Alessandra Marseglia, Avvenire 4/2/2009, 4 febbraio 2009
NEGLI USA RISPUNTANO I SINDACATI
La grande sfida che attende oggi Barack Obama non è solo rimettere in moto l’economia americana. riuscire a farlo senza tradire i diritti dei lavoratori. I quasi dodici milioni di disoccupati, 600mila dei quali dallo scorso novembre, riportano in primo piano negli Stati Uniti il tema della tutela sindacale e il ruolo del movimento dei lavoratori, detto anche Unions. Si tratta per la verità di un’organizzazione piuttosto modesta, pari solo a 15 milioni di lavoratori, pressoché dimezzata rispetto agli anni 70 e sopravvissuta a fatica al capitalismo e al libero mercato degli anni ”80 e ”90. Deluso anche dall’ultimo governo democratico di Bill Clinton, il movimento sembra tuttavia trovare oggi un nuovo motivo di speranza in Barack Obama. Il Presidente degli Stati Uniti si è guadagnato l’appoggio nel corso della campagna elettorale, sostenendo in più occasioni la causa dei lavoratori; in cambio le Unions hanno raccolto oltre 450 milioni di dollari in donazioni e mobilitato 250 mila volontari, giocando un ruolo di primo piano in molti «swing States». E così a due settimane dall’insediamento di Obama alla Casa Bianca le Unions possono già mettere in conto qualche vittoria. Sorprendendo molti, il Presidente ha, infatti, scelto come segretario del Dipartimento del Lavoro la deputata Hilda Solis, pressoché sconosciuta ai salotti di Washington ma ben nota tra gli attivisti sindacali. Il suo influsso è già riconoscibile dietro due delle misure firmate dal Presidente dal suo insediamento: il provvedimento che elimina il tetto massimo definito per legge sui contributi che i lavoratori intendono versare a supporto dei sindacati, e la legge che promuove l’uguaglianza di salari tra uomo e donna.
Ma la battaglia più grossa è ancora da combattere. La crisi economica, invece che favorire la coesione tra i lavoratori, ha piuttosto messo bruscamente a zittire le Unions: il mega prestito da 17,4 miliardi di dollari concesso dall’amministrazione Bush a GM Ford e Chrysler, ad esempio, (ieri i disastrosi dati delle vendite a gennaio: -49% per Gm, -40% per Ford) e specifica tra le altre clausole che le case automobilistiche ridimensionino considerevolmente stipendi e benefit dei lavoratori. Lo stesso Obama, se da un lato ha parlato di «rafforzare il ruolo dei lavoratori e dei sindacati», dall’altro ha bacchettato le Unions del settore automobilistico, richiamandole ad una maggiore flessibilità sui salari in un periodo di così profonda crisi.
Ma il sindacato non sembra scoraggiarsi e si concentra piuttosto su obiettivi concreti, il primo dei quali è l’approvazione dell’Employee Free Choice Act, un’importante misura legislativa che agevola la crescita delle Unions, inserendo una serie di sanzioni per le tante aziende ( Wal-Mart è solo la più nota) che osteggiano l’adesione sindacale. Grazie a una maggioranza solidamente democratica in Parlamento (ma con qualche rischio al Senato), questa volta la legge, già più volte ad un soffio all’approvazione, ha buone chance di passare e potrebbe procurare alle Unions qualche milione di nuovi associati già entro il primo anno.
Obama si è sempre dichiarato favorevole all’Employee Free Chioce Act, ma per risolvere la crisi economica non potrà certo compromettere i rapporti con il mondo imprenditoriale americano. Per lui, dunque, si apre la sfida più difficile: risolvere l’empasse economica senza tradire i sindacati.