George Soros, la Repubblica 3/2/2009, 3 febbraio 2009
LA TEMPESTA PERFETTA
Dagli Anni 30 in poi, tutte le volte che il mondo si è trovato sull´orlo di un tracollo finanziario, le autorità sono accorse in aiuto. Mi aspettavo che sarebbe andata in questo modo anche stavolta, ma così non è stato. Il 15 settembre 2008, la Lehman Brothers è stata lasciata al suo destino. Nel giro di qualche giorno, l´intero sistema finanziario è stato colto da infarto e messo in terapia intensiva, con effetti sull´economia globale pari a quelli del collasso del sistema bancario durante la Grande Depressione, anche se l´impatto non è ancora stato avvertito fino in fondo.
La gravità della crisi finanziaria ha superato le mie aspettative, ma ho capito subito che avevamo a che fare con qualcosa di molto più grave della crisi dei mutui subprime o della bolla immobiliare: avevamo raggiunto il punto di svolta o di inversione di un processo di espansione del credito che era cominciato dopo la seconda guerra mondiale e si era tramutato in superbolla negli Anni 80. Ammetterlo è fondamentale per capire la situazione e individuare le misure che dovremmo adottare.
Il fallimento della Lehman Brothers è stato un evento che ha cambiato le regole del gioco. Le conseguenze sono state disastrose. I credit default swaps (Cds) sono schizzati alle stelle, e l´Aig, fortemente esposta per questo tipo di titoli, si è trovata di fronte a un rischio imminente di insolvenza. Nel giro di 24 ore, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Henry Paulson, è stato costretto a fare dietrofront e accorrere in aiuto dell´Aig.
Ma il peggio doveva ancora venire. La Lehman era uno dei principali operatori nel campo della carta commerciale, e anche un importante emittente. Un fondo comune monetario indipendente era in possesso di titoli Lehman e, non avendo riserve consistenti a cui attingere, si è trovato in quella situazione che nel gergo di settore viene chiamata break the buck (letteralmente, «rompere il dollaro», quando la quotazione delle azioni del fondo scende sotto la parità col dollaro). Questo ha provocato il panico tra gli azionisti e il 18 settembre i fondi monetari si sono ritrovati nell´occhio del ciclone. Il panico ha contagiato il mercato azionario. La Federal Reserve ha dovuto estendere la garanzia a tutti i fondi monetari, è stata sospesa la vendita allo scoperto di azioni di società finanziarie e il Tesoro ha annunciato un pacchetto di salvataggio per il sistema bancario da 700 miliardi di dollari (535 miliardi di euro), dando momentaneamente respiro al mercato azionario.
Ma il piano di salvataggio di Paulson era stato pensato male; anzi, non era stato pensato affatto. Stranamente, il segretario al Tesoro non era preparato alle conseguenze della sua decisione di consentire il fallimento della Lehman Brothers. Quando il sistema finanziario è venuto giù, è corso al Congresso senza avere uno straccio di idea su come usare i soldi che chiedeva di concedere. Aveva solo un´idea rudimentale, mettere in piedi qualcosa di simile alla Resolution Trust Corporation degli anni 80, l´ente federale istituito col compito di acquisire e mettere in liquidazione le attività delle società di credito edilizio finite in bancarotta.
Paulson ha chiesto una discrezionalità assoluta, immunità penale compresa. Come prevedibile, il Congresso ha rifiutato di concedergliela. Da più parti, compreso chi vi parla, è stata avanzata l´obiezione che il denaro sarebbe stato speso meglio iniettando azioni nelle banche invece che accollandosi i loro titoli tossici. Alla fine Paulson è arrivato per vie traverse allo stesso concetto, ma non l´ha messo in pratica nel modo giusto.
