori indipendenti) e una più drastica, quella che si ripresenterà negli anni successivi: scorporare la rete, assegnarla a una società quotata controllata dalla Cassa depositi e prestiti (cioè dal ministero del Tesoro) e con un azionariato forte comprendenti albi soggetti, inclusa eventualmente la stessa Teleconi, che si faccia garante dell’itabanità di un’infrastruffiha strategica. Inizia uno scontro tra Governo e Telecom che porterà alle dimissioni di Rovati.
Ma prima ancora a quelle di Tronchetti Provera, che lascia la presidenza di Telecom il 15 settembre «per rasserenare il clima», negli interessidella società. C’inque giomi dopo Giuliano Tavarob e altre 20 persone collegate alla sicurezza intema di Pirelli e Telecom vengono arrestate. Una storia di dossieraggio illegale, di legami tra Tavaroli e il Sismi di Niccolò Pollaii, ricatti, sospetti e una morte misteriosa (quella di Adamo Bove), dalla quale Tronchetti esce senza coinvolgimenti. Alla guida della compagnia telefonica aniva Guido Rossi, che accompagna la Telecom fino al suo nuovo assetto proprietario, certificato nel novembre 2007 con la nomina del nuovo presidente Gabriele Galateri di Genola e Franco Bemabè come amministratore delegato. Tronchetú si libera delle sue quote in Telecom, e H nuovo socio di riferúnento diventa Telco, una società nella quale sono presenti oltre agli spagnoli di Telefonica, anche Generali, Mediobanca, Intesa Sanpaolo e i Benetton.
Mentre il controllo cambia, si continua a discutere della rete. Il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni dichiara che nazionalizzare la rete sarebbe un errore, Rovati si fa intervistare e ribadisce che la soluzione giusta è sempre la quotazione di una società di gestione della rete, sul modello di quanto ha fatto Tema (ex rete elethica dell’Enel), magari con un ruolo influente di Telecom.
Ma la cessione della rete non convince Telefonica e neppure la famiglia Benetton, azionista di Telco, quindi non se ne fa nulla. Al Governo toma Berluscorú e il suo sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, clúarna come consulente l’esperto dei settore Francesco Caio, che ufficialmente deve occuparsi del rilancio della banda larga, e quindi anche della questione della rete. Non si sbilancia troppo Caio, ma al Sole 24 Ore dice che è un problema tecnicamente complesso, che è difficile smembrare una struttura (Telecom) così verticalmente integrata, ma «mi sembra sia venuto il momento di ipotizzare modelfi diversi, in cui possano coesistere concoffenza e collaborazione». Che l’assetto di Telecom, dal punto di vista proprietario e industriale, sia in un equilibrio precario lo dimostra la quantità di ipotesi che iniziano a circolare a fine 2008 come l’ingresso di Muhanunar Gheddafi (dopo l’operazione Unicredit) o l’eventuale acquisto di La7 da parte di Tarak Ben Ammar. Il 2009 di Telecom si apre con un articolo molto informato di Claudio Tito su Repubblica che parla di colloqui tra Alierta e Rupert Murdoch, già in guerra con Mediaset (decreto dei Governo che aumenta l’Iva sulle tv satellitari) e con la Rai (a cui ha rubato Fiorello). Se Murdoch mettesse le mani sulla rete, comprandosi Telecom, si troverebbe in una posizione di vantaggio se la strada del futuro televisivo diventasse davvero l’Iptv cioè la distribuzione di contenuti attraverso i cavi del telefono. E questo rischio Berlusconi non può pemietterselo, anche al prezzo di abbracciare l’ipotesi prodiana dello scorporo della rete che consentirebbe a tutti (Rai, Mediaset e Sky) di partire alla pari nello sviluppo defl’lptv. La guerra Un l’as se Rai Mediaset e Sky continua però sui satellite: martedì la televisione di Stato ha disdetto gli accordi con Sky che consentivano a Murdoch di diffondere anche i canali Rai dalla sua piattafonm. E a giugno lancerà la nuova piattafonna TivùSat proprio con Mediaset, in concorrenza diretta con Sky. Quanto al futuro, ecco aiicora Rovati, H quale, intervistato ieri da Paolo Madron sul Sole 24 Ore ha suggerito un nuovo equilibrio: «Dal núo punto di vista, una volta realizzato lo scorporo della rete, procederei a una fusione tra Mediaset e Telecom. Ne nascerebbe una media company del mondo». Il risultato, negli auspici, sarebbe di diluire il conflitto di interessi di Berlusconi, emarginando Teleforúca, così sarebbe salva l’italianità di Telecom, quella della rete ed evitare lo strapotere di Murdoch. Rovati non è più consigliere del primo ministro, ma è un uomo molto influente. Di queste cose, dice lui stesso nell’intervista, parla con pochissime persone, tra loro: Franco Bemabè e Francesco Caio. Cioè, rispettivamente, il capo operativo di Telecom e l’uomo incaricato dal Governo di progettare le politiche per lo sviluppo delle telecomunicazioni.