Fabrizio Roncone, Corriere della sera 5/2/2009, 5 febbraio 2009
«GRAZIE A QUELLA FAMIGLIA RISANAI I CONTI DS»
Dall’archivio, qui al Corriere, mandano giù un bustone pieno zeppo di ritagli. Colpisce che la storia degli Angelucci s’intrecci spesso con quella dei Ds, e anche di D’Alema, Consorte, Sposetti. Pubblicati molti articoli, sui giornali italiani, negli ultimi anni. C’era davvero un rapporto piuttosto stretto tra la ricca famiglia dell’ex portantino Antonio e questo grande, tormentato, autorevole pezzo della sinistra italiana.
Alle due del pomeriggio, Ugo Sposetti è in Transatlantico. La sua voce non vi è nota, e magari vi sfugge anche il suo tratto somatico: vi basti però sapere che la fama di burbero non è usurpata; quanto poi alla sua storica attività di tesoriere dei Democratici di sinistra (2001- 2007), tutti sanno che è lui, in persona, e in assoluta riservatezza, ad aver lavorato al risanamento del partito, ormai quasi annegato nei debiti.
«Allora, forza: qual è la domanda?». Gli Angelucci, chi sono? Che tipi sono? Che famiglia è? «Io li conobbi subito dopo essere stato nominato tesoriere dei Ds. Il partito era in grave difficoltà, i debiti erano cospicui, e così, subito, sin dal primo giorno, cominciai ad incontrare i creditori». Erano molti... «Erano, soprattutto, variegati. C’era uno che stampava
l’Unità a Milano, c’era... comunque, ed è questo, credo, che le interessi, uno dei primissimi con cui dovetti imbattermi... fu proprio Giampaolo Angelucci». Lui? «Lui». Avevano un credito? «Sì. Avevano, se ben ricordo, prestato del denaro». Quindi? «Ci mettemmo d’accordo, e io, naturalmente, coprii il debito». Prosegua. « lei che deve farmi le domande...». Qualche mese più tardi... «Un anno dopo, almeno... allude alla vendita del palazzo di via delle Botteghe Oscure, no?». Esatto. «Beh, lì fu Alessandro, che nella famiglia si occupa delle questioni immobiliari... niente: credo che venne a sapere, probabilmente da qualche banca, che avevamo intenzione di vendere le nostre proprietà e così, ad un certo punto, iniziammo a trattare». E gli Angelucci si comprarono il Bottegone. «E non solo: rilevarono anche altri 44 immobili di prestigio che il partito aveva in giro per l’Italia». Fecero un affarone. «Guardi: noi, intanto, demmo una bella sistemata al nostro debito.... poi, se posso aggiungere, fu comunque un’operazione complessa e abbastanza raffinata dal punto di vista finanziario». Raffinata, scusi, in che senso? «Che razza di domanda è?». Va bene, modifichiamola: che genere di imprenditori si rivelarono, gli Angelucci?
«Si dimostrarono persone perbene». Perbene? «Proprio così. Perbene. Certo, in alcuni momenti si dimostrarono duri, ma questo non deve stupire, perché a questo mondo nessun imprenditore ti regala niente. Complessivamente, però, si comportarono da imprenditori capaci, seri, molto trasparenti ». Trasparenti? «Assolutamente trasparenti ». Lei, Sposetti, sarà rimasto in buoni rapporti personali... «Con Giampaolo siamo amici, è chiaro. Vede: certe trattative vanno in porto solo se, ad un certo punto, scatta anche il fattore umano...».
Per un cronista, Sposetti (62 anni, una moglie e una figlia) è il politico perfetto da intervistare. serio, credibile, leale, è uno che rispetta le regole, ti dice quel che può: al posto della bugia, preferisce un mezzo ringhio; e poi però, se serve - e in questo caso serviva è anche coraggioso (da giovane faceva il ferroviere a Viterbo, e davvero non si capisce dove abbia imparato lo sprezzo del pericolo). Due estati fa, a chi gli chiedeva se davvero fosse stato così tanto amico di Giovanni Consorte, l’ex amministratore delegato di Unipol, rispose sicuro (quasi fiero): «Certo che sono amico di Consorte... Sono suo amico da 35 anni, e non è che rinnego così una persona, io».
Va aggiunto che, secondo molti osservatori, le strade degli Angelucci (leggere Tosinvest) e dei Ds, nel dicembre del 2003 (le settimane in cui il partito, con il gran lavoro diplomatico di Sposetti, cercava di raddrizzare il suo bilancio) si sarebbero incrociate proprio grazie alla mediazione di Giovanni Consorte, all’epoca considerato assai vicino non solo a Pierluigi Bersani, ma anche e soprattutto a Massimo D’Alema (e però pure Sposetti - ora tutto dovrebbe tornarvi - è da sempre considerato di stretta osservanza dalemiana...).
Così arriviamo all’autunno di due anni fa, quando proprio D’Alema restò muto (D’Alema che si impone di non parlare, eh) nel momento in cui gli Angelucci decisero di acquistare
l’Unità. Il silenzio - complice l’inevitabile bufera mediatica - fu naturalmente interpretato, da molti, come un via libera all’operazione. Che partì speditamente. Gli Angelucci, in effetti, provarono il blitz.
Ricorda Antonio Padellaro, all’epoca direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: «Incontrai la famiglia Angelucci nei loro uffici dietro via Veneto». Che incontro fu? «Di pura cortesia. C’era il padre Antonio... comunque: mi comunicarono che avevano intenzione di acquistare il giornale, e insomma di subentrare alla Mariolina Marcucci... Naturalmente si guardarono bene dal confermarmi ciò che aveva annunciato il sito Dagospia: e cioè che il nuovo direttore sarebbe stato Antonio Polito...». Pochi giorni dopo, comunque, la trattativa saltò. Gli Angelucci, già proprietari del Riformista
e di Libero, avevano infatti capito che l’Unità era un giornale diverso, ancora in qualche modo - sotto il controllo del Pd, e quindi del suo segretario, Walter Veltroni.
Il quale, ci è stato raccontato, gli Angelucci non li ha mai - davvero mai - neppure voluti sentire nominare.