La situazione del sistema finanziario ha continuato a deteriorarsi. Il mercato della carta commerciale si è praticamente fermato, il Libor è salito, i tassi di swap si sono allargati, i Cds sono esplosi e le banche d´affari e altri istituti finanziari senza accesso diretto alla Fed non sono più riusciti a ottenere prestiti alla giornata o a breve termine. La Fed ha dovuto lanciare salvagenti in ogni direzione. Era questa l´atmosfera che si respirava al momento della riunione annuale del Fondo monetario internazionale, iniziata a Washington l´11 ottobre. I leader europei se ne sono andati presto per riunirsi il giorno dopo a Parigi, dove hanno deciso di garantire, in pratica, che nessuna grande istituzione finanziaria del continente sarebbe stata lasciata al suo destino in caso di fallimento. Ma non sono riusciti ad accordarsi per una linea d´azione comune, su scala europea, e ogni Paese ha provveduto per conto proprio. Gli Stati Uniti si sono affrettati a fare lo stesso.
Queste decisioni hanno avuto un effetto collaterale negativo non previsto, e cioè mettere ancora più in difficoltà quei Paesi che non erano in grado di estendere garanzie altrettanto credibili ai propri istituti di credito. L´Islanda era già al collasso. La più grande banca ungherese è stata presa di mira dai ribassisti e gli altri paesi dell´Europa orientale sono caduti precipitosamente. Lo stesso è successo al Brasile, al Messico, alle tigri asiatiche e, in misura minore, a Turchia, Sudafrica, Cina, India, Australia e Nuova Zelanda. L´euro è colato a picco e lo yen è schizzato alle stelle. Il dollaro si è rafforzato in termini di cambio ponderato. Il credito al commercio nei Paesi più periferici si è prosciugato. La volatilità dei movimenti valutari ha fatto vittime. In Brasile, i maggiori esportatori, che avevano preso l´abitudine di vendere opzioni per cautelarsi dall´apprezzamento della loro valuta, si sono ritrovati insolventi, accelerando una minicrisi locale.
Prese complessivamente, tutte queste turbolenze hanno avuto un impatto drammatico sul comportamento e l´atteggiamento di consumatori, imprese e istituzioni finanziarie di tutto il mondo. Il sistema finanziario era in crisi dall´agosto del 2007, ma il grande pubblico quasi non se n´era accorto e gli affari, tranne qualche eccezione, erano proseguiti come prima. Tutto è cambiato nelle settimane che hanno fatto seguito al 15 settembre 2008. L´economia globale è andata giù come un sasso, ed è diventato evidente quando hanno cominciato ad arrivare le statistiche relative a ottobre e novembre. L´effetto ricchezza è stato colossale. I fondi pensione, i fondi delle donazioni delle università e le associazioni di beneficenza nel giro di un paio di mesi hanno perso tra il 20 e il 40 per cento del loro patrimonio, e questo prima che uscisse fuori lo scandalo Madoff, da 50 miliardi di dollari. La consapevolezza che siamo di fronte a una recessione lunga e pesante (consapevolezza che a sua volta aggrava ancor di più la situazione), forse a una vera e propria depressione, è diventata moneta corrente.
Di chi è la colpa? La Fed ha reagito con forza alla crisi, portando il tasso di interesse principale quasi a zero a dicembre, e imbarcandosi in politiche espansive quantitative. L´amministrazione Obama sta preparando una pacchetto di stimoli all´economia dell´ordine di 800 miliardi di dollari (610 miliardi di euro), più varie altre misure draconiane.
La risposta internazionale è stata meno vigorosa. Il Fmi ha approvato la creazione di un nuovo strumento finanziario per consentire ai Paesi periferici con i conti in ordine di prendere in prestito senza condizioni somme pari a cinque volte la loro quota. Ma le cifre sono modeste e c´è reticenza a chiedere questi prestiti per paura di essere bollati. Il risultato è che questo strumento rimane inutilizzato. La Fed ha aperto linee di swap a beneficio di Messico, Brasile, Corea del Sud e Singapore. Ma Jean-Claude Trichet, il presidente della Banca centrale europea, ha inveito contro l´irresponsabilità di bilancio e la Germania resta esplicitamente contraria a creare troppa moneta, per timore che misure simili possano preludere a pressioni inflazionistiche in futuro. Atteggiamenti tanto divergenti rendono molto difficile giungere a un´azione internazionale concertata, e il rischio è che questo arrivi a minare la moneta unica europea e a provocare grosse oscillazioni nei tassi di cambio.
