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 2009  febbraio 05 Giovedì calendario

PAOLO BIONDANI PER L’ESPRESSO 5 FEBBRAIO 2009

Che casinò il federalismo Dalla Sicilia alla Calabria, dalla Puglia alla Campania, politici e comitati d’affari vogliono aprire nuove sale da gioco. Affidate a privati. E per l’anti-riciclaggio scatta l’allarme rosso

Un business da oltre 40 miliardi di euro. Una cordata di parlamentari del centrodestra che progetta di farne il motore per lo sviluppo di quattro regioni del Sud: Campania, Calabria, Sicilia e Puglia. E una partita politica, che cavalca il federalismo fiscale, per legalizzare l’apertura di nuovi casinò regionali. con questi tre ingredienti che l’Italia si potrebbe presto trasformare in una grande Las Vegas, con la ’tassa sul gioco’ al posto dell’Ici.
Di aprire nuove strutture oltre le quattro case da gioco attuali (Sanremo, Saint-Vincent, Campione e Venezia, tutte di proprietà pubblica), si discute da decenni, ma finora l’idea è sempre stata bloccata dalla preoccupazione - alimentata da gravissimi precedenti giudiziari - di favorire il riciclaggio di denaro sporco. Ora, invece, il governo si è assunto un impegno formale a liberalizzare il gioco d’azzardo. Appaltandone la gestione, per di più, a società private.
A candidarsi come apripista è un comune siciliano, Taormina, con il pieno appoggio del governatore autonomista Raffaele Lombardo. Il presidente della Regione Sicilia è tornato alla carica proprio in questi giorni, attaccando i "parlamentari contrari che difendono i privilegi del Nord". "Il governo ha voluto e accettato un ordine del giorno del nostro movimento", ha tuonato Lombardo, leader dell’Mpa: "Aprire un casinò a Taormina porta vantaggi alla regione sul piano dello sviluppo turistico, ma anche allo Stato in termini tributari".
Taormina è solo il primo della serie dei progetti in cantiere. In decine di comuni, dal profondo Sud al Nordest, si stanno mobilitando gruppi di pressione e comitati d’affari che spingono sui parlamentari per far cadere, in nome dell’autonomia fiscale, l’attuale divieto di aprire nuovi casinò. Le pressioni più forti, documentate in disegni di legge con sponsor eccellenti, riguardano le regioni a più alta densità mafiosa: appunto Campania, Calabria, Sicilia e Puglia. Per le autorità anti-riciclaggio, è allarme rosso. La torta da spartire è enorme. In Italia il business dell’azzardo continua a crescere a ritmi cinesi nonostante la recessione (o forse come reazione irrazionale alla crisi). Nel 2007 il mercato legale del gioco e delle scommesse ha prodotto ricavi per 42 miliardi e 200 milioni di euro. Nel 2008, secondo le prime stime del ministero dell’Economia (confermate da Federgiochi), il giro d’affari è salito a 47 miliardi e mezzo, con una crescita del 12,5 per cento.
Quasi metà degli incassi sono dovuti al boom dell’elettronica da bar: oltre 270 mila ’new slot’, disseminate in almeno 80 mila esercizi privati, che solo tra gennaio e agosto 2008 hanno raccolto 13,8 miliardi. Fortissima anche la crescita delle scommesse telematiche. In appena un anno, secondo l’agenzia specializzata Agicos, il poker on line ha moltiplicato i ricavi da 20 a 400 milioni. Poi c’è il mercato clandestino, che garantisce profitti ancora più elevati. Secondo gli esperti della Commissione anti-riciclaggio, presieduta dall’ex procuratore antimafia Pier Luigi Vigna, in Italia funzionerebbero almeno 130 mila slot-machine abusive. Per legge, ogni macchinetta dovrebbe essere tarata e collegata alla rete dei Monopoli di Stato, in modo da garantire ai giocatori un montepremi pari ad almeno tre quarti delle puntate. Con una sola inchiesta, avviata a Venezia, la Guardia di Finanza ha però sequestrato 80 mila ’black slot’ truccate: con un giro di false certificazioni si tagliava del 15 per cento la chance di vittoria. Altre 40 mila ’new slot’ sono risultate totalmente illecite: non erano collegate alla rete pubblica, per cui l’intero fatturato restava occulto. Il mercato dell’azzardo è come una calamita per i clan criminali. Già all’inizio degli anni Ottanta, una delle primissime inchieste su mafia, affari e politica aveva colpito proprio i casinò di Sanremo e Saint-Vincent. Trent’anni dopo, sono cambiati i padrini, ma non i loro vizi. Nei mesi scorsi a Palermo i magistrati antimafia hanno sequestrato diverse catene di sale bingo, controllate dai più feroci boss di Cosa Nostra attraverso prestanome. Mentre l’inchiesta ’Old Bridge’ ha svelato una massiccia "infiltrazione mafiosa nel nuovo mercato delle scommesse sportive". I mafiosi riciclano soldi sporchi attraverso vincite in apparenza pulite (ed esenti da tasse): a Milano, ad esempio, la ’ndrangheta calabrese si era impadronita di una schedina vincente del Totocalcio per giustificare i soldi della cocaina. Ma ora la nuova frontiera del riciclaggio è l’ingresso nel capitale di chi tiene il banco: "La cosca interviene come socio occulto", scrivono i magistrati, "in centri-scommesse legalizzati".
