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 2009  febbraio 05 Giovedì calendario

I QUATTRO VOTI DI SPIELBERG


L’insolito battage pubblicitario della vigilia era più che giustificato. Dopotutto United States of Tara
vanta Steven Spielberg come produttore esecutivo, Diablo Cody (l’ex spogliarellista Premio Oscar per lo script di Juno) nel ruolo di sceneggiatrice, e la star australiana Toni Colette in quello di protagonista.
La nuova serie tv, che ha debuttato lo scorso 18 gennaio sul canale via cavo Showtime, racconta la storia di Tara Gregson (Colette) una working mom
che lavora come arredatrice di lusso per future mamme incinte ed è affetta da disturbo dissociativo di identità, il termine usato dall’American Psychiatric Association per descrivere ciò che un tempo veniva chiamato disturbo di personalità multipla. La storia inizia quando, per scoprire la vera causa della sua malattia, Tara decide di sospendere i farmaci prescritti dal suo psichiatra. Da quel giorno le sue tre altre personalità riaffiorano improvvisamente: Alice, casalinga perfetta che crede nei sani valori tradizionali; T, 15enne ribelle con tendenze da cleptomane e Buck – la sua unica incarnazione maschile – il classico redneck
amante della birra, delle motociclette e delle risse.
Ad alleviare l’ottovolante emotivo imposto da queste sue continue metamorfosi ci pensano Max (John Corbett) il marito straordinariamente equilibrato e altruista, la figlia Kate (Brie Larson), un’adolescente che affronta diversi problemi di ragazzi, causati dai suoi bizzarri gusti, e il 14enne Marshall (Keir Gilchrist), il figlio gay innamorato del suo compagno di classe che per consolarla afferma: «Grazie a te, mamma, la gente ci considera una famiglia interessante». A completare l’insolito quadretto è Charmaine (Rosemarie DeWitt), la sorella gelosa di Tara che accusa di «fingersi malata per essere sempre al centro dell’attenzione ». «Ho incorporato questo personaggio per dar voce agli scettici», si giustifica la Cody. In occasione del debutto di United States of Tara, il settimanale
Time è sceso in campo per difendere quella che ormai è la sceneggiatrice più potente e controversa di Hollywood. «La continua ossessione dei media per la sua giovanile attività di stripper
l’ha trasformata in una mera barzelletta sessuale» si lamenta l’autorevole rivista «distraendo dal fatto che Cody è una delle poche donne di successo in una Hollywood che continua a discriminarle».
Il messaggio femminista del suo show è chiaro. «La malattia di Tara è una metafora per i tanti, troppi ruoli che la donna moderna è costretta a svolgere – spiega la Cody ”. La protagonista cambia pelle ogni volta che si sente sotto stress per i problemi dei figli o il lavoro del marito». Quando si trasforma in T, Tara si veste e si comporta da bambola erotica, cercando di sedurre Max che però si rifiuta di andare a letto con lei perché la vera Tara sarebbe «molto dispiaciuta» sapendo che il marito fa sesso con uno dei suoi alter ego. Per spiegare la sua mancanza di attributi virili, quando torna ad essere Buck, dice di «averli persi in Vietnam». Proprio quest’ultima è la sua incarnazione più problematica. Anche se l’intera famiglia ha benedetto le scelte di Marshall, Buck non approva che il figlio sia gay. «Ero molto attratta da questa dicotomia – rivela la sceneggiatrice – Buck è omofobico e al tempo stesso ama Marshall. Volevo esplorare col sorriso un tema in realtà serissimo».
Il responso dei critici le dà ragione. Sessantasette su 100, rivela il sito Metacritic. com, ha applaudito lo show. Ma accanto al Washington Post («affascinante »), Newsday («clinicamente interessante ») e Salon.com si sono levate anche voci critiche. Dal New York Times
(«Tara ha quattro personaggi, ognuno dei quali unidimensionale») a Usa Today
(«la falsità pervade Tara») all’Hollywood
Reporter, scettico di fronte a uno show «poco credibile». Il Los Angeles Times se la prende addirittura con «l’assenza totale di rabbia e frustrazione dei protagonisti di fronte alla malattia di Tara», mentre secondo il New Yorker
«la pazienza infinita del marito Max è l’elemento meno verosimile della serie », colpevole anche di «avanzare la tesi secondo cui Tara è una madre addirittura migliore in virtù delle sue multiple personalità».
Come reagisce Spielberg alle critiche? «Tara è una storia famigliare, il mio genere preferito» replica il regista che da quasi 30 anni esplora il rapporto figli-genitori nei suoi film. «La maggior parte delle mie opere parlano proprio di famiglie in situazioni critiche... L’importante, alla fine, è che ne escano più forti e felici di quando hanno iniziato».