Analizzando a posteriori, la bancarotta della Lehman Brothers è comparabile ai fallimenti delle banche che avvennero negli anni 30. Come è stato possibile che tutto questo sia stato lasciato succedere? La responsabilità è direttamente delle autorità finanziarie, in particolare il Tesoro e la Fed, che sostengono di non avere l´autorità legale per intervenire. Ma è una scusa che non sta in piedi. In una situazione di emergenza potevano, e dovevano, fare tutto il necessario per impedire il crollo del sistema, come hanno fatto in altre occasioni. Sta di fatto che hanno lasciato che accadesse. Perché?
Vorrei fare un distinguo tra Paulson e il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke. Era Paulson ad avere titolo a intervenire, perché la Lehman Brothers, essendo una banca d´affari, non era sottoposta alla giurisdizione della Fed. La mia opinione è che il segretario al Tesoro fosse riluttante a usare i soldi dei contribuenti, perché sapeva che questo avrebbe comportato un maggior controllo da parte dello Stato e lui era un autentico fondamentalista del libero mercato. Era convinto che per tirare i mercati fuori dai guai si potessero usare gli stessi metodi e strumenti che li avevano portati in quella situazione. E la conseguenza è stata il suo piano abortito di creare una super "società veicolo" (Siv, special investment vehicle) per rilevare tutte le altre società veicolo fallite. Era un adepto della dottrina che sostiene che i mercati hanno una capacità di adattamento superiore a quella di qualunque singolo attore. Deve aver pensato che i mercati avessero avuto sufficiente preavviso per prepararsi al fallimento della Lehman Brothers, considerando che arrivava sei mesi dopo la crisi della Bear Stearns. Ecco perché, quando i mercati sono collassati, Paulson non aveva pronto un piano B.
Bernanke era meno ideologizzato. Venendo da un contesto accademico, l´esplosione della superbolla lo ha colto impreparato. Il presidente della Fed aveva affermato che la bolla immobiliare era un fenomeno isolato, che avrebbe potuto provocare perdite fino a 100 miliardi di dollari (75 miliardi di euro), facili da assorbire. Non si è reso conto che la teoria dell´equilibrio aveva una falla fondamentale, e di conseguenza non è riuscito a prevedere che i vari metodi e strumenti basati sul falso presupposto che le deviazioni dei prezzi da un equilibrio teorico avvengono in modo casuale sarebbero falliti uno dopo l´altro nel giro di breve tempo. Ma Bernanke è uno che impara in fretta. Quando ha capito quello che stava succedendo, ha reagito abbassando drasticamente i tassi di interesse, prima a gennaio e poi a dicembre dello scorso anno. Purtroppo, questo apprendimento è cominciato troppo tardi ed è sempre rimasto un passo indietro rispetto al corso degli eventi. Ecco perché la situazione ha finito per sfuggire di mano.
Ora che il fallimento della Lehman Brothers ha prodotto, sul comportamento di imprese e consumatori, gli stessi effetti dei fallimenti delle banche negli anni 30, la nuova amministrazione Obama si trova a fare i conti con problemi ancora maggiori di quelli che dovette fronteggiare il presidente Roosevelt. I debiti in sofferenza nel 1929 ammontavano complessivamente al 160 per cento del Pil, salendo al 260 per cento nel 1932 a causa dell´accumulo di debito e del calo del Pil. Siamo entrati nella crisi del 2008 con crediti in sofferenza pari al 365 per cento del Pil, e sono destinati a crescere fino al 500 per cento. E questi calcoli non tengono conto dell´uso diffuso dei derivati, che erano assenti negli anni 30 ma che oggi complicano immensamente la situazione, specialmente nel mercato dell´immobiliare. L´aspetto positivo è che possiamo trarre insegnamenti dall´esperienza degli anni 30 e dalle ricette di John Maynard Keynes.
Questo è il primo di quattro articoli dedicati da George Soros, presidente del Soros Fund Management, alla crisi economico-finanziaria in corso Copyright: Project Syndicate, 2009 www. project-syndicate.org Traduzione di Fabio Galimberti.