L’intero mercato del gioco lecito è controllato dall’Azienda autonoma dei monopoli di Stato (Aams). Il boom dei ’punti vendita’ ha però favorito un allentamento delle verifiche: l’estate scorsa la commissione antiriciclaggio ha censito oltre 14 mila agenzie (o ’corner’) sportive, 337 sale Bingo, 515 banchi del lotto e più di 100 mila tra bar e locali con slot-machine. L’obiettivo dichiarato delle politiche di liberalizzazione era di sottrarre clienti ai mercati illegali, aumentando le entrate fiscali. Ma ora gli esperti denunciano un effetto-boomerang. Mauro Croce, specialista in patologie del gioco d’azzardo e consulente ministeriale, scrive che "l’introduzione di nuove offerte legali" ha avuto in realtà un effetto "moltiplicativo", perché "aumentano i giocatori" e questo "amplia l’area delle persone con problemi di gioco". Insomma, se la scommessa è diffusa, è più facile diventare schiavi del gioco. Legale o illegale.
Pur aumentando i ricavi, intanto, i casinò tradizionali stanno perdendo peso percentuale. Nel 2008 le quattro sale da gioco italiane hanno incassato 497 milioni in tutto. L’anno precedente solo le scommesse sportive avevano fatturato 11 volte di più: cinque miliardi e mezzo. Ma ora nei palazzi della politica c’è chi lavora per rilanciare in grande stile anche i casinò. Dopo la vittoria di Berlusconi, decine di parlamentari hanno presentato progetti di legge e atti d’indirizzo per chiedere nuove licenze. Alla Camera è scesa in campo un’intera cordata di centrodestra, con un ordine del giorno per "autorizzare entro il 2008 quattro case da gioco in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria". Come proponente figura l’autonomista siciliano Antonio Milo, ma tra i cofirmatari spiccano il big campano di An Italo Bocchino e l’ex ministro dc Calogero Mannino. Tra le motivazioni, la volontà di "rendere più competitivo il turismo nelle regioni meridionali", "contrastare la concorrenza mediterranea", "aumentare le entrate" e "respingere i pregiudizi sul timore d’infiltrazioni criminali". Anche al Senato sono depositati documenti analoghi. E la prima tappa è sempre Taormina: un nome simbolo, per poi sbarcare a Napoli o Caserta e in città come Reggio Calabria. In passato la proposta era sempre naufragata. Il 28 marzo 2007 l’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, aveva bocciato proprio Taormina, dichiarando che "in una regione dove esiste un’organizzazione criminale che è alla continua ricerca di canali per il riciclaggio di denaro sporco", non sembrava il caso di riaprire un casinò "chiuso nel 1965 dalle autorità di pubblica sicurezza". Ora, invece, il governatore Lombardo dichiara che, su Taormina, il governo Berlusconi ha ormai "assunto un impegno vincolante". Per capire quando e come sia stato preso questo impegno, bisogna leggere i resoconti delle sedute-fiume per la manovra finanziaria. E si scopre che nella notte del 23 luglio 2008 il sottosegretario all’Economia, Giuseppe Vegas, ha dichiarato al Parlamento che "il governo accetta l’ordine del giorno dell’on. Milo": per Taormina casinò subito; per gli altri comuni, l’esecutivo "si impegna a valutarne l’opportunità caso per caso". Aperta la breccia, si sono susseguite le trattative nel centrodestra per convergere su un progetto unitario. Proprio in questi giorni il parlamento è teatro di forti pressioni, rese visibili dall’affondo del governatore siciliano. Secondo fonti autorevoli, il cavallo su cui puntano i parlamentari filo-casinò è il disegno di legge depositato il 3 dicembre dal senatore valdostano Antonio Fosson. Un progetto dettagliatissimo, di stampo federalista, che prevede "almeno una sala da gioco in ogni regione". La proprietà è del Comune, ma "di regola è affidata in concessione a spa private". E per aprirle basterà "un decreto del presidente della Regione".
Informato da ’L’espresso’ , l’ex presidente della commissione antimafia, Francesco Forgione, che ha dedicato la passata legislatura al tema dei patrimoni criminali, si dice preoccupato: "I casinò sono da sempre un terreno privilegiato per il riciclaggio di denaro sporco. Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta già dominano il mercato delle slot. Il Mezzogiorno ha bisogno di tutto, ma non di casinò. Una legge del genere rischia di avere solo effetti criminogeni".