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 2009  febbraio 03 Martedì calendario

ORA I NOSTRI CLIENTI NON SI FIDANO PIU’



I nostri clienti sono più intelligenti di certi banchieri. La prova? Ormai rifiutano tutti i prodotti che non capiscono». E se lo dice Massimo Masi, segretario generale dei bancari della Uilca ma che «fino a non tanto tempo fa» stava allo sportello, probabilmente bisogna credergli. Tanto più se anche l’Antitrust scende dal solito empireo della grande finanza e passa per l’appunto allo sportello, mettendo in evidenza necessità concrete, invece di enunciare principi generali. Ad esempio che gli istituti offrano ai clienti mutui più facili da confrontare con quelli della concorrenza e che siano più trasparenti sull’oscura materia della «commissione di massimo scoperto».
Insomma, l’Autorità della Concorrenza ha deciso di sparare sul banchiere, magari cavalcando una moda che cresce con l’avanzare della crisi finanziaria? Il sospetto è legittimo: mai come in questi ultimi mesi banche e banchieri hanno perso quota nell’opinione popolare e anche tra i loro clienti. Succede negli Usa, dove il Presidente Obama attacca i supercompensi dei signori del credito che hanno appena chiesto al contribuente di aprire il portafogli; ma accade anche in casa nostra dove pure le banche restano ben lontane dall’intervento pubblico. Tanto che ieri, mentre l’Antitrust sparava le sue bordate, l’Abi - l’associazione che rappresenta le banche italiane - ha scelto la linea del basso profilo ed è restata zitta.
Ma certo qualche evidenza che le cose nel sistema bancario siano lontane dalla perfezione arriva anche da altre autorevolissime fonti. Il Governatore della banca d’Italia Mario Draghi, che già nella sua relazione annuale 2007 aveva definito la commissione di massimo scoperto come «un istituto poco difendibile sul piano della trasparenza». Dopo quelle esortazioni, alcuni grandi istituti hanno eliminato quella voce, sostituendola con una commissione diversa. E meno di una settimana fa la manovra anti-crisi approvata dal governo ha anche introdotto l’abolizione della commissione di massimo scoperto se il «rosso» sul conto dura meno di 30 giorni.
Che in banca il rapporto di fiducia si sia ormai incrinato profondamente è un’evidenza. «Diffidenza» è la parola che si sente pronunciare più spesso se si cerca di capire qualè l’umore dei clienti che entrano in filiale. «C’è diffidenza in generale nei confronti della banca e magari fiducia verso il singolo bancario con cui si hanno rapporti da tempo», spiega - chiedendo l’anonimato - il responsabile di una filiale del Nord-Ovest di uno dei maggiori gruppi italiani. «Oggi vendere prodotti che siano diversi dai titoli di stato è difficilissimo - rincara la dose Masi - anche perché la fiducia è calata. Anche sui mutui, come sindacati, avevamo chiesto all’Abi misure per una maggior trasparenza. Ma non è successo». In alcuni casi, poi, le cose degenerano: «A Padova, nei giorni più caldi della crisi, un dipendente iscritto al nostro sindacato è stato picchiato da un cliente insoddisfatto».
C’è chi al tema ha dedicato anche studi densissimi, come quello intitolato «Decisioni di investimento: dall’homo oeconomicus all’homo euristicus», pubblicato lo scorso anno da alcuni ricercatori del Max Planck Institute di Berlino, guidati dal professor Gerd Girenzer. L’analisi spiega in sostanza che gli investitori poco esperti tendono a scegliere i prodotti finanziari non in base alle informazioni che possono avere, come farebbe appunto l’«uomo economico», ma a una generica e precedente conoscenza del genere di investimento. E se accade, come ad esempio è accaduto, che nel sistema di classificazione degli investimenti previsto dal consorzio Patti Chiari, che nel gruppo di obbligazioni a basso rischi finiscano anche alcuni bond di Lehamn Brothers si capisce che per quell’«uomo euristico» che cerca sicurezze c’è qualche problema.
Colpa anche dei sistemi di incentivi ai bancari, che negli anni scorsi hanno contribuito a portare Cirio e Parmalat nei portafogli della clientela? «I piani di incentivazione pesano nello stabilire le politiche di vendita dei prodotti - dice Masi - ma noi non siamo contrari, a patto che abbiano regole chiare e ovviamente non siano legati a prodotti tecnici». «Il problema del raggiungimento degli obiettivi non è cambiato molto nonostante la crisi», aggiunge - anche in questo caso anonima - un’impiegata di un gruppo presente specialmente in Piemonte. «Ma mi pare che in Italia siano stati collocati meno prodotti cattivi che in tanti altri paesi. Anche per questo le nostre banche sono meno colpite dalla crisi».